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"How can you stay outside? There's a beautiful mess inside.."

Stamattina mio padre si è fatto vivo dopo qualche giorno..
Non mi aspettavo di trovarlo lì, in realtà.
Me lo sono ritrovato di fronte mentre correvo..
Forse per spiegarmi dovrei fare un passo indietro..

La giornata non è iniziata in maniera del tutto ottimale.
Shane se ne andato verso le 7. Ha detto che ha già saltato troppi giorni di scuola.
Il cambio delle bende non è mai stato così doloroso.
«È perché sono tanti, e un po' ovunque» dice l'infermiere «Il dolore non si concentra in un punto preciso, ma è generale»
Io sbuffo.
Dolore?
Questo non è nulla.
Solo un paio di graffietti, in confronto a quello che ho in testa..

E poi le rotture di palle iniziano ad arrivare..insieme al dottor Parker.
«Qui c'è la tua colazione, comunque. Devi sforzarti di mangiare. Hai poca energia e ne avresti bisogno, soprattutto in un momento del genere. Hai rischiato di rimetterci la pelle anche stavolta, perché sei troppo debole»
Mi limito ad annuire.
Sto lottando tanto per distruggere questi mostri, che morire per il cibo sarebbe veramente una stronzata.
Sento Parker sospirare e un peso che fa pressione sul materasso.
Mi guarda.
Ha smesso di chiedermi come sto.
«Sai, Ethan. A volte credo che la vita ci ponga delle sfide e colpisca proprio i nostri punti deboli, di proposito. Per aiutarci ad andare avanti, per sbloccarci da una determinata situazione.»
Ghigno.
La vita è solo una grande stronza.
Sospiro. Non ho più voglia di ascoltare stupidi discorsi motivazionali. Io voglio i fatti.
«Com'è successo?» domando. Alludo all'addio di Danny. Parker capisce, e tira un lungo sospiro. Prende tempo. Non vuole dirmelo. Ma lo fa.
«Si è lanciato dalla terrazza»
Per un attimo riesco a vederlo.
Me lo immagino riempirsi i polmoni di tutto il coraggio possibile, sorridere, e -ad occhi chiusi- lasciarsi cadere all'indietro, lasciarsi alle spalle ogni sofferenza.
Una lacrima mi bagna la guancia, senza che mi sia accorto di aver iniziato a piangere.
Mi asciugo gli occhi in fretta, come volessi cancellare quell'azione.
Buffo, no?
Ho tentato il suicidio 3 volte, sono chiuso dentro ad un ospedale, imbottito di antidepressivi e una delle poche persone con cui ero riuscito ad instaurare un legame si è tolta la vita.
Avrei tutto il diritto di piangere.
Ma non ho più voglia di fare la parte del ragazzino depresso, di quello debole. Non voglio più piangere.
Inaspettatamente sento le braccia di Parker avvolgermi la schiena. Sussulto.
Mi irrigidisco. Fatico ad accettare di essere toccato, se non da particolari persone.
«Le cose andranno meglio. Fidati»
Si dilegua in fretta, distaccato.

Mi stendo sul letto, intento a passarci gran parte della giornata.
Devo riuscire a far trascorrere i giorni senza farmi del male. Così mi faranno uscire e smetteranno di somministrarmi tutti quei farmaci che mi stordiscono.
«Sei parente del dottor Parker?»
Mi volto di scatto verso la voce proveniente dall'altro lato della stanza.
Guardo il ragazzo aggrottando le sopracciglia.
«Bè, mi è sembrato piuttosto affettuoso» ghigna.
Ha lo stesso ghigno beffardo che aveva Shane quando ci siamo conosciuti.
«No.» mi limito a rispondere.
«Mh, non parli tanto tu, vero?»
Ma cosa vuole questo che fino a ieri mi guardava male?
Gli do la schiena, e prendo il telefono dal comodino, sparandomi la musica nelle orecchie.
Non riesco a togliermi dalla testa Danny.
Danny che ha sofferto, che si è tenuto tutto dentro, che non ha neanche provato a lottare, Danny deluso dal mondo, Danny che si è lasciato andare..
«Ciao Jackson, come va oggi?» un infermiere entra in stanza e io mi raggomitolo sotto le coperte.
«Insomma. Mi hanno rifilato un frocio autolesionista come compagno di stanza» ghigna.
Ma vaffanculo.
L'infermiere lo rimprovera, e lui resta in silenzio.
Sento di nuovo la sua voce solo poco dopo, quando siamo di nuovo soli.
«Comunque stavo scherzando prima»
Io stringo le coperte tra le mani, mentre i pensieri mi riaffiorano in mente.
Quella sera lui era lì.
Lui c'era quando, sconvolto e quasi senza rendermene conto, mi chiudevo in bagno e mi accasciavo in terra.
Quando stringevo in mano uno dei coltelli di Danny.
Quando perdevo il controllo e premevo quella fottuta lama in ogni punto in cui potevo arrivare col coltello impugnato nella mano destra.
Quando iniziava a girarmi la testa e il ricordo di quella sera in camera mia mi faceva continuare a piangere.
C'era quando ho iniziato ad urlare sperando che qualcuno mi sentisse, cercando aiuto - anche se ancora non ne capivo il motivo.
Jackson aveva assistito a tutto, fuori da quella stanza. Aveva lasciato che mi sfogassi (cosa parecchio apprezzata. La gente di solito mi chiede di fermarmi, ma non lo capisce, non lo capisce che se non lo faccio sto di merda), e al momento giusto aveva chiamato i soccorsi.
Non ricordo nulla da quel momento in poi, ma d'altronde fino a poco fa non ricordavo nemmeno questo.
«Jackson» lo chiamo, liberandomi dalle lenzuola.
Lui si volta, seccato o stupito.

«Grazie»

If They Knew The Pain  [#wattys 2018]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora