NOLI ME TANGERE

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Seokjin aveva sempre avuto una prospettiva invidiabile della vita. L'invidia, effettivamente, era il sentimento che aveva scatenato nei cuori di molte persone in quello che lui considerava essere i suoi anni d'oro, il momento prima della rottura definitiva con il sognatore, il debole, il fragile e manipolabile Kim Seokjin. 

Era stato un processo graduale, non uno di quei risvegli rivelatori che subisci improvvisamente una mattina, ribaltandoti la vita. Gli anni '80, gli anni del liceo, lo avevano visto protagonista indiscusso del piccolo universo che affondava le radici nei bassifondi. Il suo nome riempiva le bocche di tutte, il suo viso rimandava a una concezione ideale di bellezza che era estranea alla disillusione governante il ghetto. Seokjin, quello intelligente; Seokjin, quello disponibile; Seokjin, il promettente attore di teatro. 

Per un momento ci aveva creduto anche lui, nei suoi sogni utopici. Ci aveva sperato davvero, aggrappandosi con le unghie e con i denti all'astrazione di una vita riservante solo confusi grovigli di disperazione. Ma Seokjin, nonostante il sorriso da modello e l'intelligenza da imprenditore, proveniva comunque dal ghetto, i fottuti bassifondi, quelli bistrattati da tutti dove le persone ci nascevano e ci morivano senza la possibilità di redenzione, perché nascere nei quartieri poveri era una condanna da scontare con l'ergastolo. 

Dire addio a un sogno non è mai facile e il modo migliore per dimenticarsene è sostituirlo. 

Il karate aveva incarnato la salvezza a cui si era aggrappato per emergere dal pozzo di abbandono che l'aveva risucchiato. Il maestro, con i suoi occhi piccoli e il volto segnato dagli anni, gli aveva non solo allungato una mano, ma gli aveva regalato un altro sogno, una felicità che distanziava da una disciplina severa come il karate e che gli sarebbe calzata a pennello: il pugilato. 

Costruirsi un sogno non è mai facile ma quando ci riesci, quando te ne appropri, diventa la matrice che fa muovere le ruote della tua vita. E quando sei a un passo dal realizzarlo, quando ti manca poco così per incoronarlo, non accetti di vederlo sfumare via. 

Ci pensava ancora, Seokjin, a quale piccola mossa avrebbe potuto compiere per non rompersi il ginocchio e perdere non solo l'incontro più importante di tutta la sua vita, ma anche l'inizio di una carriera brillante. Qualche volta si fermava a riflettere, focalizzava nella mente il volto di chi l'aveva messo al tappeto, ma non riusciva ad attribuire la colpa a nessun altro all'infuori di se stesso. 

La spirale di perdizione si era riaperta e invece di trovare il maestro, la sua strada aveva incrociato quella di Park Jimin. E la spirale non si era più chiusa. 

Se Seokjin si chiedeva spesso come avesse potuto impedire l'infortunio, non si chiedeva mai cosa lo spingesse fra le braccia di quel demone dalle labbra assuefacenti, perché la risposta che ne sarebbe scaturita lo terrorizzava; ammettere ad alta voce gli scomodi sentimenti che provava verso lo splendido ragazzo che giaceva al suo fianco, gli avrebbe solo spezzato un cuore già sbriciolato.

«C'è qualcosa che vorresti dirmi, Jin?».

Si accorse di averlo fissato per tutto quel tempo solo quando la sua voce non lo costrinse a ricongiungersi alla realtà. Gli occhi di Seokjin, dapprima adagiati sul petto nudo e sudato di Jimin, corsero a incastrarsi con lo sguardo affilato che da anni lo faceva impazzire. 

«Stavo solo pensando», disse, appiattendo la schiena contro i cuscini premuti alla spalliera del letto. Nell'aria si respirava ancora il profumo forte del sesso, il caldo dell'approssimarsi dell'estate era stato risucchiato dall'aria fredda e artificiale dei condizionatori, nascosti per non rovinare l'atmosfera irreale dell'appartamento di Jimin.

La prima volta che Seokjin aveva messo piede lì dentro era rimasto affascinato dalla ricchezza barocca dei dettagli, partendo dall'attenzione maniacale riservata al pavimento a quella delle pareti, quasi interamente in vetro. Gli sembrò, per un istante, di essere stato catapultato all'interno di uno dei racconti di Edgar Allan Poe, meravigliato dalle statue e dai quadri decoranti uno spazio che sembrava essere estraneo all'avanzare del tempo. Che Jimin fosse un esibizionista lo aveva capito subito, il suo desiderio di mostrare cosa possedesse non sarebbe sfuggito all'occhio di nessuno; persino la camera da letto, che ricordava quella di un sovrano francese, aveva le dimensioni duplicate dell'appartamento fatiscente in cui viveva Seokjin. 

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE // vkookWhere stories live. Discover now