15. Non avevo capito proprio niente

653 35 8
                                    

Lena

- Perché pensi che ti giudicherebbe? In fondo è tua amica. - sta dicendo la Gabrielli.
È tornata dalle ferie e la sua pelle è visibilmente abbronzata, i capelli castani leggermente schiariti. Indossa una maglia di un rosso cangiante, insieme a quell'aura di malinconia che ci veste tutti ai primi di settembre.
- Non lo so... Ho paura che cambierebbe la sua opinione su di me. - deglutisco, pensando davvero alle parole della dottoressa.
- Le opinioni delle persone cambiano continuamente, ma sta a te fidarti di lei e del fatto che la verità non intaccherà il vostro rapporto. -
Rimango in silenzio, e la dottoressa Gabrielli decide di non insistere oltre.
- Mi prometti soltanto che ci penserai seriamente? - mi chiede, premurosa. Annuisco alla sua domanda e la sessione finisce lì.
La saluto ed esco dallo studio, ritrovandomi faccia a faccia con Dario.
- La devi smettere di fare così! - lo rimprovero per l'ennesima volta, dopo aver quasi urlato dallo spavento.
Lui ride di gusto e mi saluta con un bacio fugace, prima di varcare la soglia dello studio verso la sua ora terapeutica.


Dario

- Credo che tu stia sottovalutando la situazione. Ti chiedo solo di rifletterci bene, Dario. -
La dottoressa mi lascia con queste parole, dopo un'ora passata a parlare. La sua ultima frase mi accompagna per tutto il giorno, come un chiodo fisso che mi martella in testa, così forte da far quasi male. La Gabrielli mi ha detto di rifletterci, ma io più che altro sto rimuginando all'infinito.

Il pensiero mi segue come un avvoltoio e alla fine mi ritrovo, come uno zombie, a selezionare il suo contatto e a chiamarla. Il bisogno di vederla supera tutto il resto.
Lei risponde quasi subito e accetta di uscire con me stasera: non posso vederla, ma sento che sta sorridendo.
Forse la Gabrielli ha esagerato.


Lena

Bologna è piena di pub e locali, e stasera Dario mi ha portato a bere una birra. Siamo in un locale sotto ai portici, con un sacco di gente fuori, appoggiata alle colonne, a bere in compagnia.
Lui si guarda intorno silenzioso e quando distolgo i miei occhi da lui, noto con la coda dell'occhio che mi osserva e mi studia.
- Che c'è? - gli domando allora, dopo l'ennesima volta che mi guarda di soppiatto.
Sulla sua faccia si disegna l'espressione imbarazzata di chi è stato appena colto sul fatto. Lui si sistema i capelli con una mano, come fa a volte quando è nervoso o sotto pressione.
- Va tutto bene? Insomma, tra noi, tu... - inizia a balbettare.
- Me lo diresti se qualcosa andasse male? - tira un sospiro.
- Se tu stessi male? - lo butta fuori come se lo tenesse dentro da tutta la sera, e capisco che forse era questo il motivo della sua distrazione.
Gli prendo la mano delicatamente e la intreccio alla mia, mentre i miei occhi cercano i suoi. Gli sorrido in modo rassicurante, perché mi fa male vederlo così e non voglio farlo preoccupare inutilmente.
Come glielo spiego che il mio stare bene è molto diverso dal suo? Che per me stare bene può significare anche star male, ma meno del solito? E che quando sto bene, spesso non dura per molto...

- Sto bene. - lo tranquillizzo, senza mai staccargli gli occhi di dosso, con la mia mano salda nella sua. Lui mi guarda e vedo che la sua espressione cambia, da timida e preoccupata si fa più sicura e insistente. Il suo sguardo mi brucia addosso, intenso, e un attimo dopo ci stiamo baciando con passione, in mezzo a Bologna, in mezzo alla gente che ci guarda, ma di cui non ci importa niente.

- Lena? Sei tu?! -


Dario

Percepisco ogni fibra sul corpo di Lena tirarsi, mentre lentamente si gira verso la sorgente della voce che l'ha riconosciuta.
- Sofi! Ciao... - dice lei, cercando di sorridere.
Il mio corpo si tende insieme al suo: so quanto Lena volesse evitare questo esatto momento.
- Non ci posso credere! - sta sghignazzando l'amica dai capelli rosso fuoco, anche se fino a poco tempo fa erano blu. Ci sta guardando sorridente, ed è ovvio che l'averci trovato insieme sia per lei una bella notizia. Mi rilasso un po', ma noto che il sorriso di Lena si tende sempre di più, in un evidente sforzo di dissimulare le sue emozioni.
Sofia non sta più parlando, ma invece ci sta scrutando, indagando su di noi, su di lei, su di me.
- Ma tu non sei l'amico di Checco? - mi domanda allora.
Checco? Ahh, quanto lo prenderò in giro per questo.

Sofia sembra fare uno più uno, probabilmente si ricorda anche del nostro incontro in biblioteca, delle bugie di Lena: lo vedo sulla sua faccia che sta incastrando tutti i pezzi.
E lo ha visto anche Lena.
Poi succede tutto così velocemente: Sofia le dice qualcosa sottovoce e Lena chiude la conversazione velocemente, con qualche scusa, e poi sparisce tra la folla. Saluto Sofia di fretta e mi getto tra le persone, per andare a recuperare Lena.

La ritrovo qualche minuto dopo, lontana dal rumore e dalle persone. La vedo da lontano, accucciata, con le spalle schiacciate contro il muro. Poi mi avvicino e la sento: anche se ci separano diversi metri, anche se non riesco a toccarla da quanto è lontana. Sento i suoi singhiozzi, sento la sua gola grattare, la sento annaspare.
Scatto e in un lampo sono accanto a lei.
Le sue mani sono strette sulle braccia, quasi come ad abbracciarsi da sola. Le dita sono sbiancate, affondate nella carne dei suoi avambracci, la pelle è rossa dove sono passate le sue unghie.
Le chiedo cosa sta succedendo, ma lei non risponde, non riesce a respirare. Vorrei toccarla, abbracciarla, ma in qualche modo percepisco che non è la cosa giusta da fare.
Mi assale il panico, mentre davanti ai miei occhi Lena sta soffrendo: la testa appoggiata all'indietro, gli occhi spalancati e pieni di lacrime e paura, il corpo tremante, pallido.
- Lena, cazzo. Cosa devo fare?! -
- Lascia che ti aiuti! -
Sto urlando, anche se non dovrei, anche se non vorrei. Vorrei essere la sua roccia, e invece mi sento inutile ed impotente.
Prendo il telefono con le mani che tremano, stringendolo più che posso per non farlo cadere.
Non ho il numero di sua madre e non mi sembra il caso di chiamare Tiziana o Roberto.
Ripenso alle parole della Gabrielli questa mattina, e mi sento un coglione, perché alla fine aveva ragione: ho sottovalutato il male di Lena.
Sto per chiamare la dottoressa quando qualcosa di freddo mi sfiora il polso. La mano di Lena si appoggia leggera sulla mia pelle, ed è congelata come se il sangue avesse smesso di scorrerle nelle vene. Rabbrividisco, mentre la guardo impietrito.
Lena ha smesso di piangere, di annaspare, e sembra che stia tornando a respirare. Prova a parlare, ma ha la gola troppo secca e non riesce a far uscire la propria voce. Allora stringe la sua mano intorno al mio polso, cercando di togliermi il telefono dalle mani: non vuole che chiami nessuno.
Lascio cadere il telefono per terra e la stringo a me, mentre il suo tremore si affievolisce e diventa il mio.
Mentre la aiuto a rialzarsi e le porgo dell'acqua, penso a quanto sia difficile capire le persone, e a quanto invece sia facile farsi un'idea di loro, utile solo a soddisfare il proprio egoismo.

La riaccompagno a casa e nessuno dei due parla dell'accaduto: Lena non ne ha le forze, io non so proprio cosa dire.

Col senno di poi, probabilmente avrei dovuto chiamare comunque la dottoressa, avrei dovuto dirle cos'era successo, dirle che aveva ragione e che non avevo capito proprio niente.
Avrei dovuto dirle tutto, sapendo che Lena non l'avrebbe fatto.
Ma in quel momento c'era solo Lei, e avrei fatto qualsiasi cosa pur di farla stare bene.

_______________________________________

Questo è un capitolo bello tosto, ma direi fondamentale per la storia.
Iniziamo a capire sempre di più i "meccanismi" di Lena...
Cosa ne pensate di questo capitolo? Esprimetevi nei commenti che io vi rispondo come sempre!

P.S: non credo che metterò più la parte di "nel prossimo capitolo" perché altrimenti impiego il doppio del tempo per scrivere anche il capitolo successivo e mettere qui l'anteprima.

Chi può salvarciTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang