Capitolo 5

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Mi trascinarono lungo un corridoio illuminato da neon bianchi, era molto umido, sentivo delle tracce d'acqua sotto i piedi e la muffa alle pareti era visibile da chilometri. Il panciuto continuava a fare strada camminando davanti a noi e più andavamo avanti più sentivo l'ansia aumentare e paralizzarmi, non avevo neanche avuto il coraggio di ribellarmi, mi sentivo totalmente bloccata, l'unica cosa che riuscivo a fare era stare attenta a non cadere. Vidi alla fine del corridoio una porta socchiusa dalla quale si sentivano voci maschili e un forte odore di fumo, voci confuse in lingue diverse e per niente rassicuranti. Il cuore mi stava scoppiando e sentivo le gambe tremare, tanto da inciampare e ricevere un disinteressato aiuto da parte del mio accompagnatore. Varcammo la soglia e c'era un ambiente totalmente immerso in una nebbia di fumo da sigaro, una serie di uomini erano messi a cerchio seduti su delle poltrone bevendo whisky e tenendo sigari tra le labbra. Appena mi videro interruppero i loro discorsi e presero a guardarmi e a sussurrare qualcosa uno a l'altro in arabo probabilmente, sentivo che la situazione sarebbe potuta precipitare da un momento all'altro alla prima mia mossa falsa così feci ciò che volevano. Mi spinsero al centro di quel cerchio e, senza che me ne accorgessi, qualcuno mi diede un calcio al fianco facendomi cadere inginocchio e a testa bassa, mi vennero delle forti fitte nel punto colpito, un dolore lancinante mi suggeriva di accasciarmi ed era l'unica cosa che volevo fare, ma dai loro sguardi capii che era meglio di no per non averne un altro. Ad uno ad uno quegli uomini si alzarono e vennero verso di me, cercavo di non guardarli troppo negli occhi, l'avrebbero potuta prendere come una sorta di sfida e avrebbero reagito facendo qualcosa che mi avrebbe ulteriormente danneggiata. Il primo era alto e molto magro, con la pelle olivastra e gli occhi scuri, come molti altri, poteva avere più o meno 40 anni e con passo lento mi si avvicinò. Si abbassò alla mia altezza e mi sollevò il viso, fissandomi a lungo il volto. Dopo di lui un altro mi fece alzare e mi squadró più volte, dopo di ciò prese un coltellino svizzero e tagliò completamente la mia camicia. Mi allontanai bruscamente perché non volevo che mi toccassero o mi guardassero ma lui mi tirò per un braccio e mi colpì con uno schiaffo tanto forte da farmi perdere l'equilibrio e caddì a terra, sbattendo violentemente la spalla e sentendo del sapore ferroso in bocca, sangue caldo che mi bagnò lingua e sentii il labbro spaccato pungere. Dopo pochi secondi mi costinse ad alzarmi e ricominciò il suo lavoro spogliandomi quasi completamente. Una lacrima mi rigò il volto, mi sentivo tremendamente inutile e volevo solo che finisse presto questa mia agonia, avevo perso la mia dignità ed ero ferita nell' orgoglio, proprio quell' orgoglio che mi aveva sempre fatto camminare a testa alta, mentre adesso mi sentivo solo un cane bastonato. Questa situazione andò avanti per almeno un'ora, dove ognuno mi faceva quel che voleva senza che io potessi reagire in alcuna maniera, mi toccarono e guardarono come se fossi un quadro da mettere all'asta, come un oggetto, o meglio, come uno straccio, uno straccio molto pregiato per gli altri ma completamente insignificante per loro. Quando finirono cominciarono a parlare fra di loro, con toni accesi, scrivendo anche qualcosa su alcuni fogli, il listino prezzi? Era quasi esilarante, un sorriso sornione mi piegò le labbra, quanto potevo costare? Un milione? Due? Stimare il valore di una persona in soldi, cosa poteva esserci di più umiliante? Ero stata rimessa inginocchio e continuavo a sentire in sapore del sangue che scendeva sul mio mento. Testa bassa, sguardo a terra, non volevo vederli, non volevo vedere niente di niente. Ad un certo punto calò il silenzio e uno di loro venne verso di me.
<<Quanti anni hai?>> con un italiano un pò impastato e maccheronico.
<< 20>> risposi sempre a testa bassa.
<< Quante lingue conosci?>>
<< Italiano, inglese e francese. >>
<< Suoni qualcosa?>>
<< Il pianoforte. >>
Detto questo si alzò, continuando a scrivere. Sentivo l'angoscia invadermi il petto, invadermi l'anima, cosa ci avrebbero fatto con quelle informazioni? Serviva la descrizione dell'articolo? L'uomo che mi aveva accompagnato nella stanza mi venne a riprendere, mi tirò per braccio e spingendomi mi fece uscire riportandomi nella mia cella. Natasha mi chiamò non appena l'uomo uscì chiedendomi cosa fosse successo e cosa mi avevano fatto ma io non avevo il coraggio, nè la forza di guardarla negli occhi così mi limitai a rispondere solo un << niente sto bene>> cercando di soffocare le lacrime. Cominciai a capire cosa sarebbe successo di lì a poco e avrei preferito morire piuttosto che finire nelle mani di chissà chi, ma ormai non potevo fare più niente, ero nelle loro mani e non avevo via di scampo.

Angolo autore:
Ciao a tutti, ecco il nuovo capitolo in questi giorni metterò il prossimo che sto già preparando. Chiedo sempre scusa per la lunga attesa e grazie sempre a tutti quelli che stanno vivendo con me questa avventura.
Al prossimo capitolo.

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