Prologo

561 80 86
                                    

La banchina era maledettamente confusionaria e rumorosa, perfino per chi doveva essere abituato a quel baccano.

Non c'era da stupirsene dal momento che, quella mattina, erano in partenza parecchi battelli e transatlantici. Un'enorme sfilza di marinai correva su e giù per l'intero porto, caricando bagagli e provviste sulle varie imbarcazioni. Uomini grossi e robusti, ragazzi dall'aria fin troppo giovane e non ancora piazzati, tutti abbigliati in pantaloni consunti e camicie larghe e sporche.

Una molteplicità di altre figure contornava la banchina: individui slanciati e dall'aria seria, vestiti rigorosamente di nero, uomini bassi e paffuti, in completi di tweed, donne in scialbi abiti dalle tinte scure o in sgargianti vestiti dalle ampie e sfarzose gonne.

La ragazza dai lunghi capelli castani inspirò a fondo, osservando lo scenario del grande e affollato porto.

L'odore di pesce putrefatto, misto a salsedine e fumo, le riempì le narici, provocandole una piccola smorfia di disgusto.

- Annabeth? - una voce a lei nota la chiamò. - Non startene lì impalata, la nave salperà tra poco!

La ragazza trasalì e si voltò nella direzione della voce, non dopo aver lanciato un'ultima occhiata alla banchina. Quella partenza si stava rivelando più difficile di quanto avesse immaginato.

- Sì, arrivo... - rispose con aria assente, prima di puntare gli occhi sul ragazzo che l'aveva richiamata.

Era alto e snello, dalla pelle chiara. I capelli riccioluti e neri, erano schiacciati sulla fronte da un cappello a bombetta, gli occhi di un verde intenso. Indossava una camicia bianca, in netto contrasto con un panciotto a righe blu e grigie e un paio di pantaloni grigio scuro. Sebbene lei non fosse troppo bassa, la sovrastava di almeno mezza testa.

Se non l'avesse conosciuto, le avrebbe fatto quasi paura, con quell'espressione seccata che le stava rivolgendo.

- Hai intenzione di muoverti o preferisci rimanere a fissarmi fino a stanotte?

La ragazza si riscosse e annuì all'amico. Ricordava sempre, con un attimo di ritardo, quanto odiasse essere fissato. Lo faceva sentire in soggezione. Oltretutto, era su di giri per la partenza e da quel mattino era stato a dir poco insopportabile.

~*~

- Trevor... il baule? - chiese ad un tratto la ragazza, accorgendosi della sua mancanza proprio mentre lo seguiva sulla passerella che collegava la banchina all'imbarcazione.
- L'ho già fatto caricare a bordo... fosse stato per te, sarebbe rimasto a Boston, - rispose in modo secco l'amico.
- Sei stato tu a dire di volertene occupare, - borbottò Annabeth.
- Davvero? - chiese sarcasticamente l'altro.
- Davvero, - concluse la ragazza, lanciandogli un'occhiata torva.

Si voltò senza più guardarlo e si diresse sul ponte a prua. Un uomo stava fumando un sigaro e osservava il mare con aria pensosa. Le urla dei marinai, che caricavano le ultime provviste, riecheggiavano sino a lì.

Annabeth si appoggiò al parapetto. Il vento le spediva alcune ciocche di capelli davanti agli occhi. Non si disturbò a spostarle dietro le orecchie; le piaceva la loro soffice carezza sulle guance.

La ragazza si concentrò sulla figura stilizzata dei vecchi palazzi che si affacciavano sul porto. Molti di essi, alla base, includevano numerose birrerie stracolme di marinai di passaggio. Voleva ricordarla così, la sua Boston. Un caotico via vai di gente. Le carrozze che giungevano alla banchina, i passeggeri che si affrettavano a salire, i marinai che facevano lo stesso.

Non era il paesaggio bostoniano a lei più congeniale, ma voleva ugualmente conservare un'immagine della sua città, a prescindere da quale fosse. Provò ad imprimersi nella mente ogni dettaglio, anche il più minuscolo.

Tante volte aveva corso su quelle strade, da bambina, incurante di ciò che ci fosse intorno, anche del pericolo di essere investita da una carrozza. Numerosi erano stati i rimproveri per quel comportamento da parte di sua madre, la quale faceva sempre leva sul "comportarsi da signorina educata". All'epoca sbuffava e si dibatteva, ma negli ultimi tempi le era capitato, seppur raramente, di desiderare di tornare, anche solo per un istante, a quei momenti lontani. Fantasie che aveva messo subito a tacere.

Se c'era un'altra cosa che sua madre le aveva insegnato, era che bisognava andare sempre avanti, incuranti delle circostanze e del passato, spesso infido consigliere.

Nemmeno l'urlo di un marinaio, di levare l'ancora, riuscì a ridestarla da quei pensieri, né tantomeno le voci dei passeggeri, che si erano riuniti tutti sul ponte per rivolgere un ultimo saluto ai loro cari a terra. Lei, al contrario di molti altri, aveva sempre detestato il dover dire addio, preferendo non farlo.

~*~

Trevor si diresse sul ponte, dove immaginava ci fosse Annabeth. Odiava litigare con lei. Da una settimana era irrequieto e nervoso per la partenza, anche se non si rispecchiava mai troppo in quello stato d'animo che gli faceva dare fiato a pensieri che non aveva.

In più di un'occasione, era capitato che, per quell'atteggiamento da lui assunto, si era scontrato con tre o quattro ragazzi della città. Se ne erano date di santa ragione. Aveva perso il conto di quanti lividi e ferite si fosse procurato, in quella maniera.

Trovò la giovane accostata al parapetto, con un braccio sopra e una mano che penzolava in direzione dell'acqua. L'altro, le sorreggeva il mento. Era assorta.

Le si avvicinò con riserbo e si appoggiò, dando le spalle al porto sempre più distante. Sapeva che se si fosse voltato, avrebbe avuto qualche rimpianto.
E lui proprio non li sopportava.

Per quel che aveva vissuto, se avesse iniziato a farsi qualche scrupolo al riguardo, probabilmente avrebbe dovuto mettere in discussione buona parte della sua esistenza.

Dopo una manciata di minuti, che sembrarono interminabili, si tolse il cappello, lasciando svolazzare i riccioli nel vento profumato di salsedine. Lo adagiò sulla testa dell'amica per farle accorgere della sua presenza.

Annabeth non si voltò nemmeno e continuò a esaminare la banchina.
Quando il transatlantico iniziò a scivolare via dal porto, finalmente parlò.

- E così... - iniziò voltandosi verso di lui. - Addio Boston.

Trevor si aspettava di vedere una punta di rimpianto nei suoi occhi, ma vi scorse solo un pizzico di nostalgia.

- Già, - confermò lui, sostenendo il suo sguardo. Il piccolo battibecco di prima era già stato accantonato.

Il ragazzo orientò lo sguardo indietro, verso le strade di Boston ridotte a minuscole macchie grigie. Non venne travolto dalla fitta di nostalgia che si aspettava di provare, forse perché non si era ancora reso conto che non l'avrebbe più rivista.

- E il cappello? - chiese ad un tratto la ragazza, dopo averlo fissato un attimo.

Trevor spostò di nuovo gli occhi su di lei, prima di scoppiare in una fragorosa risata. Le fece cenno con la testa di guardare in alto. Incredibile che non se ne fosse accorta.

Annabeth si portò una mano tra i capelli. La sua espressione era un misto fra la curiosità, la sorpresa e lo scherno.

- Non credevo di essere così sbadata, - sentenziò, prima di unirsi alla risata dell'amico.

L'orologio dei ricordiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora