20. Sofia

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Lena

Quando apro gli occhi e torno nel presente, non ho ben chiaro cosa sia successo: mi trovo in una stanza dalle pareti celesti, sdraiata su un letto che non riconosco, che non è il mio. Sulle mie braccia sono attaccati dei tubi, e davanti a me c'è Sofia che mi stringe la mano, con gli occhi arrossati dal pianto.
Quando nota che mi sono svegliata, il suo sguardo si illumina e lei quasi salta sopra al letto per abbracciarmi, stritolandomi.
Sono ancora stordita e il suo gesto improvviso mi scombussola, ma quando mi muovo per lo sgomento, un dolore sottile mi punge le braccia, all'altezza dei polsi.
- Sei una scema! - sta piangendo Sofia, col viso affondato nel mio collo.
All'improvviso, come i flashback nei film, ricordo tutto.
- Non farlo mai più. Devi dirmi tutto, tutto! Sei la mia migliore amica, Lena... -  continua Sofia, alzandosi per guardarmi. Una fitta mi stringe il petto, e mi rendo conto di quanto sia stata stupida a non fidarmi della mia migliore amica, ad allontanarla, a non lasciarla entrare.
Non ho mai lasciato entrare nessuno, penso, e il nome di Dario arriva con prepotenza, ma mi costringo a metterlo da parte.

- Hai ragione, mi dispiace. - riesco a dirle, trattenendo a stento le lacrime. Sofia mi abbraccia di nuovo, e mentre ricambio il suo gesto, sento i punti tirarmi la pelle sui polsi: uno spiacevole promemoria del mio errore più grande.
- Ti voglio bene. - mi dice lei, che ha smesso di piangere e mi sta sorridendo in modo caloroso, nonostante tutto.
- Ti voglio bene anche io... E scusami. -
- Eventualmente, prima o poi ti perdonerò. - ghigna lei.
- Ma per il momento i miei capelli rappresentano quanto io sia incazzata con te! - aggiunge poi, un po' sarcastica e un po' seria, scuotendo la sua chioma rosso fuoco come una leonessa.
Mi scappa un sorriso, interrotto dall'arrivo di mia madre insieme al dottore, che chiede gentilmente a Sofia di uscire.


Dario

Sono fuori dall'edificio, dove ho deciso di rimanere per lasciare a Sofia il tempo di razionalizzare ciò che è successo. Sempre che questo sia possibile, perché forse non l'ho realizzato neanche io.
Il pacchetto di sigarette nella tasca dei miei jeans mi richiama, ma io non ho alcuna voglia di fumarle, e la cosa mi sorprende.
Tutto ciò a cui riesco a pensare è a quanto il tempo che abbiamo a disposizione sia in realtà molto breve, e quanto ne perdiamo dietro a cose futili: litigare, intrattenere relazioni superficiali, non dire ciò che proviamo alle persone importanti.
Appena si sveglia, le dico ciò provo, penso.

Poi Sofia mi passa davanti e mi riconosce: mi saluta, mi chiede come va.
"Lena è sveglia" dice,  e io sono già in piedi pronto a raggiungerla, "ma adesso sta parlando col dottore", aggiunge poi, e allora torno a sedermi, rassegnato, mentre lei se ne va.
Nella tasca sul retro dei miei pantaloni, la busta ripiegata e sgualcita sembra quasi bruciare e farsi sempre più pesante, a ricordarmi del tempo e delle uniche occasioni. A ricordarmi di ciò che è importante.


Lena

Riesco a vedere le labbra del dottore muoversi, ma non riesco a sentire quel che dice. La mia attenzione è tutta dedicata a mia mamma, il cui volto scavato dalla stanchezza mi ricorda cosa le ho fatto passare.
Mi dispiace così tanto, penso, mentre i suoi occhi mi guardano apprensivi e dolci.

Appena il dottore lascia la stanza, le lacrime iniziano a ricoprirmi il viso senza che io possa controllarle, e in un attimo mia madre è accanto a me ad abbracciarmi e a rassicurarmi. Dalla mia bocca iniziano ad uscire un'infinità di scuse, che non basteranno mai a rimediare a ciò che ho fatto, ma sono tutto ciò che riesco a darle in questo momento.
Lei mi passa le dita sulle guance, asciugandomi il viso e sorridendo, ma vedo chiaramente quanto si sta sforzando, e questo mi fa ancora più male. Mi chiede come mi sento, ma tutto ciò che mi interessa adesso è sapere come sta lei, che ancora una volta mi rassicura e mi accarezza i capelli delicatamente.
In qualche modo, riesce a farmi smettere di chiedere scusa e a tranquillizzarmi, preparandosi al discorso che dobbiamo affrontare.
- Cosa ne pensi di quello che ha detto il dottore? - mi domanda alla fine.
La verità è che non ho ascoltato niente di ciò che ha detto, ma posso immaginarlo.
- Mi ha raccomandato una clinica, dice che è molto valida... - inizia a dire mia mamma, mentre tasta il terreno per vedere la mia reazione.
Sta parlando di una clinica di riabilitazione, ovviamente. Me lo aspettavo, arrivata a questo punto non credo di potermi rifiutare: non posso più scappare dai miei demoni.
Lei mi sta elencando tutta una serie di vantaggi e qualità di questo posto, per cercare di convincermi senza dovermi costringere, ma io ho già smesso di ascoltarla.
- Va bene. - la interrompo, lasciandola sorpresa.
Non importa se saranno mesi o anni, non posso più tirarmi indietro: ho bisogno di aiuto.
- Ci andrò. -
Mia madre è felice, ma nei suoi occhi cala subito un velo di tristezza.
- Tesoro, devi sapere un'altra cosa. -
Sento un nodo salirmi rapido alla gola.
- È un posto ben raccomandato e professionale, ma la clinica è fuori città... -

Improvvisamente nella mia testa c'è spazio per un solo pensiero, un solo nome: Dario.

Chi può salvarciWhere stories live. Discover now