Capitolo 38: Forgiveness

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Capitolo 38

Aiden

Mi trovavo immerso nel buio della stanza d'ospedale di Hayley e quasi non riuscii a credere ai miei occhi, quando i suoi si aprirono. Il mio cuore prese a battere più velocemente e per qualche istante restai a fissare il viso di Hayley segnato da un'espressione frastornata e spaesata, immobile come una statua di sale.
Mi pareva di aver atteso quel momento così ardentemente e di averlo immaginato così tante volte che, una volta giunto finalmente, non volessi crederci.
Quegli attimi mi parvero durante un'eternità, quasi io e lei fossimo rimasti intrappolati in una fotografia, intenti ad osservarci reciprocamente in silenzio, pensando a cosa dire. Per sempre.
Parte di me, in fondo, desiderava che Hayley non riaprisse gli occhi almeno ancora per un giorno, perché io sapevo quali fossero le mie intenzioni e che decisone avrei preso l'indomani. Non potevo permettermi di essere tanto egoista da restare accanto a lei nonostante sapessi quanto devastante e fatale potesse esserle la mia vicinanza, avevo dimostrato di non essere in grado di proteggerla, di non possedere le forze necessarie per farlo. Era divenuto ormai chiaro che la sua vita sarebbe stata di gran lunga migliore senza di me, che avrei dovuto lasciarla andare, sforzandomi di ignorare quanto solo quel pensiero mi facesse male.

" Ben svegliata, Angelo. Vado ad informare il dottore e Robert, aspetta " dissi, alzandomi dalla sedia sulla quale sedevo e dirigendomi verso la porta della stanza.

Una volta giunto nel corridoio mi preoccupai subito di comunicare al dottore ciò che era appena accaduto e di svegliare Robert, Josh, mia sorella e tutti coloro che, come me, avevano trascorso intere giornate all'interno di quell'ospedale. Ash, come prevedibile, scoppiò a piangere per la gioia e abbracciò Will con una foga tale da farlo barcollare e spingendomi a temere che sarebbero caduti entrambi al suolo.
Il padre di Hayley si precipitò da sua figlia non appena il dottore terminò di effettuare i controlli e ognuno di noi restò in corridoio, quasi sentissimo tutti il dovere di lasciare che i due parlassero tra di loro tranquillamente, senza la nostra presenza a gravare nella stanza. Avevo visto gli occhi di Robert consumarsi per via della preoccupazione e, soprattutto, della paura di perdere l'ultimo membro della famiglia che gli era rimasto.
Per ore avevo continuato ad incolparmi, consapevole che se lui si trovasse in una tale situazione fosse solo ed esclusivamente una responsabilità mia, mi ero illuso che se fossi rimasto accanto a Hayley sarei riuscito a proteggerla ad evitare che qualcosa le accadesse, ma ancora una volta mi ero sbagliato.
Io amavo Hayley, ne ero consapevole, ma sapevo anche che se lei non mi avesse mai incontrato o se io non mi fossi mai innamorato di lei, nessuno di noi si sarebbe trovato in quella situazione. Io sapevo che era stato Matt a spararle, ma per qualche ragione mi sentivo comunque responsabile, perché ero convinto che quel proiettile sarebbe dovuto essere destinato a me e che se io fossi stato abbastanza risoluto da allontanare Hayley finché ero in tempo, lei non si sarebbe mai ferita. Proprio per questa ragione, ero convinto che il grilletto fosse stato premuto proprio da me.
Io avevo avuto la possibilità di aiutarla, ma avevo scelto l'opzione più egoista, quella che risultava più vantaggiosa per me stesso ed evitato quella che, invece, avrebbe giovato a lei. Sapevo di essere umano è che, di conseguenza, mi fosse concesso sbagliare. Ma mi era davvero concessa la possibilità di errare così tante volte?
Avevo commesso diversi sbagli in passato e avrei dovuto sfruttarli al meglio per evitare di ripeterli, invece avevo scelto di ignorarli, di fingere che non esistessero, finendo così per commetterli nuovamente.
Ormai non si trattava più di proteggere, ma di comprendere finalmente quale fosse la cosa migliore per la persona che amavo. Dovevo accantonare il mio amore, il dolore della perdita e l'odio che provavo verso me stesso, fare la scelta giusta per lei perché era ormai divenuto chiaro che la mai vicinanza le potesse essere potenzialmente fatale.
Quando Robert uscì dalla stanza di Hayley, la seconda a farle visita fu mia sorella che sentii ridere divertita mentre io sedevo in corridoio, arrovellandomi insistentemente sotto lo sguardo vigile del mio migliore amico.
Improvvisamente quel grande ospedale mi sembrò farsi piccolo piccolo, quasi troppo gretto perché tutti noi potessimo restare al suo interno senza morirne asfissiati.
Senza pensarci due volte, mi alzai e mi diressi a passo spedito verso l'uscita. Ignorai i continui ed insistenti tentativi di Will di richiamare la mia attenzione e proseguii per la mai strada, noncurante del fatto che fosse notte fonda e che avesse preso a povere insistentemente sulla città di New York.
Una volta oltrepassate le porte dell'ospedale respirai a pieni polmoni l'orrore di asfalto bagnato che permeava la città, mi coprii il capo sfruttando il cappuccio della mia felpa e presi a camminare senza meta. Sentivo lo spasmodico bisogno di restare da solo, nonostante fosse alquanto paradossale se si considerava quanto ardentemente avessi sperato in quei giorni che Hayley riaprisse finalmente gli occhi.
Mi sentivo sporco, quasi fossi stato io stesso un criminale e speravo con ogni più piccola cellula del mio corpo che la pioggia che lei tanto amava sarebbe stata in grado di lavare via il nero dei peccati che mi macchiava la pelle.
Camminai senza sosta sotto il getto scrosciante della pioggia che non pareva intenzionata a fermarsi, mentre il tessuto della mia felpa si inzuppava ad ogni passo che compivo, diventando pensante e dandomi l'idea che volesse mimare il peso del senso di colpa e dell'odio che sentivo crescere dentro di me.
Quando mi ritrovavo a camminare sotto qualche balcone, la pioggia si interrompeva improvvisamente e successivamente mi pareva che mi investisse con maggiore vigore quasi a voler bucare la mia pelle, ad insinuarsi sotto di essa così da poter sussurrare il suo nome al mio sangue e colpirmi dritto al cuore.
Avevo letto e sentito parlare di relazioni terminate per via di sentimenti che si affievolivano, che perdevano il loro vigore, di tradimenti e di promesse infrante. Eppure la nostra storia era diversa, il problema non era la mancanza di amore, perché di quello ve ne era abbastanza. Ma non sembrava sufficiente, anzi, pareva addirittura troppo forte, tanto da poter essere potenzialmente letale per entrambi.
Io mi ero convinto che la fiamma di un amore simile non potesse essere in grado di estinguersi e, in parte, avevo avuto ragione perché mi era divenuto ormai chiaro che il fuoco fosse divampato tanto da arderci al suo interno e consumarci fino a quando entrambi saremmo divenuti un mucchio insignificante di cenere.
Hayley era riuscita a combattere al mio fianco, ad aiutarmi ad uccidere i miei demoni. Eppure, in quel processo si era innamorata così tanto di me da non vedere che il vero nemico fossi proprio io e da ignorare la minaccia che rappresentavo per lei. Era riuscita salvarmi, lasciando che apprezzassi la sensazione di libertà anche solo per un attimo, prima che venissi nuovamente inghiottito da un senso di colpa che, evidentemente, non era intenzionato a lasciarmi alcuna via di scampo.
Mi sentivo in trappola perché sapevo perfettamente quanta forza avrei dovuto avere per allontanarmi da Hayley e quanto questo avrebbe fatto soffrire non solo me, ma anche lei.
La stavo affogando nelle mie acque, trascinandola sul fondo ogni giorno di più e lasciando che i suoi polmoni si riempissero del mare inquinato che imperversava dentro di me. Una morte lenta e dolorosa, travestita da sogno d'amore.
Forse mi ero così abituato al dolore, al senso di colpa e all'odio verso me stesso che, ormai, non sapevo più come ci si sentisse ad essere davvero felici. Hayley mi aveva regalato una breve infinità carica di amore e libertà, me io non ero disposto a sacrificare la sua felicità per la mia. Non mi sentivo nella posizione di compiere un tale gesto, non ero così egoista da bruciare il suo futuro solo perché io mi sentissi bene in sua compagnia.
Negli anni a venire avrei ricordato ogni singolo istante trascorso assieme a lei, avrei tentato di imprimere nella memoria ogni dettaglio del suo viso, l'esatta sfumatura dei suoi occhi e il suo profumo. Avrei fatto il possibile per ricordare come mi sentissi a stringerla tra le mie braccia, a posare le mie labbra sulle sue e a sentirla ridere.
Mi sarei sforzato di accontentarmi di vivere di quei ricordi, sperando che questi fossero sufficienti perché io riuscissi ad andare avanti senza di lei.
Una volta terminato di formulare quel pensiero decisi che, in ogni caso, avrei mantenuto fede alla mia promessa fatta a Hayley ancora per un giorno e che l'avrei informata di quali fossero le mie intenzioni, perché sapevo che meritasse di esserne al corrente. Le dovevo almeno questo.
Quando tornai all'ospedale e oltrepassai la soglia della stanza in cui si trovava Hayley, notai che era gremita da coloro che per quei giorni le erano restati accanto assieme a me. Inoltre, non appena questi si accorsero della mia presenza, si fecero strada verso l'uscita senza proferire parola, quasi si sentissero in dovere di lasciarmi solo assieme a Hayley in modo che potessimo parlare tranquillamente.
Guardai Hayley per qualche istante, prima di dirigermi a capo chino verso la sedia situata accanto al suo letto e prendervi posto.

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