Capitolo 9

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L'uomo si avvicinò a me e mi sollevò un po' il mento, ma non abbastanza da permettermi di vederlo in faccia. Le sue mani erano morbide e fredde, con un tocco deciso e che non lasciava scampo. Mi lasciò e mia la testa tornò bassa quando un colpo di tosse mi colpì in pieno facendomi abbassare ancora di più. Avevo il fiatone dalla fatica, mi faceva male il petto e il cuore batteva all'impazzata, ero terrorizzata perché appena i miei rapitori se ne sarebbero andati sarei rimasta sola con lui e, qualunque cosa volesse farmi, non avevo la forza di reagire. Iniziarono a parlare ma non capivo quella lingua, il mio padrone sembrava arrabbiato, di certo si aspettava qualcosa di meglio di quel catorcio umano che gli era arrivato e chissà quanto mi aveva pagato. Dopo qualche minuto quella conversione accesa si concluse, colui che mi teneva dritta mi lasciò e mi spinse facendomi cadere sul fianco sinistro e sentii dei passi allontanarsi. Eravamo soli. Avevo i capelli che mi nascondevano la faccia e i polsi erano ancora legati, guardavo fisso il pavimento perché ogni movimento del collo aumentava il mal di testa, o meglio li tenevo socchiusi, ero troppo stanca e dolorante per guardare per bene ciò che avevo attorno ma almeno la luce non mi dava più troppo fastidio. Quell'uomo si avvicinò a me e si inginocchiò al mio fianco, prese qualcosa di duro e freddo, un coltello forse e mi spaventai perché non avrei retto altre violenze, non in quel momento. L'unica frase che mi uscì fu <<ti prego non farlo, non ora>> ma lui lo passo tra le mie mani e tagliò le corde. Il sangue riprese a scorrere velocemente e una sensazione di calore si fece spazio nei polsi e nelle mani, avevo dimenticato cosa si provava a sentire il sangue scorrere normalmente. Rimase lì accanto a me per qualche secondo e sentivo il suo sguardo sul mio corpo, sussurrò qualcosa che sembrava tanto una frase come <<ma cosa ti hanno fatto>>. C'era compassione nella sua voce eppure era così distaccata, quasi come se non provasse emozioni. Si alzò e, piegandosi verso di me, mi prese in braccio, appoggiando la mia testa sulla sua spalla sinistra e le mie gambe pendevano dal suo braccio destro. Aveva un profumo buonissimo, non saprei attribuirlo a un qualcosa nello specifico, sapeva di uomo, di forza, di rigore. Il suo petto era muscoloso così come le braccia e l'andatura costante e lenta. Tenevo gli occhi chiusi, il naso pulsava e anche le tempie, l'unica cosa che speravo era che non mi facesse del male perché di sicuro mi avrebbe uccisa. Aprì una porta e mi distese su qualcosa di morbido, come se fosse il lettino di un medico, avevo la schiena un po' alzata e le gambe distese. Mi spostò i capelli dal viso, la luce era bassa e riuscì ad aprire gli occhi anche se mi sentivo tremendamente a disagio a farmi vedere sveglia. La stanza era piccola, c'era un grande armadietto trasparente pieno di farmaci, garze, disinfettante, accanto alla mia brandina c'era una poltrona e al lato dell'armadio un piccolo banco di acciaio attaccato ad un lavandino sempre in acciaio, le pareti bianche. Sembrava una piccola infermeria, anzi ero convinta che lo fosse. Nel frattempo i brividi tornarono e mi procurarono un lamento che venne prontamente seguito da un colpo di tosse che mi costrinse a mettermi seduta, facendomi lacrimare. Quando questa crisi passò mi distesi di nuovo, avevo l'affanno e respiravo male e anche le ferite disseminate qua e là si facevano sentire, un ottimo risultato direi. Girai leggermente la testa verso colui che nel frattempo armeggiava con diversi farmaci e altro che non vedevo ma mi soffermai a guardare lui: aveva le spalle larghe e atletiche, il bacino stretto e delle lunghe e palestrate gambe. Sembrava un modello, almeno di spalle, ma quando si girò ne ebbi la conferma, di uomini così ne avevo visti pochi, davvero pochi. Aveva la pelle chiara, labbra carnose e rosse, il viso magro e con la mascella leggermente in evidenza, zigomi alti e degli occhi eccezionali, erano un misto tra il verde e il blu scuro, un colore intenso, con delle sfumature dorate mentre i capelli erano castano chiaro, leggermente lunghi. Non riuscì più a tenere gli occhi aperti, anzi mi ero sforzata perché ogni cosa in movimento che vedevo mi faceva venire la nausea. Sentii i suoi passi avvicinarsi, posò qualcosa accanto le mie gambe, mi tolse i capelli dal viso e prese una spugna piena d'acqua con la quale mi pulì il viso lentamente, mi sollevò prima una mano e poi l'altra e fece la stessa cosa con i polsi per scendere sulle mie gambe e pulire le ferite sulle ginocchia. Le sue mani erano così esperte e delicate ma sempre fredde, era come se mi stesse facendo un favore e in effetti lo era, poteva benissimo lasciarmi all'ingresso buttata a terra sanguinante. Con una garza piena di disinfettante iniziò a tamponare il mio labbro ma al primo tocco strizzai gli occhi e li socchiusi, bruciava maledettamente.
<<Lo so, brucia abbastanza. >> mi disse guardandomi. Annuii leggermente e serrai i denti mentre iniziò a disinfettare i polsi, le ferite erano profonde e facevano davvero male, strinsi i pugni, non avevo idea di come fossero perché non le avevo viste ma di certo non erano un bello spettacolo. Dopo passò alle ferite sulle gambe e neanche quelle scherzavano per quanto riguarda dolore, mise una crema e infine avvolse polsi e ginocchia con delle garze pulite, mentre sulle altre ferite mise dei grandi cerotti. Ora mi sentivo meglio, almeno non sanguinavano più ma tutto il resto continuava a non andare bene. Brividi di freddo continuavano a scuotermi e respiravo male, mi sentivo un peso sui polmoni e le fitte al petto aumentavano. Sentii qualcuno toccarmi una mano e aprii un po' gli occhi, era lui che aveva in mano un bicchiere d'acqua con delle pillole. <<Prendi queste sono per la febbre. >> il suo tono era neutrale, mi alzai leggermente e buttai giù tutto. Tornai a distendermi, avevo sonno, mi si chiudevano gli occhi. <<Da quanto non mangi?>> mi chiese e io, con occhi chiusi, ci pensai un attimo e mi accorsi che neanche me lo ricordavo quando avevo mangiato l'ultima volta. <<Non lo so. >> sussurrai, in quel momento volevo solo dormire un po' non avevo per niente voglia di mangiare. Mi prese di nuovo in braccio e uscimmo dalla stanza, mi attaccai al suo petto e mi feci cullare dai suoi movimenti lenti e regolari, salimmo una lunga scalinata e aprì un'altra porta. Mi appoggiò su un letto morbidissimo, mi tolse le scarpe e mi coprì con una coperta altrettanto morbida. Il cuscino profumava di pulito, la stanza profumava di pulito ed era calda. Sentii dei passi allontanarsi e la porta chiudersi, un senso di tranquillità mi travolse dopo tutti quei giorni e fu la sensazione più bella che avessi mai provato. Non sapevo cosa sarebbe successo fra me e quell'uomo ma almeno mi aveva aiutato, sicuramente era solo stato mosso a pietà ma non avevo la forza per fare l'orgogliosa e credo che in quel momento non mi sarebbe convenuto granché. Mentre valutavo tutto questo non mi accorsi di sentire gli occhi sempre più pesanti e, ad un certo punto, mi addormentai.

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