INTER SIDERA VERSOS

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«Quindi fate parte di un'organizzazione di incontri clandestini dove a ogni incontro vi giocate la vita e—»

«Non è un'organizzazione, è Park Jimin.»

«E da quanto mi avete raccontato vale molto più di una multinazionale, questo Park Jimin.»

Yugyeom faticava a stare al loro passo, non per la sua forma fisica – impeccabile, se non superiore, a quella dei due ragazzi, i cui ematomi rischiavano di far digrignare loro i denti a ogni movimento – quanto per la moltitudine di informazioni in cui stava incespicando, insieme alle irregolarità del marciapiede su cui correvano.

Taehyung aveva le labbra serrate e i pugni stretti nascosti dalle tasche della giacca mentre Jungkook continuava a spiegargli brevemente la situazione, soffermandosi pochissimo sui dettagli. La mente di entrambi era proiettata a distopie catastrofiche che vedevano protagonista la giovane Heejin, innocente e pura se confrontata all'orrore che celavano i bassifondi e che, con ogni probabilità, aveva macchiato l'armatura scintillante degli sbirri.

Entrarono nell'appartamento con le guance arrossate dalla corsa e lo sguardo trafelato. Attorno al piccolo tavolo del salotto, due uomini elegantemente vestiti – dal lungo cappotto color caramello e l'abbigliamento borghese trapelava la parola sbirro chiaramente e senza fraintendimenti – sorseggiavano una tazza di tè; vicina al bancone della cucina, Heejin, con un paio di jogger casalinghi e una delle felpe di Taehyung li accolse con un enorme sorriso sollevato.

«Eccovi!» Esclamò, guardandoli meravigliata. Tuttavia, bastarono pochi secondi per farle comprendere la gravità della situazione e si arricciò di nuovo su se stessa, fissando la tazza ancora piena che aveva fra le dita.

Taehyung assottigliò lo sguardo, fisso su entrambi gli uomini. Non li aveva mai visti bazzicare nel loro quartiere e, a una rapida analisi, dovevano avere una quarantina d'anni ciascuno. Nessuno dei due sembrava celare cattive intenzioni.

«Sono Kim Taehyung,» disse, avanzando verso i due poliziotti, che nel frattempo si erano alzati. Gli strinsero la mano e quando si sporsero per fissare Yugyeom e Jungkook, atterriti e immobili contro la porta di ingresso, fu il loro turno per presentarsi. Naturalmente mostrarono il distintivo ai presenti.

«Saltiamo le frivolezze e arriviamo al sodo,» esordì uno dei due, che riconobbero come ispettore Bang. La barba incolta sul mento e la montatura stantia degli occhiali gli conferivano un'aria più esperta.

Jungkook e Taehyung si scambiarono una breve occhiata carica di tensione. Jimin li aveva denunciati? Cosa aveva combinato Seokjin? Avevano scoperto il loro lavoro e avevano deciso di sbatterli in gattabuia? L'ultima opzione li terrorizzò. L'idea di essere privati della propria libertà li immobilizzò, nemmeno un muscolo si mosse, e i due sbirri sicuramente lo notarono. Avevano qualcosa da nascondere, ma in quel posto tutti celavano i propri demoni.

«Abbiamo ragione di pensare che voi conosciate le persone di cui sto per parlarvi,» continuò, l'espressione che non raccontava assolutamente niente. L'espressione da sbirro, quella che gli abitanti del ghetto temevano e, soprattutto, conoscevano. «Abbiamo trovato i cadaveri di Kim Seokjin e Park Jimin nell'appartamento di quest'ultimo e abbiamo bisogno di un'autenticazione da parte di persone che li conoscevano.»

Il silenzio che seguitò non fu incerto. Nessuno dei presenti metabolizzò immediatamente quella notizia. Le parole volarono da quelle labbra sconosciute così facilmente che non intaccarono le espressioni dei due ragazzi, il cui battito di ciglia precedette l'orrore.

Il primo singhiozzo fu quello di Heejin, le cui lacrime caddero nella tazza che teneva fra le dita. Taehyung aveva ancora le labbra inarcate verso l'alto nella cordialità con cui aveva accolto i due sbirri e il suo viso rasentava la piatta immobilità della superficie di un oceano.

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE // vkookWhere stories live. Discover now