18. Madre

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Silvia

Nessuna madre sa come sarà il futuro dei propri figli, ma ovviamente si augura sempre il meglio per loro, promettendo a se stessa di fare un ottimo lavoro in quanto genitore.
Un figlio non nasce con un libretto delle istruzioni, non è uguale a nessun altro, e su di lui pendono tantissime aspettative.
A volte mi sono chiesta, mi chiedo, cosa avrei fatto se avessi avuto una sfera di cristallo, se avessi visto il futuro: i problemi, il divorzio imminente, l'abbandono, l'oscurità di mia figlia.
Mi chiedo se l'avrei tenuta comunque con me, sapendo che avrebbe condotto una vita segnata dalla tristezza, dall'inadeguatezza e dalla paura. Ogni volta mi rispondo di sì.
Ma forse un genitore non sa mai davvero quanto profondo possa essere il dolore del proprio figlio.
E anche dopo mille promesse, forse non saremo mai i genitori che speravamo di essere.

Speravo di riuscire ad essere una buona madre, anche la prima volta che ho scoperto le abitudini di Lena, i tagli sui suoi polsi, mi ero convinta di poter affrontare la situazione nel migliore dei modi. E invece niente è servito a strapparla al suo dolore, che io stessa non sono mai riuscita a spiegarmi.
Sono diventata una madre assente, una madre dura e severa nei momenti del bisogno, perché è sempre stato l'unico modo per difendermi. Non mi sono dimenticata di mia figlia, ma l'ho allontanata da me per paura di diventare la causa dei suoi problemi... Senza volerlo, lo sono diventata lo stesso.
Come si fa ad essere dei bravi genitori? Delle brave madri? Nessuno ci prepara a tutto questo.
Nessuno ti spiega come fare, quando tornando a casa trovi tua figlia inerme, sul pavimento della sua camera, col sangue a colorarle la pelle. Non puoi far altro che chiamare aiuto, aspettare, e sentirti in colpa: se fossi stata presente, in quel momento, forse l'avresti potuta salvare.

Dario

Quando arrivo dalla dottoressa Gabrielli, per il mio solito appuntamento del Giovedì, le sensazioni della sera passata non mi hanno ancora abbandonato, e dopo avermi tenuto sveglio tutta la notte, sembrano addirittura farsi più intense, ogni minuto che passa.
Il peso che ho sul petto mi rende difficile respirare regolarmente, e il sudore provocato dall'ansia accompagna ogni mio pensiero.
Entro dal cancello e mi fermo fuori dalla porta vetrata, aspettando che dalla porta dello studio esca Lena, seguita dalla dottoressa che mi chiama per il mio turno.
Mi accendo una sigaretta, nell'attesa.
13.57
Faccio un tiro, ma non ha più lo stesso sapore di sempre.
13.58
Un altro tiro, questa volta mi fa tossire.
13.59
Spengo la sigaretta dopo soli due tiri, perché ho la nausea e non riesco a continuare.
Alle 14 nessuno esce dallo studio della dottoressa, né lei viene a chiamarmi per il mio appuntamento.
Alle 14.10 la porta è ancora chiusa.
Entro e provo a bussare, senza alcun risultato.
Mi reco alla segreteria e chiedo dove sia la dottoressa, il signore mi dice che per un imprevisto ha dovuto annullare tutti gli appuntamenti del giorno.
Allora decido di chiamarla.

Silvia

Se c'è un Dio lassù, un Dio qualsiasi, non mi interessa di quale religione, ma se esiste qualcosa allora io ti prego: aiuta mia figlia.

Sto fissando il vuoto tra me e il letto d'ospedale dov'è sdraiata mia figlia, inerme. I suoi polsi sono fasciati, e sulla garza bianca ristagnano macchie di sangue secco.
Le hanno messo vari tubi, per mantenere le funzioni vitali nella norma, e sotto le coperte c'è solo una leggera vestaglia a coprirla.
I dottori mi hanno detto che ha perso molto sangue e che la temperatura del suo corpo si era abbassata di molti gradi, prima che io arrivassi.
Ha perso molto sangue.
Sarebbe stata questione di poche ore e lei...

Mi hanno detto che sono arrivata appena in tempo, che era stesa a terra da quasi un'ora e che la sua mente passava dalla lucidità al buio, con intermittenza, senza che lei se ne rendesse conto.
Deve essere stato orribile, penso, mentre con gli occhi lucidi guardo il viso pallido della mia bambina, quasi indistinguibile dalle lenzuola candide dell'ospedale.

Quando arriva l'infermiera a cambiarle le garze sui polsi, approfitto per alzarmi e prendere una boccata d'aria.
Passando dal punto di accoglienza del padiglione, noto un ragazzo che discute con la ragazza seduta dietro al banco.
- Non me ne frega se non è orario di visita! Ditemi dov'è! - sta dicendo lui, quasi urlando. Sembra molto stressato e ha l'aria disperata.
- Cazzo, sono il suo ragazzo! Ho bisogno di vederla, per favore... - continua lui.
Mentre lo osservo a distanza, una strana sensazione mi pizzica la nuca, così mi avvicino.
- C'è qualche problema? - intervengo allora.
I due si girano verso di me, lui alterato e con gli occhi rossi, lei con espressione evidentemente scocciata.
- Il ragazzo vuole visitare una paziente, ma le rego... -
- Chi stai cercando? - la interrompo, riferendomi direttamente al ragazzo. Lui mi guarda confuso.
- Si chiama Lena. Mi hanno detto che è stata portata qui stanotte...-
Sento una stretta al petto e mi sento rincuorata e combattuta allo stesso tempo: mia figlia ha qualcuno, anche se io non lo sapevo.
Raddrizzo la schiena, in un tentativo di apparire più autoritaria, poi mi rivolgo alla ragazza dietro al banco.
- Sono la madre della paziente. Lui è con me. -

Dario

La madre di Lena mi accompagna muta fino alla stanza dove è ricoverata, e io mantengo il silenzio perché nella mia testa non c'è spazio per nient'altro oltre a Lei.
Quando arriviamo davanti alla porta, prima di entrare, sua madre si gira verso di me.
- Mi dispiace conoscerti in queste circostanze, ma sono contenta che Lena abbia qualcuno a suo fianco. - mi fa un sorriso forzato, perché negli occhi riesco a vedere la sua tristezza.
Poi apre la porta e io smetto di respirare.

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Buonsalve!
Questo capitolo mi piace particolarmente e trovo che questo nuovo punto di vista sia interessante, voi siete d'accordo?
Cosa ne pensate?
Fatemelo sapere nei commenti 🥰

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