Epilogue

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Dieci anni dopo...

«okay, ma puoi per favore stare attenta?» esasperò per l'ennesima volta mio marito mentre guidavo per le strade di Washington.

«sì, amore. Sta tranquillo» dissi ancora una volta.

Lo sentii sospirare evidentemente frustrato e infastidito.

«devo andare adesso, amore. Ogni tanto, però, fermati e riposati» disse.

«Justin, sono solo incinta» esasperai ridacchiando.

«appunto!» sbuffò. «ricordi che devi partorire tra un paio di giorni o no?» chiese severo.

Alzai gli occhi al cielo. «sto per entrare in galleria, ciao amore» mi affrettai a dire.

«okay, piccola» mormorò. «aspetta galleria? Non ci sono galler-» purtroppo non riuscì a finire la frase perché riattaccai.

Già portare un bambino dentro di me era estenuante, figuriamoci sopportare un padre così protettivo e pesante. Lo amavo più di ogni altra cosa, ma sapeva anche mandarmi all'esasperazione totale.

Stavo andando a prendere mio padre al penitenziario, dopo dieci anni era fortunatamente fuori di lì. Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che sono andata a trovarlo.. Non vedevo l'ora di vedere la sua reazione al pancione. Sapeva già della mia gravidanza ed era al settimo cielo quando gli dissi che avrebbe avuto un nipotino, si meritava una buona notizia dopo tutto quello che aveva passato. Durante il processo scoprimmo che alcuni membri della sua gang in realtà stavano dalla parte di Glasgow & CO, per fino Stacey. Chissà perché la cosa non mi lasciò a bocca aperta, da sempre sospettai di quella donna, fin dal primo giorno. Anche mio padre mi disse che una pugnalata alle spalle se l'aspettava, ma non da lei. Inutile dire che ci rimase davvero male. Ora però, era il momento di fare un sospiro di sollievo, stava per buttarsi tutto alle spalle.

La musica era ad un volume esagerato e rimbombava nella mia auto, ad ogni semaforo rosso mi fermavo e ballavo.

«i really really really really really really like you, and i want you.. Do you want me, too?» Cantai a squarciagola, tenendo una mano sulla pancia. Il bimbo non faceva che scalciare in quell'ultimo periodo facendomi davvero male, non aspettavo altro che la sua nascita.

Arrestai tutti i miei movimenti non appena sentii il dolore di un'altra contrazione, dovetti assolutamente accostare. Fermai la macchina e iniziai a fare respiri profondi.

«ti prego tesoro, aspetta ancora un po'. Tra un po' torniamo a casa» sussurrai, cercando in realtà di farmi coraggio. Quando il dolore si attenuò, ripartii per il penitenziario. Volevo fare in fretta, prima prendevo mio padre, prima tornavo a casa.
Abbassai il finestrino per far cambiare l'aria all'interno dell'abitacolo e per rinfrescarmi un po'.

Arrivai al penitenziario in poco tempo nonostante fosse fuori Washington. Posteggiai la macchina e scesi prendendo la mia borsa. Il carcere era molto grande, già dall'esterno si poteva capire quanto triste e cupo fosse.
Entrai all'interno del grande edificio e mi rivolsi ad una poliziotta.

«salve, sono qui per Mike White, doveva uscire oggi» dissi.

La donna alzò lo sguardo dal suo computer e mi guardò. «sì, sta per uscire. Può aspettarlo fuori davanti al cancello blu» disse fredda.

Quanta acidità.

«grazie» dissi, per poi uscire.
Avanzai di qualche metro, arrivando al cosiddetto cancello blu. Avevo voglia di tornare indietro e urlare in faccia a quella poliziotta di fare una visita oculistica perché il cancello era nero, però mi trattenni. La gravidanza mi procurava tanti sbalzi d'umore, anche troppi.

𝘾𝙄𝘼 - 𝘾𝙚𝙣𝙩𝙧𝙖𝙡 𝙄𝙣𝙩𝙚𝙡𝙡𝙞𝙜𝙚𝙣𝙘𝙚 𝘼𝙜𝙚𝙣𝙘𝙮 ➳ 𝙟𝙗Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora