Capitolo 9

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Tre colpi forti e decisi risuonarono nell'aula, interrompendo il monologo dell'insegnante. Senza aspettare che gli fosse dato il permesso Zeke spalancò la porta ed immediatamente tutti gli studenti della classe si alzarono in piedi. Zeke fece un cenno col capo per indicare loro che potevano sedersi, poi si rivolse al professore.

«Posso rubarti Eren, Marco?» chiese, senza neanche provare a nascondere la sua ansia e preoccupazione.

«Certo signore. Eren.» Zeke osservò gli occhi di suo fratello riempirsi di panico ma lui comunque si alzò e lo seguì fuori dalla stanza.
Una volta chiusa la porta non si prese la briga di dargli spiegazioni e si diresse a passo svelto nel suo ufficio, certo che Eren lo stesse seguendo.

Pochi minuti dopo erano seduti l'uno davanti all'altro ai due lati della sua scrivania. Eren evadeva il suo sguardo, cosa che mai aveva fatto.

«Eren.- lui alzò gli occhi per un istante per poi riportarli velocemente in basso, guardando con apparente interesse le sue mani sfregarsi. -Ti devo chiedere scusa.»

Quello bastò per attirare su di sé la più completa attenzione di suo fratello. «Come...?»

«Penso tu sappia quanto io sia orgoglioso, Eren. E non nel senso buono del termine. Ed è una delle cose che più odio di me stesso. Non sono mai riuscito a dirti infatti che... Vedi, sono ridicolo, ho problemi a farlo anche adesso.- Eren lo fissava con occhi spalancati e confusi e, per qualche motivo, ciò causò una fitta allo stomaco di Zeke. -Io voglio dirti che mi dispiace Eren di essere stato un pessimo fratello. Non voglio cercare scusanti, non ne ho, e non provare a dire il contrario perché tutto quello che faresti è coprire un'azione terribile e non è una cosa che puoi fare con uno schiocco di dita. Eren, io sono stato pessimo con te. Ti ho privato di me stesso quando tu ti offrivi del tutto, ti ho rifiutato, offeso, ferito, però non lo vedevo, ero troppo concentrato sul mio dolore. Che a differenza del tuo non era neanche reale, solo un'illusione provocata dalla gelosia. Perché un'altra terribile cosa su di me è che io sono estremamente egoista e condividere quella che era la mia vita con un estraneo, con te... Era una prospettiva da incubo, nella mia mente.»

«No Zeke va tutto bene, tu non hai fatto nulla di sbagliato, sono io, è colpa mia, lo... Lo è sempre...»

«No!- Zeke scattò in piedi, sbattendo le mani sul tavolo e facendo sobbalzare Eren. -Smettila Eren, basta, non mentire, neanche a te stesso! Tutto ciò che ho fatto è imperdonabile, ancora di più visto che nonostante tutto tu continui a negare! E mi dispiace Eren che io mi sia mosso solo ora, quando sei nel fondo del baratro! Prima l'orgoglio mi fermava ma ci sono cose più importanti. E ci ho messo troppo a capirlo. Eren, io ti voglio bene. Tanto, tanto bene. Ma questo non è quell'Eren che conosco io. Quello testardo, idiota, istintivo, che non pensa due volte prima di agire. Me lo puoi dire che ti è successo, Eren, per favore? Te l'ho detto che sono egoista, quindi se non vuoi farlo per te, fallo per me. Perché possa riparare ciò che ho rotto e rimediare ai miei errori. Ti prego Eren, mi sto umiliando per te, cosa devo fare ancora, dimmelo, ti prego lasciati aiutare.» a quel punto grosse lacrime salate scorrevano sul viso dei due fratelli. Quelle del maggiore silenziose, calme, mentre quelle del più piccolo scendevano veloci, giù sotto il mento e sulle mani congiunte in grembo.

«Ti...- un singhiozzo scosse il corpo di Eren, che si sbrigò ad asciugarsi le lacrime con le maniche della camicia. Ma quelle continuavano a cadere, giù per il collo e dentro la maglia. -Ti voglio bene anch'io, Ze-Zeke!- pianse, buttandosi tra le sue braccia. -Mi spiace tanto!»

«Non... Non fa niente Eren, non devi scusarti di nulla, ok?- Eren annuì contro il suo petto. -Mi vuoi dire che cosa è successo, allora?»

E sebbene i due avessero parlato di Armin e Levi e dei problemi del ragazzo solo per un'ora, Eren rimase nel suo ufficio per il resto della giornata. Del resto avevano tanto da recuperare e Zeke sapeva quanto fosse importante per poter andare avanti, che si fosse a scuola o nella vita comune.

Fu in quella stessa giornata che Zeke chiamò la polizia e che Eren guardò colui che soleva essere il suo migliore e più fidato amico venire trascinato via da questi alla volta del commissariato. Eppure non fu con tristezza che il brunetto giunse a casa.

***

Eren decise che si sarebbe confessato. Presto, il prima possibile.

Solo, non quel giorno. O quello dopo. O quello dopo ancora.

Così Eren tornò lo stesso di prima, a ridere e scherzare con i suoi amici, ma continuò ad ignorare Levi. Per imbarazzo, paura, ansia. Ogni giorno trovava una nuova scusa per rimandare la sua dichiarazione.

E Mikasa non era d'aiuto. Contenta com'era che Eren stesse bene il loro rapporto era passato in secondo piano. Ciò che era importante è che parte della sua famiglia stava bene, anche se nessuno aveva capito perché, prima di tutto, fosse stato male. Si immaginò che Armin avesse dovuto avere un ruolo fondamentale in quella parte di storia ma Eren non ne fece mai parola.

La cosa peggiore, per Eren, era sentirsi addosso lo sguardo di Levi. Non sapeva come descrivere quello sguardo ma sapeva che, girandosi, avrebbe incontrato i suoi occhi. E non per vaghe sensazioni, bensì perché era successo già più volte.
Ed Eren non sapeva che pensare. Rabbia? Odio? ...gelosia?

Eren scosse la testa. E di cosa? Di quello che considerava un rompiballe? No di certo.


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*volevo fare una cosa tipo preview ma mi ha già pubblicato il capitolo. ...
Il prossimo comincia con una scena tra loro due ed Eren... Noterà qualcosina di bello :)

Pretending to hate youWhere stories live. Discover now