6. I'm wet

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Non mi sono mai piaciuti gli ospedali, ma penso che, in generale, non piacciano a nessuno. Però, in questo momento, seduto su una sedia scomoda in un corridoio sperduto, senza neanche ricordare dove sia l'uscita, odio gli ospedali più che mai. Nello specifico, odio quest'ospedale, in cui mia sorella si trova per dei controlli dopo essermi svenuta davanti agli occhi.

Il suo compagno, Brad, mi sta seduto a fianco, e ogni tanto rilascia sospiri preoccupati e si alza in piedi, mettendosi a camminare avanti e indietro, e bofonchiando e borbottando di tanto in tanto parole che non riesco a cogliere. D'altro canto, preferisco il comportamento di Brad rispetto a quello dei miei genitori. Mia madre sta parlando al telefono con mio fratello per raccontargli l'accaduto, offesa perché non è stata la prima a venire a conoscenza della gravidanza della primogenita. Mio padre, invece, sta leggendo un giornale, trattenendosi dallo sbraitare contro mia madre e dallo sbraitare contro dottori e infermieri che ci camminano davanti, ma che non ci danno le informazioni di cui abbiamo bisogno.

Sospiro, mandando un messaggio ad Hailee per spiegarle la situazione, visto che mi ha chiesto di chiamarla perché non ha capito la lezione di matematica e vuole che gliela spieghi, pur frequentando corsi differenti. Se non fosse per il suo modo impeccabile di controllare il suo potere, Hailee sarebbe nel corso C, poiché a malapena riesce a prendere la sufficienza nelle materie che non richiedono poteri. E se e quando la raggiunge, è sempre grazie al mio aiuto e a quello di Calum Hood, migliore amico di Michael ed ex-scopamico di Hailee, prima che lei si prendesse un'assurda cotta per Sophie e smettesse di dargli corda.

Un'infermiera si avvicina a noi, intimidita dagli sguardi truci di mia madre, dagli occhi vitrei di mio padre e dallo sguardo ansioso di Brad. Punta i suoi occhi su di me, sperando sia quello normale del gruppo, ma a quanto pare si rende conto che non è così. Mi chiedo il perché, fino a che Brad non mi avvisa che mi si è allungato il naso senza che me ne rendessi conto.
Ma va be'.

L'infermiera punta il suo sguardo in un punto indefinito del corridoio e comincia a parlare, spiegandoci che non è successo nulla di grave, che la debolezza dei primi mesi di gravidanza sommata allo stress di Avril ha fatto sì che lei perdesse i sensi e discorsi simili che smetto di ascoltare appena capisco che mia sorella sta bene.

Dopo un sospiro rilassato da parte di tutti, Avril esce dalla stanza, lanciando un'occhiataccia a Brad. «Che ci fa lui qui?» borbotta infastidita, venendomi incontro.

«Avril...» la ammonisco, alzando gli occhi al cielo.
Lei mette su un broncio veloce, per poi farlo sparire con un sospiro. «Non chiamerò una delle mie figlie Dolly» punta un dito contro il suo compagno, che annuisce, esasperato.

«Io avrei un'idea» le faccio sapere.
«Che idea?»

«Perché non le chiami Sole, Luna e Stella, ma in giapponese? Visto che sei ossessionata dagli anime e dai manga» faccio spallucce e cammino verso l'uscita dell'ospedale, respirando sempre più tranquillamente via via che ci lasciamo alle spalle i ricordi delle persone che qui dentro hanno vissuto gioie e dolori.

Sento lo sguardo di Avril addosso, ma so che sta ragionando attentamente, cercando di capire quanto la mia idea la convinca. «Mi stai dicendo che dovrei chiamare le mie figlie Hi, Tsuki e Hoshi

«Be', potreste chiamarle Hinata, Tsukiko e Hoshi» mormoro, ripensando a tutti gli anime che mia sorella mi ha costretto a vedere negli anni, volente o nolente, e ripensando a tutte le lezioni di giapponese che ha provato a darmi con poco successo.

«Che ne dici?» chiede mia sorella a Brad, che non ha neanche bisogno di risponderle a voce, perché basta un'occhiata tra loro per far sì che si capiscano. «Bene, abbiamo i nomi per le nostre figlie» dice lei contenta, per poi abbracciare per la vita il suo compagno, che la stringe a sé con dolcezza, e lanciarmi un'occhiata a mo' di ringraziamento.
Tutto è bene quel che finisce bene, giusto?

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