33. MI AMI?

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RESTAI A DENALI più a lungo di quanto avessi preventivato. Restai diverse ore più tardi.

Diverse ore che trascorsero come fossero state secondi. Akecheta mi aveva intrattenuta con la sua curiosità e le sue domande – voleva sapere tutto sui miei ultimi settant'anni di vita, da ciò che ricordavo della mia vita umana, quando mi ero trasformata, fino al mio cammino per la redenzione. Il tutto portò a parlare degli Avengers.

Anche Sienna mi ascoltava mentre si prendeva cura di Anya e svolgeva diverse faccende. Mi parlò anche di alcuni suoi momenti trascorsi con Anya, la quale era stata una figura materna per lei dopo che i suoi genitori erano stati uccisi in un viaggio in montagna. Come famiglia si volevano molto bene, ovviamente, e Sienna trascorreva i suoi giorni ad assicurarsi che gli ultimi anni di vita di Anya fossero il più belli possibili. Nonostante non ci fosse molto che potesse fare per lei, Sienna rimase accanto alla donna. La ammiravo molto per questo.

Ma mi spiegò anche qualcosa sui Kresniks e su cosa avevano fatto ad Anya. Scoprii che tagliarle la lingua non era stato l'atto di tortura più brutale sopportato dalla poveretta. Sienna pesò bene le parole, e capii che non voleva spaventarmi, ma sentirle raccontare di come Anya fosse stata avvelenata in modo da essere resa immobile in modo permanente dovendo sopportare nel contempo un dolore straziante che l'avrebbe portata alla morte, fu difficile da assimilare. Dopo tutti gli orrori che avevo dovuto sopportare mi terrorizzava che esistesse qualcosa di simile del quale non ero al corrente.

Sienna uscì dalla cucina con una tazza di tè in mano, che posò di fronte a Akecheta. Poi, con un sorriso ironico mise sul tavolo, di fronte a me, una tazza. Era riempita di sangue.

"Bello" dissi con un sorriso divertito ammirando la graziosa tazza mentre la presi in mano.

"Non volevo farti sentire a disagio servendoti un coniglio vivo o qualcosa del genere" mi stuzzicò sedendosi al tavolo da pranzo con me e Akecheta.

"Beh, grazie per aver mostrato moralità" dissi portandomi la tazza alle labbra.

"Allora, Alaska, dove ti porta la tua storia una volta via da qui? Tornerai a New York per adempiere ai doveri di supereroe?" mi chiese Akecheta prendendo un sorso del suo tè.

Mi feci piccola al suo uso della parola con la S. "Non lo so. Per me è ancora difficile vedermi come un...beh..."

"Supereroe?" finì Akecheta. Strinsi i denti ed annuii.

"So di avere buone intenzioni. So di avere gli stessi ideali dei miei amici, ma c'è sempre una parte di me che mi dice che non mi merito di stare con loro e chiamarmi un eroe"

Ci fu un momento di silenzio prima che io proseguii.

"Ma devo ritornare. Ho lasciato qualcosa a New York. E fintanto che ci resterà sarà lì che devo stare"

Distolsi lo sguardo. Li potevo vedere pesare le mie parole.

"Se è così che ti senti veramente, perché ti punisci per volere ciò che meglio per te?" chiese Akecheta. "Da ciò che ho sentito sembra che tu non riesca a smettere di punirti per ciò che hai fatto, e ti neghi ogni forma di felicità"

Le sue parole mi colpirono e sospirai profondamente prima di disegnare cerchi sul tavolo con il dito, sovrappensiero.

"Solo non riesco a lasciare andare questo aspetto. È tutto ciò a cui penso" ammisi a bassa voce. "Non riesco a non sentirmi come se stia cercando di essere qualcuno che non sono"

Akecheta si avvicinò a me e mi studiò con empatia negli occhi.

"Al contrario di ciò che possono averti detto, a volte i doveri di un eroe non significa salvare gli altri. A volte significa salvare te stesso. Solo questo ti darà pace, Alaska. Tutto ciò che rimpiangiamo è un risultato delle nostre circostanze. Ricordatelo"

Eyes on Fire ★ |ITA|Where stories live. Discover now