11. NUOVA OSCURITA'

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La mia vita era un'interminabile ed immutabile mezzanotte. Doveva sempre, per necessità, essere mezzanotte per me. Allora com'era possibile che il sole stesse sorgendo nel bel mezzo della notte?

Non riuscivo a capacitarmi di cosa stesse succedendo, il mio viso era a centimetri da una luce calda ma non avevo mai avuto così freddo. La luce mi fece sentire persa nel mio corpo, non mi sentivo le gambe, le braccia ed il torso, ero paralizzata ma mi sentivo calma in modo innaturale. Non volevo ancora ribellarmi.

Mi concentrai sul captare i rumori in modo da capire dove mi trovavo: sentivo un vago rumore di passi sul pavimento di cemento ed lo sferragliare dei tubi di vetro. Captavo anche il suono di un liquido che faceva le bollicine ed una penna che scribacchiava su un foglio. Udii anche degli uomini sussurrare – in Russo? – di un veleno. Il mio veleno. Perché stavano parlando del mio veleno?

Il mio essere cosciente andava e veniva e la luce sopra di me diventò meno intensa. Quando i pensieri sparpagliati nella mia mente si ricomposero come un puzzle. Aprii gli occhi e diventai cosciente di ciò che mi circondava: dietro la lampada che mi colpiva in volto riuscivo a distinguere il tetro soffitto di cemento di fronte ai quali vedevo la polvere turbinare in una danza armoniosa. Qualcosa mi suggeriva che mi trovavo in pericolo, ma un'altra parte di me – probabilmente quella influenzata dagli agenti chimici – mi diceva di non muovermi. Mi risultò famigliare il fastidio nei miei avambracci ed il dolore nel resto del mio corpo. Sentivo il calore che veniva irradiato da un corpo vicino al mio ed i miei occhi si posarono velocemente sull'uomo che mi stava guardando. Lo studiai senza battere ciglio per trovare qualcosa sulla sua uniforme che lo potesse identificare. Stringeva al petto una cartella con scritto "Progetto Cremisi" in Russo e più in piccolo vi era il nome dell'individuo: Colonnello Vasily Karpov.

"Cosa mi hai fatto?" riuscii a dire con una voce così fragile che non riuscivo a credere fosse la mia.

L'uomo diede un'altra occhiata ai documenti e prese altri appunti, e poi mise la penna nel raccoglitore prima di posare ancora lo sguardo su di me. non rispose alla mia domanda e la sua espressione facciale non tradì emozioni.

Rabbia e frustrazione mi pervasero facendomi dimenare cercando di levarmi di dosso gli aghi, tentativo che si rivelò vano. Ciò che vedevo come un valido tentativo di liberarmi produsse solamente uno spostamento sulla sinistra.

Una porta metallica che venne aperta e dei passi riempirono la stanza ed io aspettai di individuare chiunque fosse appena entrato: insieme a Rumlow c'era l'uomo di Sokovia che era scappato a Washington.

"Signorina Haze" la sua voce amara e – mio malgrado – famigliare fece eco in tutta la stanza. "È un piacere rivederti. Mi chiamo Zemo"

Lo guardai furiosa ricordandomi del nostro ultimo incontro.

"Sospetto che non sei completamente a tuo agio. Non ti preoccupare, non durerà molto" aggiunse.

Si girò verso Vasily Karpov e tese la mano per farsi dare la cartella, ma Karpov non si mosse. Dopo aver ricevuto un'occhiata severa il Colonnello obbedì. Guardai Zemo far passare le pagine nella cartella.

"Che lettura interessante, Alaska. Vale decisamente i problemi che ho dovuto risolvere per ottenere questi documenti. Qui dice che parli tredici lingue..." si interruppe ed io non cambiai espressione. "Te eto ponyal?" [Capisci?]

"Idi k chertu" [Va all'inferno] sputai. Le sue labbra disegnarono un sorriso e girò attorno al tavolo sul quale ero coricata.

"Ti starai chiedendo perché ti trovi qui, o perché non hai sensibilità del tuo corpo...è un effetto collaterale del siero. Eravamo incerti sul come una-" esitò per trovare il giusto termine "-creatura come te avrebbe reagito, quindi abbiamo raddoppiato il dosaggio solo per essere sicuri"

Eyes on Fire ★ |ITA|Where stories live. Discover now