Capitolo 13

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Levi iniziò la serata molto male.

Non portò nulla ai miei genitori come pensierino e, dallo sguardo gelido di mia madre e da quello pieno di disapprovazione di mio padre, capii che stavano già pensando di buttarlo fuori casa.

Eravamo tutti a tavola, io e Levi seduti a capotavola così da essere il più lontano possibile.
Mia madre era in cucina a preparare gli ultimi ritocchi mentre mio padre aspettava che Levi iniziasse un discorso.

Anche la loquacità e la capacità di capire quando parlare e quando non era di vitale importanza secondo i miei genitori. Se nella coppia uno era arrabbiato l'altro doveva capire se intervenire o meno al primo sguardo. Altrimenti si iniziava male.

Levi non sembrava soddisfare quelle aspettative.

Continuava a muoversi sulla sedia, evadendo al mio sguardo e chiaramente a disagio. Altro punto a svantaggio. Doveva controllare le sue emozioni.

Cavolo. Tre vite passate a rincorrerci e a fermarci erano proprio i miei genitori. Quasi inconcepibile.  Purtroppo non avevo il coraggio di disubbidire ai miei genitori riguardo qualcosa di tanto importante come la mia vita futura e non volevo certo voltar loro le spalle. Loro che mi avevano cresciuto e sopportato per tutta la mia vita. Era un pensiero ancora più inconcepibile.

Ciò non voleva dire che avrei smesso di lottare per stare al fianco di Levi. Speravo soltanto che lui avrebbe fatto lo stesso.

<<Dimmi, Levi, ti piace questo paese?>> chiese mio padre quando oramai tutti avevano capito che Levi non avrebbe aperto bocca se non interpellato.

<<Non... Non è male, sì. Non il paese che sceglierei per viverci ma... Ma mi piace.>>

<<Mh... E dimmi, saresti disposto ad abitare qui se Eren lo desiderasse?>> la domanda parve coglierlo di sorpresa.

<<Oh, uhm... Immagino di sì signore.>> quel signore gli era piaciuto ma la risposta purtroppo no.

<<No sai, perché se Eren dovesse un giorno sposarsi o andare a convivere e scegliesse di abitare in un'altra città lo chiuderemmo in camera sua. Allegoricamente parlando. Eren, figliolo, vai ad aiutare la mamma.>> annuii incerto. Cosa gli avrebbe detto in mia assenza?

E poi che razza di minaccia era quella?! Sapevo che, se fosse servito, avrebbero mantenuto fede alle loro parole, ma non mi sembrava il caso di dire una cosa del genere. Anche se, da quel punto di vista, ero interessato.
Certo non volevo vivere troppo lontano dai miei genitori, però neanche in una città diversa da quella in cui ero nato e cresciuto.
L'avrei probabilmente fatto se quella si fosse rivelata essere l'ultima opzione, ma a quel punto sapevo che non era necessario.

Entrai in cucina e immediatamente mia madre mi mise tra le mani un piatto. Con le labbra formò la parola 'Levi'.

Giusto. Il piatto avvelenato.

Non avendo altra scelta tornai in salotto e gli diedi il piatto dall'aspetto invitante e dall'odore praticamente tossico.
Pregai con tutto me stesso che mi guardasse, che vedesse il mio tentato avvertimento perché si preparasse al peggio. Purtroppo il suo sguardo rimase incollato al pavimento e, a parte un misero 'grazie' non disse nulla.

Andai quindi al mio posto, pieno di rimorso per la lavanda gastrica a cui Levi sarebbe stato sicuramente sottoposto dopo la cena. La paura di mia madre però vinse anche quel pensiero.

Per cui osservai come, sotto gli occhi sgranati di mio padre, Levi iniziava a mangiare la pastasciutta. Un sacrilegio in casa mia. Mai iniziare a mangiare fino a quando tutti non erano a tavola. Chiaramente lui non vi era abituato. Non che per mio padre ed il suo giudizio cambiasse qualcosa.

Pretending to hate youDove le storie prendono vita. Scoprilo ora