HOMO HOMINI LUPUS

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Gli piaceva la sensazione della carne contro le dita. Nocche che affondano nella mascella, voce intrisa di dolore, mani sporche di sangue e l'umiliazione dell'avversario che segnava il tuo trionfo. 

Jungkook non aveva idea di dove collocare, sulla sua linea del tempo, il momento esatto in cui era sbocciato l'amore insano per la violenza. 

Forse, quel giorno all'ultimo anno di liceo, quando poltriva sulla terrazza e si consumava i polmoni con una sigaretta e la puttanella che gli succhiava il cazzo gli aveva chiesto di essere un po' più brusco, per favore. Forse, quando il ragazzo della puttanella lo aveva spinto contro gli armadietti e gli aveva urlato di non sfiorare la sua bambola con un dito, o lo avrebbe ucciso con le sue stesse mani. Forse, il pomeriggio stesso, quando il ragazzo della puttanella che gli aveva urlato di non sfiorare la sua bambola, lo aveva aspettato appoggiato alla sua splendida Mustang nera e lo aveva spinto, dicendogli quanto schifo facesse il suo brutto muso. Forse, l'attimo preciso in cui il ragazzo che gli aveva detto quanto schifo il suo brutto muso, gli aveva piantato un destro sul mento ed era stato incoraggiato dalla sua stupidissima gang fuori moda. Forse, Jungkook l'ha capito allora: col sangue che gli sgorgava dal naso, con la mascella che pulsava, con le risa di tutti che lo umiliavano. Forse, e solo forse, quello è stato lo scossone decisivo che anticipava il suo completo risveglio.

Aveva smesso di fumare, aveva smesso di ascoltare il vecchio ranocchio che insegnava Karate, aveva smesso persino di seguire i consigli di Yugyeom. Aveva smesso di fare tante cose solo per iniziarne altre. 

Le persone esageravano nel descrivere negativamente la violenza. Il mondo primordiale era stato guidato dalle botte, dal sangue, dalla legge del più forte per la sopravvivenza. E Jungkook faceva questo: sopravviveva in un mondo infame e, anziché lamentarsene, spendeva il suo tempo ad ammirare i segni perpetui e indelebili che imprimeva la crudelissima Madre Natura sulle sue creature. 

A Jungkook piacevano i lividi, i marchi, il sangue. Amava quando si formavano sulle altre persone, perché testimoniavano la sua forza, e amava quando si formavano su se stesso, perché testimoniavano la sua partecipazione alla guerra. 

Non era previsto, tuttavia, che Taehyung e Seokjin fossero ricoperti di lividi. Se ne accorse nell'esatto momento in cui aveva messo piede in palestra, tuta larga che scivolava sulle gambe toniche e maglia senza maniche che gli denudava le braccia. 

Hoseok fu il primo a notarlo, salutarlo, saltare da lui e comportarsi come se non avesse l'occhio sinistro completamente nero, chiuso, tumefatto-come se dalla canottiera non si notassero le fasce bianche che gli stringevano il costato, come se non quello che succedette il «Ehi, coniglio!» non fosse un gemito di dolore. 

«Stai messo male, amico», una constatazione inutile, quella di Jungkook, che lo squadrò con un sopracciglio inarcato. «E starai messo ancora più male se oserai chiamarmi un'altra volta in quel modo».

«Non ti piace?», Hoseok rise, ma smise immediatamente quando una fitta di dolore gli trapassò il corpo. «Ieri sono andato a casa dalla mia zietta e aveva 'sto coniglio tutto nero con un occhio bianco e mi sei venuto in mente tu», un sorriso si stese sul suo viso, «Quindi oggi sei il coniglietto della palestra».

«Sarò clemente con te solo perché sembri uno straccio e non voglio averti sulla coscienza».

«Sì, va be'! Potrei batterti a occhi chiusi!», Hoseok si mise in posizione da combattimento. O almeno, ci provò. 

«Uno sicuramente chiuso lo è già, l'altro sembra sul punto di cedere», Jungkook ridacchiò, osservando quell'esuberante tipo dai capelli rossi saltare qua e là, «Ed è la metafora perfetta per la mia pazienza quando sento chiamarmi in quel modo».

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE // vkookWhere stories live. Discover now