UNUS SED LEO

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1992, Seoul

La calma aleggiava nell'aria. Mani congiunte, la pianta del piede sinistro schiacciata sul ginocchio, schiena ritta. Sotto le dita dei piedi percepiva le venature del legno smaltato di cera, attorno a loro sussisteva solo l'eco del frinire dei grilli, qualche voce ovattata che si riversava dalla strada, ma niente che riuscisse a distruggere la loro concentrazione. Il cielo era costellato da qualche nuvola, la calura estiva s'imprimeva dei vestiti e scivolava sulle pelli sudate.

Jungkook aprì un occhio, la concentrazione scappò velocemente dalle proprie dita. Le falangi quasi si chiusero nel tentativo disperato di riprendersela.

Non ce la faccio più. Voglio sedermi e bermi una bella cocacola.

Studiò attentamente la figura del suo migliore amico. Il kimono, strettamente legato da una fascia scura, lasciava intravedere solo una piccola porzione del petto; la postura ritta, perfettamente in linea con quella del suo maestro, non anticipava segni di cedimento. Sul volto di Yugyeom si stagliava persino un sorriso, concretizzazione pura di beatitudine. Al suo fianco, Daehyun era completamente immobile e impassibile al vento fresco che le muoveva la lunga coda di cavallo. I grandi occhi da volpe erano chiusi e, benché non stesse sorridendo, non v'era nessuna ruga a corrucciare il viso da bambina.

Infine, il suo sguardo cadde sul vecchio rospo, a poca distanza da loro. Jungkook non aveva idea di quanti anni avesse - forse sessanta, forse centocinque - ma le membra rugose riuscivano a resistere alle intemperie dell'età, aiutandolo in quella posizione dove equilibrio e forza fisica costituivano l'obiettivo dell'esercizio.

Osservò il suo maestro con estremo interesse, almeno fino a quando non spalancò gli occhi, fissandoli nei suoi. Jungkook sussultò e immediatamente le palpebre s'abbassarono, ma era troppo tardi e ne ebbe conferma quando dei passi lenti, come quelli di un felino, si fecero sempre più vicini.

«Jungkook, qualcosa non va?».

Si costrinse a non mostrare alcuna emozione. Chiuse gli occhi e accennò a un sorriso: «Non ponga domande retoriche, maestro, so benissimo che non le piacciono. Va tutto meravigliosamente» e giurò di aver sentito un sbuffo divertito sia dalle labbra di Yugyeom sia da quelle di Daehyun, impeccabili nella loro immobilità. Digrignò i denti e si ostinò a non guardare il suo maestro.

«Sai cosa non mi piace, Jungkook?».

È una domanda retorica, non rispondere.

«Gli allievi disdicevoli, gli allievi che non ti ascoltano. Gli allievi indisciplinati sono le mie nemesi».

Le frecciatine del suo professore non lo sfiorarono, ma la sua caviglia vacillò leggermente. Il nervosismo, mescolato a qualche goccia di stizza, gli crebbe nel petto. Jungkook strinse le labbra, mormorando un «Non so di cosa lei stia parlando».




«Brutto rospo!», Jungkook sbatté l'armadietto, prima di aprirlo nuovamente e sfilare i vestiti puliti con cui era giunto al dojo. Come se conseguisse all'ordine naturale delle cose, lo chiuse rumorosamente una seconda volta.

«Calmati, non è colpa sua», Yugyeom, petto nudo, mostrava senza vergogna il suo corpo. «In qualche modo infierisci continuamente, sbagli qualcosa. Una volta non era così».

E Jungkook sapeva benissimo a cosa si riferisse. Negli ultimi periodi, nell'estate dei suoi diciannove anni, il suo carattere stava subendo una trasformazione repentina che l'adolescenza tumultuosa aveva solo ritardato, per contrarla nel tempo e lasciarla manifestare in tutta la sua potenza solo alla fine del liceo. Jungkook lo sapeva, ne era perfettamente cosciente, ma una parte di lui s'ostinava a non abbandonare il posto che lo aveva salvato dalla strada.

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE // vkookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora