Capitolo 1.

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Eren's pov.

La mia immagine davanti allo specchio.
Ero davvero io?

Mi trovavo in camera mia, la stessa che per tre mesi restò immacolata sotto un lieve velo di polvere.

Attaccato alla porta c'era un lungo e sottile specchio che ritraeva la mia figura per intero.

Sono io?

Gli zigomi più evidenti, il colorito più pallido, gli occhi così affaticati ed opachi e spenti della loro solita vitalità.
No, non posso essere realmente io.

Per tre mesi rimasi in un sonno profondo che lasciò tutti con il fiato sospeso.
Un sonno che fa da ponte intermediario tra la vita e la morte.

Molte persone uscite dal coma raccontano d'aver visto una luce così luminosa che, non riuscendo a darsi una spiegazione razionale -com'è nella nostra natura umana-, si rintanava nel loro essere appellando quella luce col nome di Dio.

Io non ero mai stato un devoto credente della Chiesa Cattolica.

Quello che vidi per tre mesi furono solo eventi realmente accaduti durante la mia vita.
Spezzoni sconnessi di fatti avvenuti anni, mesi o giorni prima.

Rivivere quelle esperienze non mi fece pesare il tempo trascorso in quei mesi.

Sentii bussare alla porta.
Sobbalzai, tornando alla realtà.

"Eren, sei pronto?"
Una voce titubante mi richiamò dai miei pensieri.

"S-sì"

"Ti aspetto in macchina, fai veloce."

Sospirai fra me e me.
Il fatto di tornare al college mi trasmise ansia.

Gli sguardi compassionevoli e curiosi puntati addosso, i bisbigli sussurrati alle spalle, ecco cosa mi avrebbe atteso, ma non fu quello il motivo della mia azione così avventata avvenuta mesi fa.
Eseguii quel determinato "sacrificio" solo per una persona che ricordavo appena.
Non era passato così tanto tempo, ma non riuscii a mettere a fuoco la sua immagine, la sua voce.

L'unica cosa che ricordavo di lui, era il modo in cui mi toccava, in cui le sue mani sfioravano la mia pelle.

Levi.
Era il mio ragazzo.

O non lo era?

Tra tutti i farmaci e i lavaggi di cervello che mi fecero i miei genitori e gli psicologi, distinguere la realtà da fatti inventati sembrava impossibile.

Scesi velocemente le scale trascinando svogliatamente le innumerevoli valige afferrandole per il manico e raggiungendo l'auto di mia madre.

Per tutto il tragitto l'unica voce che sentii fu la radio, l'unica che quella mattina avesse avuto voglia di parlare di qualcosa evidentemente.

Arrivammo al college.
Mia madre mi prese a sé in un abbraccio affettuoso, ricambiai un po' titubante.
Dal mio risveglio, qualsiasi contatto fisico mi metteva agitazione e panico.

La staccai e senza dire nulla scaricai le valige.

Deglutii a fatica prendendo coraggio, iniziai a percorrere l'entrata del college insieme a centinaia di ragazzi euforici di rivedersi.

Tentai di dare meno nell'occhio possibile, ma più camminavo, più sentivo gli sguardi addosso. Sicuramente la mia fu solo un'impressione, i ragazzi non mi stavano calcolando e quasi nessuno sapeva cosa mi fosse accaduto.
Devo smetterla.

Continuai a camminare, questa volta a passo più deciso, finché non riuscii a seminare qualsiasi persona dalla mia vista.

Iniziai a percepire un leggero fiatone addosso.
Vedere tanta gente di nuovo mi suscitò ansia.

𝐌𝐲 𝐂𝐚𝐩𝐭𝐚𝐢𝐧 𝟐  ➣ ᴇʀᴇʀɪ    *in revisione*Where stories live. Discover now