Capitolo III

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Carly's pov

Quando tornai a casa, non ebbi neanche la forza di mangiare qualcosa.

Era così difficile accettare il fatto che lui non se ne fosse andato, che fosse ritornato per rendermi la vita un incubo. Mi diressi verso la mia stanza, mi gettai sul letto e cominciai a riflettere.

Era stato un colpo rivederlo dopo troppo tempo, e altrettanto difficile era capire come lui fosse stato sempre nei miei pensieri, quando avevo sempre pensato di averlo dimenticato. Qualcuno bussò alla porta, mi alzai di scatto.

"Carly? Posso entrare?" la voce di mio padre era ormai familiare da quando mamma era morta era la sua voce a svegliarmi ogni mattina.

Con il tempo tutto era cambiato, mio padre aveva preso il suo posto, e la vita aveva fatto il suo corso. Tutto si dimentica, tranne la voce di tua madre, quella farà sempre parte di te.

"Avanti" mormorai. Aprì la porta, mi scrutò per un paio di secondi e si sedette accanto a me, nel posto in cui, fino a due anni prima, si sedeva mamma.

"Come mai oggi non hai aspettato tua sorella Haley?" Domandò "Potevi anche evitare"

"Scusa papà" dissi convinta "Non capiterà più, giuro."

Ma non era così, sapevo che sarebbe capitato ancora, che non avrei lasciato che Haley fosse parte integrante della mia vita. Haley era stata sempre meglio di me, sempre.

Tante amiche, popolarità assicurata e buoni voti a scuola. Era il mio opposto, la ragazza che io, non sarei stata mai. Papà era fiera di lei, era fiera di tutto ciò che faceva, ogni minima sciocchezza era la giusta scusa per fare una festa in onore della figlia modello.

Io ero la sua ombra, la sorella difettosa, quella "cresciuta male". Non lo sapevano gli altri, che io, in realtà, dei sentimenti ce li avevo, che ogni falso sorrisetto non fosse altro che dimostrazione che ci stavo male. Asciugai le lacrime dai miei occhi, lacrime spuntate da chissà dove.

"Pensi ancora a lei, vero?"

Sì. Ci penso, e non finirò mai di pensare che mamma non se n'è andata senza un motivo, lei avrebbe voluto vedermi felice, non avrebbe voluto che fossi un ombra.

"A volte" mentii "È impossibile non farlo"

Non sapevo il perché delle mie lacrime, a volte apparivano così, a caso, e bagnavano il mio volto, mi fermavo a riflettere, facevo un resoconto della mia vita e poi chiudevo gli occhi, nella speranza che essi non si aprissero più.

Gli occhi di mio padre erano come un ancora, che mi incatenava alla vita, erano lo specchio in cui potevo apparire migliore, anche se Haley lo era di più​, lei era sempre stata migliore di me.

Tenne lo sguardo fisso sul pavimento, non mi guardò nemmeno in faccia, mi salutò e con cautela chiuse la porta della mia stanza. Ero arrabbiata con me stessa, non lo fermai neppure, stesi ferma lì, in quel freddo letto, a fissare il vuoto, nella speranza che esso fosse colmato da qualcosa, qualsiasi cosa, purché mi rendesse felice.

Presi il cuscino e mi asciugai le lacrime, stavo male ed era evidenteme, ma nessuno era lì a tenermi su il morale, ero sola, senza nessuno che si azzardasse a darmi un consiglio, a dirmi che stavo male per sciocchezze.

Non c'era nessuno in quel letto, quel pomeriggio. E non c'era perché alla delusione che viveva dentro me stessa, sarebbe stato bello, essere come Haley Jensen, ma la bellezza è soggettiva, ero come un quadro astratto non compreso, piena di significati profondi, vuota di certezze.

***

Era già mezzanotte quando spalancai gli occhi. Una mezzanotte diversa dalle altre.

Ogni volta che ti ho aspettato Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora