Chapter 1

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"Sei tu la mia rovina! Fai la valigia e vattene via di casa, non ti voglio più tra i piedi moccioso!"

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"Sei tu la mia rovina! Fai la valigia e vattene via di casa, non ti voglio più tra i piedi moccioso!"

Il ragazzo rimase pietrificato, con il respiro mozzato. Suo padre gli aveva appena intimato di andarsene e di uscire completamente dalla sua vita.

"Jeon Jeongukk, o ti sbrighi a prendere le tue cose, o ti butto fuori a calci in culo, senza nulla!" l'uomo urlo a squarciagola, avanzando minaccioso verso proprio figlio.

Il ragazzo di appena diciassette anni si alzò e corse in camera sua, come gli era appena stato intimato di fare e, con le lacrime agli occhi prese una valigia dall'armadio e cominciò a riempirla con le sue cose.

Vestiti, biancheria e libri scolastici.

Sentiva le lacrime far lotta per uscire, mentre la vista gli si offuscava, sull'orlo del pianto. Pianto che cercò di respingere, perché dentro di sé sapeva che se suo padre lo avesse visto piangere, ci sarebbe andato giù molto più pesante di ciò che aveva fatto fino a quel momento.

Ormai era convinto di aver sbagliato qualcosa nel corso della sua vita e, specialmente, era convinto di esser stato la rovina della sua famiglia.

Sua madre ormai non si intrometteva più nei loro litigi, volendone rimanere fuori anche se, l'aveva trovata più di una volta a piangere durante la notte, seduta sul divano, al buio, nella sala.

Suo padre? Suo padre era diventato un bestia. Una macchina con il solo scopo di far star male gli altri. Non lo riconosceva più, sembrava privo di emozioni, privo di logica e privo di umanità.

Se la prendeva col figlio anche solo se lo sentiva ridere, sospirare o perfino se provava a parlare nel pieno di un discorso.

Insulto dopo insulto, litigata dopo litigata, erano arrivati al punto di non ritorno. Doveva andarsene, andarsene da quella casa in cui aveva passato tutta la sua vita, andarsene al freddo, perché non aveva un posto in cui stare.

Non sapeva più come reagire, non sapeva come opporsi, quindi obbediva e basta, senza fiatare, senza obiettare.

Non si spiegava come la famiglia Jeon, invidiata da tutto il quartiere in cui vivevano, due figli modello, due genitori fantastici, si fosse ridotta ad un branco di sconosciuti tra di loro con un legame strettamente tossico.

Perché Jeongukk sapeva quanto la sua famiglia fosse diventata tossica, quanto fosse sbagliata la sua permanenza in quella casa, ma il magone allo stomaco e il peso al petto che ogni volta gli si formavano, lo bloccava da qualsiasi azione potesse compiere. Perché, nonostante tutto, si trattava sempre della sua famiglia.

E per quanto fosse solamente un ragazzino di diciassette anni, Jeongukk ne dimostrava nettamente di più, mentalmente parlando. Non sembrava un adolescente, affatto.

Era già un pieno adulto formato, con le sue idee, ma incapace di esprimerle e incapace di farsi rispettare.

Una lacrima calda gli sorcò la guancia, rossa e gonfia, facendolo tornare con la testa sulla terra. L'asciugò frettolosamente, prima di chiudere la valigia e dirigersi verso la porta della sua cameretta.

Le urla e un pianto disperato stavano riempendo le pareti che racchiudevano la loro abitazione. Sua madre stava piangendo, cercando di fermare suo padre da quell'azione disumana, che avrebbe portato alla disgregazione completa della famiglia. Ma nulla c'era ormai da fare, il signor Jeon era fermo sulle sue idee: suo figlio doveva andarsene e non farsi più vedere.

"Jeongukk ti conviene sbrigati a scendere se vuoi salutare per un'ultima volta tua madre senza che ti prenda a sberle!" urlò per l'ennesima volta, con voce piena di rabbia e cattiveria.

E così il ragazzino fece, prese in mano la valigia pesante e corse al piano di sotto, rischiando di inciampare e di farsi male.

Appena la signora dai capelli ossigenati lo scorse dalle scale, spinse via l'uomo e corse dal suo adorato figlio.

"Amore mio, mi dispiace, mi dispiace tantissimo" pianse addolorata, mentre stringeva a sé ciò che avrebbe visto probabilmente per l'ultima volta.

"Va bene così, mamma." disse con voce quasi spenta, priva di emozioni. "Quel che va fatto, va fatto. Gli errori vanno cancellati dalla propria esistenza, com'è giusto che sia." guardò prima suo padre, che ancora una volta lo stava sfidando con lo sguardo, poi passò a guardare negli occhi la donna minuta davanti a sé e, mentre stava per proferire parola, l'uomo aprì il portone di casa e intimò il figlio di andarsene il più in fretta possibile.

"Ti voglio bene mamma, ricordalo" e, con queste ultime parole, Jeon Jeongukk salutò per sempre l'unica persona che gli era rimasta della sua famiglia.

Appena si chiuse la porta alle spalle si guardò intorno: era solo.

Ormai il buio si stava facendo sentire, l'aria si stava alzando e il freddo aumentava. Il ragazzo vagava in giro per la metropoli completamente solo, con una valigia tenuta in una mano e il cellulare nell'altra.

Vagava come un cane abbandonato, in cerca di riparo, di calore, di conforto.

Si sedette su una panchina, esausto e poco dopo decise di sbloccare il cellulare.

01:25 A.M.

Si morse il labbro più e più volte, prima di entrare nella rubrica telefonica, scorrendo lentamente fino alla destinazione della sua ricerca.

Il contatto "Jungmyeon" era lì, sotto i suoi occhi.

Jeon Jungmyeon, suo fratello maggiore. Non lo sentiva da un po', forse dall'ultimo Natale, quando si era fatto vivo per far conoscere sua moglie e i suoi due figli alla sua famiglia, che ormai non esisteva più.

Sapeva che poteva chiamarlo, sapeva che ogni volta che ne aveva avuto bisogno avrebbe potuto chiamere lui, ma aveva sempre avuto un blocco nel farlo.

Ma sapeva anche che se n'era andato per stroncare quel rapporto malsano che suo padre stava creando anche con lui e che, quindi, mai avrebbe rimesso sulle sue responsabilità la sitauzione in cui era finito.

"Non posso mettere in mezzo anche lui" sussurrò a sé stesso, mentre continuava a fissare lo schermo illuminato del cellulare. "È anche davvero tardi, non mi risponderebbe mai" e sospirò, in preda alla malinconia.

"Jeongukk?" il ragazzino alzò gli occhi, e si trovò due figure alte davanti a lui. Ci mise un po' a mettere a fuoco le due ombre scure, a causa delle lacrime residenti nei suoi due occhioni scuri.

"Mingi?" il ragazzo gli sorrise "In persona!" gli ammiccò scherzando "cosa ci fai qui a quest'ora, completamente solo?" e Jeongukk non seppe rispondere, non voleva rispondere.

"Ti han cacciato di casa, mh?" il ragazzo alle sue spalle, con voce roca, parlò, mentre sentiva il suo sguardo esaminare la scena. Il corvino strabuzzò gli occhi in confusione, per poi abbassare lo sguardo a terra.

"Sì" rispose debolmente. "E non hai un posto in cui andare, giusto?" Scosse la testa in risposta, sentendo le guance ardere dall'imbarazzo.

La tensione in quella conversazione si stava alzando e i due ragazzini non sapevamo come e cosa dire, fin quando il ragazzo più alto tornò a parlare.

"Se vuoi, per stanotte, puoi stare da me." propose il ragazzo, mettendo le mani in tasca. Jeongukk lo guardò, poi guardò il suo amico.

Non aveva altra scelta, non poteva morire congelato nel bel mezzo della strada così accettò.

"Comunque, piacere. Sono Taehyung e sono suo fratello maggiore" e conclusero la serata con una stretta di mano.

*

I tre ragazzi arrivarono all'appartamento del ragazzo che si scoprì avere diciannove anni.

Un piccolo appartamento, ma accogliete e caldo.

"Non hai mangiato niente oggi, vero?" chiese il suo amico, vedendolo stanco e quasi privo di forze per la grande camminata che aveva percorso in quella giornata. Scosse la testa "No, non ho mangiato, grazie mille, ma non ho fame."

Please, eat. | Taekook希望Where stories live. Discover now