Capitolo 25

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Andrej pov.

Per tutta la durata della cena non persi d'occhio quei due brutti ceffi seduti al tavolo sulla destra, gli sguardi fintamente discreti che rivolgevano ad Ambra non mi piacevano per nulla, contribuendo ad accrescere la mia agitazione. Avrei tanto voluto sfruttare quell'occasione per scambiare qualche parola con lei, approfittarne per conoscerla meglio, conoscerla davvero, ma ovviamente la situazione me lo impedì, ero troppo distratto e impensierito da ciò che ci sarebbe stato fuori dalle mura vagamente protettive del ristorante di Hans... la possibilità di non riuscire a proteggerla mi rendeva inquieto, assillato per ciò che avrei dovuto prevedere e potenzialmente colpevole di ciò che forse non avrei potuto evitare, ma cos'altro avrei potuto fare? Potevo solo augurarmi che le cose andassero non troppo male e rassegnarmi all'idea di affrontare il problema nel momento in cui si sarebbe presentato.
Alla fine della cena non potei non notare l'aria assorta con la quale lei mi guardò, aveva gli stessi occhi di chi guarda qualcosa di talmente bello che nulla avrebbe potuto distrarla e mi trovai a pensare a quanto mi piacesse avere le sue attenzioni addosso, anche se per poco, anche se era sbagliato apprezzarle e soprattutto desiderarle come le desideravo io. Poco prima di alzarci frugai nella tasca del cappotto cercando il bracciale e, quando finalmente toccai qualcosa di freddo e liscio, approfittai di quel momento di imbarazzo per chiederle di porgermi la mano, così quando allungò il braccio sulla tovaglia non persi tempo prima di cingerle il polso con le dita avvicinandola ancora un po' a me, non che fosse necessario ma volevo avere una scusa per poterla sfiorare diversamente da come avevo fatto fino a quel momento. Appena chiusi il bracciale e la lasciai, Ambra si ritrasse con una certa lentezza, non nascondendo la perplessità nel veder brillare le gemme attorno al suo posto.
<< Vuoi davvero che porti un gioiello tanto prezioso in mezzo ad una piazza affollata la notte di capodanno? >>
<< Si. >>
<< Lo sai che sparirà molto presto vero? >> mi chiese, non nascondendo una sfumatura di sarcasmo.
<< Non se lo nascondi tra i guanti e la manica del maglione. >> risposi con ovvietà sorseggiando il vino bianco che ondeggiava nel calice di cristallo.
La rossa seduta di fronte a me parve valutare la mia risposta, ma senza condividerla, e facendo spallucce mi disse
<< Bah, va bene, come dici tu, ma perché vuoi che lo metta pure stasera? Non era destinato ad essere sfoggiato domani? >> mi stupì il fatto che si ricordasse questo piccolo dettaglio ma sarebbe stato meglio non approfondire troppo l'argomento, come del resto tutti gli altri.
<< Ribadisco il concetto: fai troppe domande. >> la freddai posando il calice e appoggiando i gomiti sul tavolo, cercando di porre nuovamente la classica distanza che c'era tra noi, soprattutto quando iniziava a interessarsi di cose delle quali era meglio sapere il meno possibile.
<< Tu potresti anche darmi qualche risposta. >> disse un po' risentita per la mia risposta.
<< Direi di no. >> la vidi alzare gli occhi al cielo con aria esasperata mentre beveva un sorso di vino e fui costretto a soffocare una risatina, c'era un non so che di divertente in quel broncio che le compariva in viso quando le rispondevo sgarbatamente, rendendola ancora più bella.
Dopo pochi minuti trascorsi in un gelido silenzio ci alzammo e, mentre indossavo il cappotto, notai con grande piacere che i due loschi erano già andati via, così con passo svelto ci dirigemmo verso la porta, quando vidi Hans che dall'altra parte della sala faceva lo stesso, tenendo un pacchetto in mano, sicuramente le registrazioni che avrebbe dovuto darmi.
<< Un piccolo pensiero per un amico di vecchia data. >> mi disse facendomi l'occhiolino. Annuii con un piccolo sorriso sulle labbra stringendo la mano di Ambra che ci guardava distrattamente.
<< Appena questa storia sarà finita, devi assolutamente venire a cena da me e Marina, le farebbe piacere rivederti. >> mi disse con una pacca sulla spalla.
<< Puoi contarci. >> risposi sentendo il cuore riscaldarsi dall'invito sentito di Hans. Lui e Marina mi avevano sempre accolto come uno di famiglia, nei momenti più bui mi avevano sostenuto senza tirarsi indietro, sopportando anche il peggiore dei miei lati paggiori, mi avrebbe fatto bene passare un po' di tempo con loro appena sarebbe tornato tutto alla normalità, appena lei sarebbe andata via...
Ci incamminammo verso la piazza accompagnati da una leggera nevicata, i fiocchi cadevano lenti imbiancando tutto ciò che incontravano nel loro cammino verso il suolo: i tetti, le macchine, i marciapiedi e anche noi ci trovammo con i cappotti inumiditi e striati dal candore della neve. Man mano che ci avvicinavano alla piazza Ambra guardava rapita le luci e i colori della città in festa e non potei non pensare che se fossimo stati una normale coppia sicuramente avremmo sorriso per il paesaggio fiabesco che ci si poneva davanti gli occhi e forse ci saremmo anche baciati fingendo di essere i protagonisti di quella favola invernale ma non era così, non era neppure lontanamente così, anzi direi che eravamo l'esatto opposto di quello scenario romantico che per un momento avevo immaginato e quella consapevolezza non potè che lasciarmi un alone di tristezza nel cuore e nell'anima.
A destarmi da quella malinconia ci pensò il chiasso della musica e della folla che si era riversata per le strade per festeggiare il giorno più amato dell'anno, trasformando la Piazza Rossa in un'immensa aggregazione di voci, di risate, di balli e di vita. Strinsi con forza la mano di Ambra per paura che il flusso di gente in continuo movimento potesse separarci e, cercando di sembrare calmo e di superare il baccano che ci circondava, le dissi
<< Mi raccomando, stai sempre vicino a me. >> la vidi annuire con la coda dell'occhio, bene, mi bastava per tranquillizzarmi almeno in parte, e sgomitando riuscii ad arrivare sul lato sinistro della piazza, pattuito con la polizia locale, così presi velocemente il piccolo auricolare che avevo nella tasca destra e lo misi all'orecchio, pronto per l'uso, mentre con lo sguardo cercavo tra i poliziotti, in borghese e in divisa, il corrispondente della missione.
Ci volle più tempo del previsto a causa di quel fiume in piena di persone che si spostava da un punto all'altro, spintonandosi, tirandosi e urtandosi l'un l'altro ma dopo diversi minuti intravidi l'uomo descrittomi e, quando fui sicuro che anche lui mi avesse visto, mi rilassai un po', mantenendo sempre la difesa e l'attenzione alta.
<< Se dovesse accadere qualcosa, qualsiasi cosa, non agitarti e chiamami più forte che puoi. >> le dissi praticamente urlandole all'orecchio e avvicinandola a me.
<< Cosa potrebbe succedere? >> mi rispose un po' preoccupata.
<< Niente che non possa succedere in qualsiasi altro posto durante una manifestazione di questa portata. >>
mentii sperando di appararire convincente e rassicurante, ma neanche io avrei creduto a quelle parole.
<< Per il momento fingiamo di divertirci. >> dissi cercando di smorzare la tensione e la attirai fra le mie braccia, lasciando che i miei piedi in autonomia stabilissero il ritmo di quella sorta di danza. Solo dopo un paio di minuti mi resi conto di aver iniziato un lento, nonostante l'atmosfera intorno a noi suggeriva tutt'altro ritmo, ma sentivo la necessità di sentirla il più vicina possibile, illudendomi di poterla tenere al sicuro solo stringendola in quel ballo scordinato, come se bastasse quella specie di abbraccio per evitare qualsiasi "incidente".
Mi accorsi che lei stentava a starmi dietro, sorpresa e irrigidita da quel mio atteggiamento che ai suoi occhi era completamente opposto al mio abituale modo di comportarmi, ma non mi sforzai di essere l'uomo che conosceva, per una volta volevo essere l'uomo che ero davvero, o perlomeno l'uomo che avrei potuto essere, ma la reazione che ottenni da parte sua fu tutt'altro che positiva. Sciolse la mia stretta e si allontanò dicendomi imbarazzata
<< Non credo sia il caso, dobbiamo solo fare finta di divertirci, no? >>
si, era vero, avremmo solo dovuto far finta, ma erano mesi che fingevo con lei e stupidamente avevo provato ad essere "reale" nella situazione più sbagliata che potessi scegliere. Rispettai la distanza che impose fra di noi e accesi una sigaretta mentre la guardavo muoversi goffamente seguendo il ritmo della musica; cercai di non soffermarmi sulle coppie che ci circondavano, felici e affiatate almeno all'apparenza, avvolti in calorosi abbracci e persi in baci vogliosi, mentre personalmente non mi restava altro che una solitaria sigaretta e uno sguardo di sottecchi sempre rivolto alla riccia a pochi passi da me. Continuai a setacciare la massa di gente e ad osservare i poliziotti che scivolano indisturbati tra la folla, pronti ad intervenire al minimo segnale e in quel momento mi rilassai un po', sembrava tutto mediamente tranquillo, così schiacciai la cicca della sigaretta con la punta della scarpa e mi girai verso Ambra per vedere cosa stesse facendo ma non la vidi.
Feci alcuni passi verso il punto in cui sarebbe dovuta essere ma non c'era, neanche nei dintorni, e il sangue mi si gelò nelle vene. Iniziai a muovere convulsamente la testa, girando lo sguardo in qualsiasi direzione, fino a quando non vidi due sagome che si muovevano rapidamente puntando verso il lato destro della piazza, pieno di viuzze e piccoli passaggi. Le tempie presero a pulsarmi così come il cuore accelerò i battiti, porca troia non poteva essere successo davvero, era bastato perderla di vista un minuto? Aspettavano solo questo? Aspettavano proprio lei? Che sapessero qualcosa? Che fosse un esempio dell'operato della talpa? Troppi interrogativi per la mia mente che ad ogni passo perdeva lucidità. Mentre schizzavo da una parte all'altra della piazza cercando di seguire chiunque l'avesse presa, guardai il quadrante dell'orologio sul quale comparve il percorso che stavano facendo, o meglio, comparve il percorso che il localizzatore incastonato nel bracciale di Ambra stava segnalando e mi congratulai con me stesso per avere avuto quell'idea, anche se inizialmente mi era sembrata esagerata.
<< Qui Ivanov, codice viola, massima attenzione in tutta l'area, aumentare il controllo del perimetro. >> dissi attivando il microfono dell'auricolare e mettendomi in contatto con il mio corrispondente sfruttando la sequenza della polizia, mentre spingevo e strattonavo chiunque si fosse messo in mezzo al mio inseguimento.
<< Ricevuto. Invii la sua posizione, le manderemo dei rinforzi. >> mi sentii rispondere con tono neutrale.
<< Non ancora, se sarà necessario vi contatterò. >> dissi senza aspettare risposta. Chiunque fosse stato a prenderla doveva essere mio e speravo non le avessero fatto nulla perché non avrei esitato a ricambiare rabbiosamente anche il più piccolo graffio o livido che avrei trovato sul suo corpo, nessuno doveva toccarla, nessuno doveva farle del male, nessuno, a parte me...
Sì, le avevo fatto del male e gliene avrei fatto ancora continuando a trascinarla in quella sceneggiata, in quella realtà fittizia che mi voleva spietato e violento fino alla fine, in quella che era la mia missione più a rischio e della quale lei era soltanto una pedina, doppiamente vittima di un sistema brutale e controverso.
Continuai a correre ed a scontrarmi con qualsiasi cosa o persona si contrapponesse fra me e quel puntino indicatomi nel display dell'orologio, il quale si era finalmente fermato in uno dei tanti vicoli che costeggiavano la piazza e, quando sgomitando con l'ultimo ragazzo ubriaco che ciondolava per strada arrivai a destinazione, vidi l'unica cosa che non avrei voluto vedere.
Feci capolino da un angolo in quella viuzza stretta avvolta nella penombra, illuminata solo da un paio di lampioni al neon, e vidi due uomini, uno alto e robusto mentre l'altro più basso del primo e più smagrito, che discutevano animatamente mentre una sagoma dai ricci rossi sdraiata a terra emetteva dei mugugnii di sofferenza, alternati a colpi di tosse.
Prima che potessi avvicinarmi, il più alto dei due si abbassò su di lei prendendole bruscamente il mento fra il pollice e l'indice provocandole l'ennesimo lamento; a quel punto non ci vidi più dalla rabbia, presi la pistola a canna mozza che tenevo sempre nella tasca interna del cappotto e sparai due colpi in aria per attirare l'attenzione dei due bastardi. I due si girarono di scatto facendo quasi un balzo per la sorpresa, quello chino su di lei si alzò lasciando la presa sul suo viso e appena i loro luridi occhi si posarono sui miei, gli piombai addosso con tutta la rabbia che sentivo invadermi le tempie e le mani. Mi sentivo annebbiato da un misto di ira e preoccupazione, talmente tanto che non feci neanche caso ai volti dei due delinquenti, non mi importava, volevo solo togliermeli di mezzo per andare da lei che nel frattempo aveva smesso di lamentarsi, forse perdendo i sensi. Nel giro di un attimo mi trovai a picchiarli contemporaneamente, dando tanti pugni quanti erano quelli che incassavo: mentre con un gancio allontanavo lo spilungone, dall'altra parte arrivava un pugno di altrettanta forza dal suo compagno, se con un calcio colpivo quello robusto l'altro non si risparmiava nel darmi una testata facendomi indietreggiare e costringendomi a rallentare, per quanto fosse smilzo picchiava forte, quasi quanto l'altro indubbiamente più imponente; sapevano picchiare bene, senza dubbio, ed erano comunque in due, ma potevo vantare una preparazione ed un'esperienza alle spalle di tutto riguardo, non mi sarei fatto battere dai primi due bastardi di turno e poi avevo un motivo più che valido per toglierli di mezzo il prima possibile. Quello scontro andò avanti per diversi minuti nei quali i due non demorsero, così come me d'altronde, ma proprio quando con un pugno ben assestato mi misero con le spalle al muro, lasciandomi sdordito il tempo necessario per beccarmi un calcio allo stomaco tanto forte da farmi piegare in due e un montante dritto sul mento, le forze minacciavano di abbandonarmi e mi sentii invadere dal dolore di tutte le botte ricevute e che continuavo a ricevere, incapace di reagire, ma non potevo dargliela vinta, no, lei aveva bisogno di me. Bastò questa presa di coscienza per farmi sentire le mani bruciare come se fossero faville pronte a colpire qualsiasi cose gli capitasse a tiro e le fitte che precedentemente mi avevano fatto quasi cadere in ginocchio, lasciarono il posto ad una scarica di adrenalina. Vidi nei loro occhi lo stupore quando alzai nuovamente la testa così approfittai del loro sbigottimento e presi a colpirli con più violenza di prima: con un cazzotto sul naso, un calcio nelle parti intime e un bella gomitata dietro la testa misi fuori gioco quello robusto e quando cercò di rialzarsi gli tirai un calcio ben assestato in faccia, naturalizzandolo definitivamente mente lo smilzo si era attaccato al mio collo facendomi mancare l'aria ma lo afferrai per un braccio e, facendo perno sulla mia schiena, lo sbattei a terra di schiena, gettandomi su di lui e passandogli le mani attorno al collo sottile iniziando a comprimere la sua gola. Non feci neanche caso alle sue mani che mi colpivano il viso, nulla mi avrebbe fatto mollare la presa, finché quegli occhi terrorizzati e arrabbiati fossero rimasti aperti non mi sarei mosso e, quando finalmente ebbi la certezza che fosse svenuto, mi alzai, ancora con il fiatone, andando velocemente verso Ambra.
Era raggomitolata di fianco sul nevischio che copriva l'asfalto, il respiro lento e le braccia che stringevano l'addome, il suo viso diventava sempre più pallido e gli occhi socchiusi stentavano ad aprirsi. Sentii il mio stomaco attorcigliarsi e gli occhi bruciare, mentre le lacrime pizzicavano prepotentemente gli occhi, non ero riuscito a proteggerla, avevo fallito la mia missione più importante, come avevo potuto, ero arrivato tardi... speravo solo non troppo. Le accarezzai la guancia sperando aprisse gli occhi, doveva guardarmi, dovevo essere sicuro che, in qualche modo, stesse bene e quando le sue palpebre si aprirono quel poco che bastò per stabilire un contatto visivo, il mio cuore accennò a rallentare la corsa furiosa iniziata in piazza.
<< Ti hanno ferita? >> chiesi temendo già la risposta. Lei provò a parlare con un certo sforzo, ma dalle sue labbra uscirono soltanto dei lamenti confusi.
<< Shh, va bene, fammi solo un cenno con la testa. >> e lei annuii.
<< Dove? >> girò leggermente la testa verso la sua schiena così provai ad indovinare.
<< Alla schiena? >> un altro segno di assenso.
<< E ti hanno colpita in altri punti? >> mi bastò vederla piegata in due da un colpo di tosse mentre continuava a tenere le braccia avvolte attorno l'addome per capire che sì, l'avevano colpita e anche pesantemente. Mi sentii sempre più in colpa, non solo l'avevano ferita, sicuramente si trattava di una ferita da taglio, ma l'avevano anche visibilmente picchiata, tutto perché non ero stato abbastanza attento... Dio quanto mi odiavo in quel momento, ero l'unico vero responsabile di tutto quello che le era successo perché se solo non avessi improvvisato quello stupido ballo che l'aveva messa in imbarazzo facendola allontanare, se solo l'avessi tenuta più vicina a me, sicuramente non sarebbe successo nulla.
<< Bene, ascoltami, ora ti prenderò in braccio, dobbiamo far credere che ti sei ubriacata e hai perso i sensi soprattutto per entrare in hotel, quindi so che farà molto male, ma prova a resistere solo per questi minuti e poi ci penserò io. >> non aspettai nessun cenno da parte sua, avrei dovuto farlo in ogni caso, così la sollevai passando un braccio sotto le sue ginocchia e l'altro attorno le spalle ma, appena la sollevai, i suoi muscoli si irrigidirono e un gemito sofferto scappò al suo controllo.
<< Lo so, lo so, tieni duro Ambra, solo pochi minuti ancora. >> fu come una pugnalata vederla perdere i sensi contro il mio petto mentre mi dirigevo il più velocemente possibile verso l'albergo, incurante del muro di gente che continuava a riempire le strade, ma, per quanto poco mi importasse in quel momento, non potevo trascurare la missione ufficiale.
<< Qui Ivanov, ho neutralizzato due rapitori, invio le coordinate del punto in cui potete trovarli. >>
<< Ricevuto. >> mi risposero dall'altra parte dell' auricolare.
<< La ragazza? >> mi sentii chiedere quando arrivai all'ingresso del Metropol.
<< Nulla di grave, è con me. >> e la conversazione si concluse. Arrivati davanti la hall con Ambra ancora priva di sensi, il receptionist di turno, un ragazzo sulla ventina e con un viso pieno di lentiggini, mi venne incontro preoccupato.
<< Oh santo cielo, signore ha bisogno di aiuto? Cos'è successo? >>
<< Non si preoccupi, alla mia ragazza piace alzare il gomito più del dovuto in queste sere di festa, le dico sempre che non regge bene l'alcool ma non è un tipo facile da convincere. >> dissi quasi con un falso tono scherzoso ma il viso allarmato del mio interlocutore non sembrava distendersi.
<< Mm capisco, vuole che chiami un medico? Un'ambulanza? >> fece per girare da dietro il bancone e venire verso di noi ma prontamente mi allontanai.
<< Non è necessario veramente, ormai è da anni che stiamo insieme, so come farla riprendere. Mi potrebbe dare le chiavi della camera? >>
<< Ma si certo. >> mi rispose con fare concitato e, dopo averle prese, girai sui tacchi, sentendo alle mie spalle lo sguardo apprensivo e fastidioso del giovane receptionist, dirigendomi verso gli ascensori e provando a premere il pulsante con non poche difficoltà, dato che lei iniziò a muoversi.
<< Aspetti, l'aiuto. >> con passi veloci lo trovai al mio fianco. Dopo che ebbe chiamato l'ascensore al mio posto, con lo sguardo lo invitai a tornare al suo posto ma non sembrò cogliere il mio muto congedo, anzi, era così perso dal rivolgere occhiate ammirate e angosciate verso Ambra che neppure se ne accorse. Tutte quelle "attenzioni" mi infastidirono, solo io potevo guardarla in quel modo, solo io potevo prendermi cura di lei... Cos'era? Gelosia? Certo che no. Forse un senso di possesso, di protezione? Sì, certamente più credibile.
<< La ringrazio e buonanotte. >> gli dissi con tono piatto rimproverandolo con lo sguardo, giusto un attimo prima che le porte scorrevoli si aprissero davanti a noi e il ragazzetto, riscosso dalle mie parole, mi guardò imbarazzato e torno al suo lavoro.
Entrati in camera la feci sedere sul letto e, tenendola per le spalle, la spogliai togliendo i vestiti insanguinati fino all'ultima maglietta che mi divideva dalla sua pelle. La alzai delicatamente scoprendo la ferita che, come avevo immaginato, era stata inferta con una lama larga ma corta, l'unico lato positivo era che non essendo profonda non aveva perso troppo sangue. Entrai in bagno per inumidire un asciugamano con acqua tiepida, ne presi una seconda asciutta e tornai in camera, frugai nella valigia e ne tirai fuori il borsello del "pronto soccorso" che mi portavo sempre dietro, poi andai verso il letto dove trovai Ambra distesa sul fianco destro che mi guardava con gli occhi appena socchiusi, troppo stanchi e provati per poter stabilire un vero e proprio contatto visivo, ma abbastanza svegli da farmi capire quanto mi faceva soffrire vederla in quelle condizioni per causa mia.
La medicai con cura e le diedi un antidolorifico mentre i lividi sul suo viso iniziavano a prendere forma, timide macchie violacee e bluastre le tingevano le guance e il labbro superiore era particolarmente gonfio.
Mi chinai per toglierle le scarpe in modo da farla distendere e riposare un po', erano già le 2:30 del mattino, avremmo dovuto sfruttare quel po' di tempo che restava per recuperare le forze, considerando che la giornata successiva sarebbe stata altrettanto strassante e speravo meno violenta.
Alzai lo sguardo verso di lei che nel frattempo si era tirata un po' su facendo peso sui gomiti e nei suoi occhi lessi una grande riconoscenza, una riconoscenza che non meritavo.
<< Mi dispiace molto per quello che è successo, era una mia responsabilità evitarlo, sarei dovuto essere più attento e più pronto. >> dissi con un filo di voce a testa bassa, profondamente deluso da me stesso.
<< Non è colpa tua, come avresti potuto prevederlo o evitarlo? Anzi non mi spiego come hai fatto a trovarmi in quel vicolo. >> alzai lo sguardo verso di lei che nel frattempo cercava di raddrizzarsi, se solo avesse saputo che avrei potuto davvero evitarlo, avevo tutti gli strumenti per evitarlo... sarebbe bastato non allontanarmi, essere professionale come sempre, essere vigile e attento, dimenticando le emozioni, ma con lei per quanto mi sforzassi non riuscivo ad esserlo a pieno... maledizione!
<< No, avrei dovuto evitarlo, avrei potuto evitarlo e invece ho permesso che accadesse, che ti facessero del male. >> un tocco delicato sulla mano destra mi riportò alla realtà e lo sguardo dolce di due occhi così limpidi mi riscaldò l'anima come nient'altro avrebbe potuto fare.
<< Ehi, non potevi fare niente di più rispetto a ciò che hai fatto, anzi hai fatto moltissimo, e ti devo ringraziare perché è solo per merito del tuo intervento se adesso sono qui. >> mi stava veramente ringraziando? Mi stava ringraziando nonostante la mia leggerezza? Quella tenerezza ingenua mi disarmò e non riuscii più a dire altro, mi limitai a stringerle la mano rivolgendole un sorriso malinconico e mi alzai andando verso il divano cosicché lei potesse riposarsi, lasciando che l'antidolorifico facesse effetto, mentre io mi sarei lasciato andare al dolore delle botte che, fino a quel momento, era stato sovrastato dall' adrenalina.
<< Aspetta... >> la sentii richiamarmi quasi in un mormorio e la vidi barcollare lentamente verso di me.
<< Devi riposare, non vagare per la stanza. >> le andai in contro per sorreggerla e le passai un braccio attorno alla vita, riaccompagnandola verso il letto ancora intatto.
<< Non puoi lasciare quelle ferite sporche e lo zigomo ha bisogno di un po' di ghiaccio, si sta gonfiando velocemente. >> quelle parole cariche di apprensione mi stupirono non poco, si stava preoccupando per me? Non avevo minimamente pensato ai segni sul mio viso, era stato uno scontro come altri, nulla di più, nulla per cui valesse la pena di angosciarsi.
<< Non spetta a te essere in pensiero per te, al massimo il contrario. >> le dissi cercando di sorregerla con la poca forza che mi restava.
<< Se non ti trascurassi potrei darti ragione. >> quella frase mi fece sorridere, se solo avesse saputo quante volte mi ero "trascurato", quante volte ero tornato a casa, in albergo o alla base pieno di tagli e lividi, senza nessuno, compreso me, che si interessasse dei danni fisici, l'unica cosa che contava era portare a termine la missione, ad ogni costo e in ogni modo.
<< Ti stai preoccupando per me? >> risposi compiaciuto e quasi stordito da quell'apprensione, lei era l'ultima persona che si sarebbe dovuta preoccupare per me, proprio per me che ero il suo carceriere e il suo aguzzino, dopo tutto quello che le avevo fatto...
<< E se anche fosse? >> mi disse con una sfumatura di provocazione dopo che la feci sedere sul bordo del letto, mentre cercava di reggersi sui gomiti.
<< Faresti meglio a non farlo. Io sono il nemico, l'hai dimenticato? >> risposi a tono accovacciandomi davanti a lei per poterla guardare negli occhi e... Dio, che errore madornale! Mi trovai davanti due meravigliosi cristalli color smeraldo, talmente limpidi da potersi specchiere in essi, talmente profondi da farmi sentire nudo, spogliato dalle mie colpe e dalle mie inquietudini, lontano dai demoni della mia anima.
<< Non lo sei stato stasera. >> mi disse quando eravamo così vicini da sentire ognuno il respiro dell'altro accorciarsi sempre di più, come la distanza che separava le nostre labbra.
<< Domani tornerò ad esserlo. >> affermai con l'ultimo sprazzo di lucidità che mi rimaneva. Stavo perdendo il controllo, lo sapevo, ma non volevo fermarmi, oh no, volevo andare fino in fondo, avevo bisogno di lasciarmi andare, solo una volta.
<< E io domani tornerò ad odiarti, ma non stanotte. >> tutti i miei freni inibitori mi abbondanarono e mi tuffai sulle sue labbra, così morbide da sembrare di seta, così magnetiche da essere più attraenti di una calamità, così sue da mandarmi fuori di testa. Divorai quella bocca come un cacciatore avrebbe fatto con la preda, avvolsi la sua vita con un braccio e la tirai su di me, così da trovarmi con la schiena sul materasso per non gravare sulla sua medicazione ancora fresca. La sua lingua si muoveva rapida con la mia, si pizzicavano, si inseguivano e si sfidavano... avrei dovuto fermarmi, ne ero perfettamente consapevole, ma lei riusciva a cancellare qualsiasi decisione logica avrei voluto prendere, riusciva a far tremare le catene di apatia e freddezza che mi avvolgevano, catene con cui la vita mi aveva costretto a soffocare ciò che ero e che forse non sarei mai più stato, ma la sua presenza, il suo contatto, stavano sconvolgendo le mie certezze; non mi ero mai sentito così spaesato, così smarrito in me stesso... così dannatamente felice.

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