tell me pretty lies, tell me that you love me, even if it's fake.

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"Yoongi, ti prego, ho bisogno di te" come l'acqua alla fine della corsa.

Jimin, con gli occhi gonfi di pianto e i denti che non riuscivano a lasciar andare il labbro inferiore, imboccò le strade per raggiungere l'appartamento di Yoongi. Cosa gli avrebbe riservato il futuro, non lo sapeva; cosa volesse fare a casa del ragazzo da cui avrebbe dovuto star lontano, uguale. Voleva solo vederlo, tutto qui, sperava che la sola parvenza del suo volto gli avrebbe fatto dimenticare ciò che aveva vissuto.
Quella sera sarebbe bastato un singolo secondo in più per ritenere la sua vita finita. Si rese conto di quello che aveva passato, ma non riusciva a materializzarlo, non riusciva a raggruppare i fatti insieme ordinatamente, ricordava solo quella stanza, il risolio acuto di quella ragazza e quella orribile sensazione consumante dietro le costole. Niente poteva turbarlo più di quei ricordi. Maledì se stesso per le sue medesime scelte, maledì Yoongi per essersi impossessato di tutto ciò che valeva qualcosa in lui e poi maledì un guidatore che gli aveva tagliato la strada e che lo aveva , con ciò, riportato alla realtà. Cosa aveva fatto, si domandò, per meritare tutto questo? Aveva sempre accettato tutto ciò che gli capitava, ingoiando boccone dopo boccone, aveva preso le sue decisioni, aveva incontrato, abbandonato, reincontrato e riabbandonato Yoongi e ora si ritrovava a guidare verso casa sua; aveva quasi rotto i rapporti con la famiglia e aveva rischiato anche di morire. Yoongi, si disse con convinzione, era l'unica cosa parzialmente presente nella sua vita insieme a Jungkook, ma quest'ultimo si sarebbe solo preoccupato invano se gli avesse rivelato tutto. Yoongi, invece, occupava la sua mente, i suoi pensieri e le sue fantasie ogni giorno di più, indipendentemente se fosse o meno presente. Guidò con le mani tremanti ed indecise sul volante, cercando di non guardare la luna che glielo ricordava in un modo così massivo da fargli male. Non era normale rivederlo ovunque, ma quella sera aveva segnato la fine della sua preoccupazione riguardo a quell'argomento, il termine finale del suo autocontrollo. Evitò di pensare, o almeno cercò di farlo. Non volle ritirare fuori i vecchi ricordi delle notti passate con Yoongi, non volle riconsiderare l'opzione di allontanarsi e sopratutto, non volle soddisfare il dubbio che, ohimè, cominciava a provare qualcosa di orribilmente forte per quel diavolo di ragazzo. Quella sera, avrebbe benissimo potuto chiamare Jungkook, avrebbe benissimo potuto chiamare la polizia (anche se non l'avrebbe mai fatto per proteggersi, inoltre sicuramente la ragazza aveva usato un nome falso) invece, Jimin, vulnerabile e spaventato, aveva chiamato Yoongi. Non aveva un minimo di senso chiamare colui dal quale aveva cercato di scappare e lo sapeva bene, tormentandosi per aver ripreso a non avere più giurisdizione completa sulle sue decisioni. Ci si sarebbe buttato, affogando forse, o stando a galla facendo il morto, ci si sarebbe buttato. Qualunque cosa lo avesse aspettato a casa di Yoongi e nel suo futuro, lo avrebbe sopportato. Quella sera però voleva spegnere la sua mente con qualcosa che Yoongi era sempre stato in grado di dargli.

Arrivò in un complesso residenziale, una via nella quale risiedevano alte ville dall'aspetto pulito e moderno. Alcune erano leggermente esagerate, come, per esempio, una possedeva una piscina sul tetto, circondata da vere palme e una postazione per DJ davanti ad essa. Passò diversi numeri civici in ordine decrescente per poi intravedere una mansione davvero enorme alla fine della strada. Non c'erano piscine sul tetto e nemmeno delle palme, eppure sembrava davvero lussuosa ed elegante. A giudicare da ciò che Jimin poteva estrapolare dalle cifre dei numeri civici, quella era probabilmente la villa di Yoongi. Prevalentemente colorata di beige chiaro, dalle travi marroni scuro e molto spazio all'esterno, delimitato da un'alta siepe verde smeraldo e da un cancello di metallo tinto di grigio. Arrivò a quell'abitazione così squadrata e ordinata, lesse il civico e prese un lungo sospiro: era lei. Parcheggió la sua macchina senza curarsi più di tanto di farlo in modo corretto e un'improvvisa foga gli fece sprofondare il cuore giù e giù nel petto. Si passò un palmo tra i capelli, soffermandosi ad osservare un punto ferito dell'avambraccio. Sembrava un graffio, sanguinava poco e Jimin non se ne preoccupò, forse la siringa che Sunmi aveva in mano gli aveva urtato quella parte del corpo, tagliando la pelle. Una musica ovattata gli fece, invece, fare un salto nervoso sul posto, mentre si era finalmente deciso di suonare il campanello di Yoongi. In una delle ville vicine qualcuno aveva organizzato una festa e la musica si sentiva perfettamente fin lì. Jimin rabbrividì e suonò in fretta l'unico campanello presente, privo di nominativo. Il cancello scattò immediatamente, facendolo di nuovo spaventare, e così fu abile di entrare e imboccare lo stradello esterno che portava alla porta d'ingresso. Jimin era irrequieto, aveva bisogno di essere protetto, aveva bisogno di una figura che sapesse e fosse sicuro di come trattarlo, aveva bisogno di calma, tranquillità e sopratutto piacere. I suoi passi erano esitanti, sotto le suole sentiva ogni pietra marrone o grigia crocchiare, i suoi occhi vagavano tra i vari particolari di quel giardinetto onirico. C'era uno spiazzo verde da una parte e una profonda e larga piscina dall'altra. Il bagliore che emanava fece incantare Jimin a guardarla, il vapore che fluttuava sopra di essa faceva capire che era riscaldata e Jimin immaginò come fosse farsi una nuotata lì in pieno inverno, con la neve tutt'intorno. Si morse il labbro appena arrivò al portone, che puntualmente si aprì, rivelando quella figura familiare e intimidatoria dietro di esso. Jimin spalancò gli occhi, Yoongi non era lo Yoongi che era abituato a vedere. Era diverso, irriconoscibile, imperfettamente etereo. I suoi capelli grigi, sempre composti e perfettamente in piega, erano sparati in diverse direzioni, lisci come la seta, ma aggrovigliati in alcuni punti. Le orecchie erano rosse, prive di qualsiasi accessorio, difatti si distinguevano bene i buchi degli orecchini lungo tutto il lobo. Portava degli occhiali da vista, neri e dalla montatura spessa, la fronte sopra di essi era leggermente scoperta ed era pallida come il resto del viso. Riguardo ai suoi vestiti, Jimin non vedeva più il completo nero, composto ed elegante che portava sempre, bensí lo vedeva, per la prima volta, indossare degli abiti normali: una maglietta nera a maniche corte che gli scopriva le braccia esili e pallide, piene di vene prominenti e l'avambraccio quasi completamente occupato da bracciali di pelle nera spessi. I pantaloni della tuta erano grigi, larghi e semplici, come i calzini.

♔ velvet & silk ♔ yoonmin, vkook, namjin Where stories live. Discover now