Capitolo 4

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I cioccolatini al sicuro nello zaino, tornavo saltellando a casa, nonostante sentissi i muscoli delle gambe dolere per via della nostra professoressa di educazione fisica, a dir poco fanatica.

Levi mi aveva dato i cioccolatini, erano lì dove glielo avevo chiesto, e già ne avevo mangiato uno. Sforzarsi di non urlare era stata dura. Niente in quel momento poteva rovinare il mio umore, neanche il gusto dei cioccolatini: latte.
Ora, io ero fottutamente intollerante al lattosio, tanto che mi bastava una Galatina perché mi venisse la diarrea, ma piuttosto che rinunciare a quei cioccolatini, ai cioccolatini di Levi, me la sarei tenuta fino al mio compleanno ed anche oltre, se fosse stato necessario.
La vera impresa sarebbe stata riuscire a nasconderli dalla vista di mamma che dire impicciona era poco.

Ma in quel momento ero tanto allegro che non mi accorsi nemmeno che qualcuno stava facendo la mia stessa strada, seguendo i miei stessi passi.
Me ne resi conto -o meglio, ci feci caso- solo quando i passi di quella persona non mi furono a meno di un metro di distanza. Lanciai un'occhiata svogliata dietro la spalla, come se non me ne fregasse niente di avere uno stalker alle calcagna perché ero tanto forte che Thor levati, ed incontrai lo sguardo scontroso di Levi.

Preso dall'emozione e deciso a non fargli vedere il rossore che sapevo si stava espandendo su tutto il mio viso mi rigirai, assumendo una finta aria scocciata.
«Che, mi segui?»

«Sei tu che mi precedi, idiota.»

«Certo, idiota.» non potevo vederlo ma riuscivo ad immaginarmi la sua reazione scocciata: gli occhi chiusi e respiri profondi per controllare la rabbia.

«Non ti sto seguendo, sto andando dal dottore, e si dia il caso che a quanto pare sia sulla stessa strada di casa tua.» non registrai del tutto le sue parole, solo quel tanto necessario che bastava per accorgermi che stava continuando a tossire.

«Se stai tanto male perché sei venuto a scuola?»

«Cosa cazzo te ne frega?» alzai gli occhi al cielo alla sua risposta acida ma mi resi conto di non essere scocciato. Forse perché già sapevo la risposta.

«Per il White Day, eh?- feci malizioso, voltandomi verso di lui ed iniziando a camminare all'incontrario, alzando e abbassando le sopracciglia. Lui però non rispose. -Ma poi come diavolo hai fatto ad ammalarti a Marzo?»

«Marzo è il mese migliore per ammalarsi. Pensi ci sia bella stagione e vai vestito più leggero ma alla fine ti ammali perché le temperature si abbassano di quindici gradi dal mattino al pomeriggio. Mai sentito dire 'marzo è pazzerello, fuori c'è il sole porta l'ombrello'? O magari l'hai sentito ma sei troppo idiota per afferrarne il concetto.»

Stavo per rispondere ma, rigirandomi nel giusto verso, mi accorsi di essere arrivato a casa. Senza salutarlo suonai al citofono.
«Chi è?» arrivò la voce gracchiante. Sentii Levi trafficare dietro di me.
«Io.» il cancello si aprì ed io entrai. Stavo per chiuderlo quando Levi vi infilò in mezzo un piede. Lo guardai a metà tra lo stupito e l'irritato.
«Il dottore è qui.»

Solo quando fummo insieme nell'ascensore, il più distanti possibile e diretti allo stesso piano, mi resi conto che l'unico dottore esistente in quella piccola città di merda era mio padre e che lui guarda caso lavorava nell'appartamento davanti a casa.
Aprii bocca per dire qualcosa, tipo che ero uno sfigato perché proprio quel giorno mio padre mi aveva chiesto di aiutarlo in clinica, quando l'ascensore si bloccò. Le luci si spesero e con un brivido mi resi conto che era colpa mia che mi ero appoggiato sui pulsanti dell'ascensore. Mi staccai immediatamente dalla parete, non che fossi triste per la situazione.

«Tranquillo- mormorai, temendo che dal mio tono di voce capisse che era colpa mia e che ne ero pure felice. Dopotutto era la persona che mi conosceva meglio, anche se lui non lo sapeva. O meglio, anche se lui non se lo ricordava. -succede spesso. L'ascensore è vecchio. Si sbloccherà tra dieci, quindici minuti al massimo.»

Pretending to hate youDonde viven las historias. Descúbrelo ahora