Epilogo

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Il gorgoglio del fiumiciattolo gli deliziò i timpani non appena superò l'imponente cancello in legno. Oltre le mura, nella piccola oasi di respiro nipponico, si animava l'oasi del piacere della mente.

Con lo zaino sulle spalle e i jeans sgualciti arrampicati sulle cosce tornite, gli occhi di Jungkook scavarono nell'aiuola e, sgranati dalla sorpresa, inciamparono nell'esile figura del maestro.

Minuto, chino su se stesso, le dita rugose immerse nel ruscello artificiale.

«E così, Jungkook, sei tornato.»

Gli occhietti anneriti d'esperienza dell'uomo si intestardivano a scavargli nel petto. Il kimono scuro si stringeva sulla vita, la pelle abbronzata rifletteva i raggi del sole.

«La disturbo?»

«Non dire sciocchezze, ragazzino. Piuttosto, siediti.»

Avanzò nella radura, il dojo a qualche passo da lui. La luce creava cristalli splendenti fra le onde del ruscello; si sedette accanto al maestro, lo zaino caduto a terra e le gambe incrociate.

«Allora? Cosa ti porta dal vecchio dopo questi mesi?»

Immerse le dita nell'acqua limpida e ne osservò l'immagine distorta. «Credo che lei si sia sbagliato nel consigliarmi uno sport dove trovare la libertà per sfogarmi,» disse, le braccia nude vittima del sole e del caldo estivo, «Il karate bilanciava la mia sete di violenza, quella che,» deglutì, lanciando un'occhiata di qualche istante all'espressione assorta e in contemplazione del maestro, «il pugilato ha lasciato scorrere e straripare.»

Una risata bassa grattò la gola del maestro. «Sei il primo che osa rinfacciarmi i miei errori!» Disse, i piedi immersi nella freschezza del ruscello. «Io penso che tu abbia completato il tuo percorso, ragazzo.»

Jungkook si morse il labbro inferiore, voltandosi a guardarlo. «In che senso?»

«Hai trovato la tua dimensione.» L'uomo gli rivolse uno sguardo eloquente, le labbra sottili verso l'alto e la serenità nei lineamenti invecchiati. «Sei sempre stato un ragazzo perso. Più giravi su te stesso, più ti disorientavi. E con tutto quel mal di testa, Jungkook, non riuscivi a ritrovare la direzione esatta. Dovevi perderti un altro po'. Non per ritrovare te stesso, ma per trovarlo. E, finalmente, sembri esserci riuscito.»

Si passò una mano sul viso, prima di sospirare e attaccare i lacci degli anfibi. Le dita vi si attorcigliarono e attirarono il suo sguardo. «Ho vissuto dieci anni in tre mesi, maestro. Non so quanto io mi sia trovato. A dirla tutta, penso di star ancora girando su me stesso.»

«Menti, ragazzo. I tuoi occhi mi parlano e, raccontandomi la sofferenza, mi parlano degli insegnamenti che ne hai tratto.» Il maestro mosse i piedi, facendo guizzare l'acqua. «Avrai ancora il cuore e la mente di un bambino, ma hai lo sguardo di un uomo.»

Jungkook gonfiò le guance, puntando gli occhi al cielo. Cos'era maturato in lui? L'amore per se stesso e, prima di lui, per un'altra persona? La concezione di amicizia, che lo aveva lasciato col cuore pieno di dolcezza e un vuoto incolmabile? La disapprovazione per una violenza che era apparsa, per troppo tempo, come chiave per la libertà?

«Maestro,» disse, lasciando scorrere l'acqua fra le dita. «E se tornassi al dojo?»

Una seconda risata abbandonò la bocca dell'uomo. «Hai affrontato un duro percorso come il tuo e vuoi tornare al punto di partenza, senza goderti il traguardo? Ragazzo, sei strano!»

Jungkook lo guardò, le labbra tremanti in un sorriso. «Crede che dovrei continuare col pugilato?»

«Quello che credo io,» e si puntò l'indice contro il petto, gli occhietti scuri fissi nei suoi, «Non ha importanza. Le porte del mio dojo saranno sempre aperte per te, ragazzo. Ma non sento che questo sia il posto che ti appartiene. Non è qui la tua dimensione.»

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE // vkookWhere stories live. Discover now