Capitolo 7

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Non so quanto tempo passò, forse qualche ora, ma ad un certo punto entrai in uno stato di dormiveglia. Sentivo le lamiere del camion, erano fredde così come l'aria e mi venne la pelle d'oca, avevo ancora i polsi legati e la testa dentro un sacco, i brividi mi facevano tremare terribilmente e mi sentivo sballottata a destra e sinistra, a quanto pare c'erano delle curve e chi guidava non era molto bravo. La mia mente iniziò a ripensare che quel viaggio mi avrebbe portato verso un destino che probabilmente comprendeva la mia lenta e dolorosa morte di lì a breve, per mano di chissà chi e con chissà quale trattamento. Cominciai a respirare male e più cercavo di riprendermi e meno ci riucivo, iniziai a fare movimenti convulsi, volevo togliermi quelle corde dalle mani, quel sacco dalla testa e avevo bisogno d'aria, tanta aria ma non ci riuscivo. Sentivo la pelle dei polsi graffiarsi sempre di più e faceva male ma non potevo fermarmi, dovevo riuscire a togliermele perché se ci fossi riuscita avrei potuto aprire lo sportello del camion e buttarmi giù e se ne sarebbero accorti solo quando ero abbastanza lontana. Continuai così a lungo ma più sentivo la pelle strapparsi, più le corde sembravano dure e più le mie speranze svanivano, fino a quando non sentì il sangue che scendeva sulle mani. A quel punto mi resi conto che non potevo fare niente, assolutamente niente, ero impotente, costretta a sottostare a ciò che mi volevano e che mi facevano gli altri e per questo stavo completamente impazzendo. Avevo voglia di strapparmi quei "vestiti" di dosso, mi facevano sentire sporca come una prostituta che si presta a tutto e tutti, nonostante io non fossi così. Una tristezza e un' autocommiserazione mi travolsero e mi vennero le lacrime agli occhi, ma non potevo piangere perché ero sicura che da lì a poco ci avrebbero tirato fuori e non volevo dargli la soddisfazione di vedermi con gli occhi gonfi. Come se avessi predetto il futuro, pochi minuti dopo ci fermammo e sentì uno sportello chiudersi e dei passi pesanti lungo il perimetro del furgone ,fino a quando il mio sportello non venne aperto e un vento gelido mi colpì. Non avevo sentito Natasha per tutto il tempo, probabilmente l'effetto su di lei era durato di più infatti sentii la sua presenza solo quando un suo lamento mi fece capire che si era svegliata. Mi tirarono, facendomi cadere di fianco e, dopo avermi preso in braccio come se fossi un sacco, mi fecero scendere dal furgone mettendomi con i piedi per terra. Sotto i tacchi percepii un pavimento perfettamente liscio, come se fossimo in un parcheggio ben curato eppure, quando cominciammo a camminare, sentivo le gambe molli e trovavo difficoltà a seguire il loro passo, troppo rapido per me. Il rumore dei tacchi miei e di Natasha risuonavano in quel silenzio abbissale che mi metteva una terribile inquietudine, infatti rallentai più del previsto meritandomi uno strattone da parte del mio accompagnatore. Eravamo ancora bendate e legate e odiavo la sensazione di essere cieca, non ero mai stata brava con l'udito. Il sangue continuava a scendere e faceva male, troppo, forse non si erano neanche accorti che mi ero tagliata o meglio così credevo perché subito dopo ci fermammo, mi sentii girare di schiena e uno schiaffo mi colpì in pieno viso facendomi perdere l'equilibrio. Cominciarono ad impastare parole, gridavano, erano arrabbiati perché dovevo presentarmi il più bella possibile e quei tagli avrebbero fatto scendere il mio prezzo. Appena si calmarono, accelerarono il passo e entrammo non so dove ma era un ambiente riscaldato, sentii i pulsanti di un ascensore e quella sensazione che si ha quando si sale per diversi piani. Appena scendemmo non capì più molto, sentivo odori strani, sigaro e sigarette e alcolici, rumori strani, voci diverse e il suono prodotto dalle scarpe da uomo eleganti. Aprirono una porta e mi spinsero dentro, richiudendola alle proprie spalle. Finalmente il sacco fu tolto e la luce investì i miei occhi, era una sensazione terribile, quella luce bruciava infatti per un pò tenni gli occhi chiusi ma la consapevolezza di poter vedere di nuovo distese i miei nervi, anche se di poco. Le corde attorno ai miei polsi vennero tolte con un colpo di coltello e la circolazione riprese, scatenando un calore che, a differenza del freddo che avevo sentito, era rigenerante. Quando finalmente aprì gli occhi rimasi scioccata per la stanza in cui mi trovavo, non sembrava neanche una vera e propria stanza ma più una cabina fatta interamente di vetri oscurati e io ero all'esterno di questi, in modo che chi si trovava dall'altra parte vedeva me e io non vedevo loro, a contrasto invece il pavimento era rivestito con tappeto rosso molto sottile e il tutto era illuminato da un neon a luci calde. Mi lasciò la dentro e intuii che l'asta era iniziata quando sentii una vocina che veniva da chissà dove cominciare a dire <<italiana, 20 anni, conoscenza di tre lingue, studio del pianoforte.>> Il tono era gelido, quasi registrato e totalmente apatico e credo che se si fosse parlato di una macchina sarebbero trasparite più emozioni. Quindi ero diventata questo, un oggetto o forse meno ed ero sicura che sarebbe stato così da quel momento in poi. Ma io non ero un oggetto e mi sentivo umiliata, schiacciata da tutto questo. Dopo pochi minuti, nei quali non avevo fatto altro che girare un pò su me stessa e dondolarmi sui tacchi, la porta si aprì ed entrarono due uomini che non avevo mai visto. Mi misero nuovamente il bavaglio, le corde nei polsi e il sacco in testa ma stavolta, questo era impregnato della stessa sostanza con la quale mi avevano narcotizzato il giorno prima. Cominciai a smaniare per toglierlo, strattonavo le corde che erano ancora lente mentre quelli cercavano di tenermi ma appena riuscii ad afferrare quel sacco, un pugno mi colpì in pieno viso e caddì a terra.

Angolo autore.
Siamo arrivati in punto di svolta dove Ambra scoprirà cosa l'aspetta dopo un lungo periodo di ansie e soprattutto chi l'aspetta, spero di suscitare la vostra curiosità.
Al prossimo capitolo.

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