Credimi sempre

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Gran Premio di Singapore 2014

Dopo che nelle ultime due settimane Sebastian aveva completamente ignorato i miei messaggi e le mie telefonate, oltre che aver fatto finta che non esistessi, decisi che avrei dovuto parlargli almeno in presenza.
Da quando eravamo atterati a Singapore, ogni qualvolta mi incontrava, mi evitava, anche cambiando strada, se possibile.
Camminando per il corridoio dell'hotel in cui alloggiavamo, lo vidi raggiungere la sua camera, decisi così di seguirlo. Non avrebbe avuto modo di sfuggirmi. Corsi verso l'ingresso della sua stanza ma, nel vedermi, gli venne istintivo chiudermi la porta in faccia, gesto che, però, gli venne impedito dal mio piede.
"Che vuoi?" chiese freddo, per giunta sbuffando, dallo spiraglio tra il muro e la porta.
"Parlarti." risposi, più che seria che mai, anche se dentro di me avevo solo sentimenti contrastanti. Da un lato sì, ero furiosa, per il comportamento infantile che aveva dimostrato ma, dall'altro avrei solo voluto risolvere la situazione. Non avrei potuto scappare in eterno dalle sue domande e sarebbe stato meglio se gli avessi detto fin dal principio la verità.
"Tu? Parlarmi?" replicò con il tono precedente.
"Sì, parlarti. Dato che è da due settimane che cerco di contattarti ma non ti sei degnato nemmeno di rispondermi. Scelta matura, quella di ignorarmi anche quando mi incontri."
"Non ti sto ignorando, semplicemente, non ho niente da dirti." sentenziò, facendo spallucce; io alzai le sopracciglia guardandolo poco convinta.
"Io, invece, qualcosa da dirti ce l'ho. Potresti farmi entrare?" chiesi, indicando la sua stanza con lo sguardo, spostandolo poi di nuovo su Sebastian.
"Penso proprio che qualunque cosa tu mi debba dire vada bene anche la soglia della camera." replicò con durezza, incrociando le braccia e appoggiandosi alla cornice della porta.
Feci un sospiro profondo, impedendomi mentalmente di non rispondergli a tono, nonostante avesse messo alla prova il mio autocontrollo. Avrei complicato ancora di più la situazione, se l'avessi fatto.
"Io non la penso allo stesso modo. Non è un argomento facile che posso raccontare come se dovessi elencarti la lista della spesa." risposi; decise infine di farmi entrare, non prima, però, di aver sbuffato e chiuso la porta.
"Cos'è che mi devi dire?" chiese, sedendosi sul suo letto; io mi posizionai in piedi davanti a lui.
"Il motivo per cui in Italia non ho voluto dirti nulla, è qualcosa successo quando avevo diciassette anni. L'uomo che hai visto, era il mio ex, Francesco."
"Lo immaginavo..." disse amaramente, provando ad alzarsi dal letto, ma lo fermai prima che lo facesse, bloccandolo per un polso.
"Non è quello che pensi tu. Lui è ormai un capitolo chiuso della mia vita ma, quel che è accaduto, mi tormenta ancora."
"Ti prego, vai al sodo." mi chiese quasi esasperato; presi un sospiro liberando la mente e lo assecondai.
"Ero una ragazzina quando scoprii, per caso, che aspettavo un bambino da lui. A quei tempi ancora andavo al liceo, all'ultimo anno. All'inizio lo tenni segreto, non lo dissi nemmeno ai miei genitori, per il rapporto in bilico che già da allora avevo con loro.
Poi, quando Francesco lo venne a sapere, era letteralmente fuori di sé. Mi minacciò di lasciarmi se non avessi preso provvedimenti a quel che lui definiva un errore. Disse che sarei rimasta sola, che i miei genitori mi avrebbero sbattuta fuori di casa e, che i miei progetti sarebbero andati tutti in fumo." dissi, prendendo un respiro prima di continuare.
"Ero spaventata, indecisa sul da farsi. In quel momento della mia vita, come un flash di una macchina fotografica, vidi i miei sogni infrangersi in millesimi di secondi.
Avrei dovuto abbandonare la scuola e, cosa più importante, a diciassette anni, interamente da sola, come avrei potuto soddisfare i bisogni di un bambino?
Era un'enorme responsabilità, più grande della mia età ed io avevo paura, paura delle conseguenze, di rimanere sola, ancora una volta. Avrei voluto non prendere una decisione del genere ma, sarebbe stata l'unica scelta possibile. Non hai idea di quante volte cambiavo idea al riguardo. Per questo, dopo mille ripensamenti, decisi di andare in una clinica e..." il respiro che mi si mozzò in gola, non mi permise di continuare.
In quel momento, sembrava che mi stessero infliggendo lente coltellate al petto, talmente tanto dolorose che le lacrime minacciavano continuamente di uscire e mi facevano quasi mancare il fiato.
Così, invece di reprimerle, tenendo saldamente il bordo della maglietta tra le mani come valvola di sfogo, decisi di assecondarle, facendole scivolare lungo il mento e non curandomi di asciugarle.
"Penso tu abbia già capito tutto...Non ti ho detto nulla perché parlarne è sempre stato difficile per me. Nonostante sia passato del del tempo, mi sento ancora un mostro e non riesco a perdonarmi per ciò che ho fatto. E anche perché non sapevo il modo in cui avresti reagito." Sebastian si alzò in piedi e mi si avvicinò con cautela, asciugandomi le guance bagnate con i pollici. Puntai i miei occhi sul suo viso e potei facilmente intuire dalla sua espressione che la mia confessione l'aveva provato.
"Tu non sei assolutamente un mostro ed io non sono nessuno per dirti cosa sarebbe stato giusto fare in quel momento.
Non so le circostanze che ti hanno spinta a prendere questa decisione ma, qualunque esse siano, non te le chiederò a meno che tu non voglia raccontarmele. Mi dispiace aver insistito, non avrei dovuto farti pressione nonostante tu mi abbia detto di non voler darmi spiegazioni.
Ti chiedo scusa, avrei dovuto rispettare la tua decisione, non l'ho fatto e..."
"Seb, non preoccuparti. L'importante è che tra di noi si sia risolto tutto quello che avevamo lasciato in sospeso. Anch'io ho le mie colpe; tu mi avevi solo fatto una domanda e, sicuramente, il mio modo di rispondere ti avrà insospettito. Ma credimi che con l'uomo che hai visto in pit-lane non c'è assolutamente niente e, mai più potrà esserci qualcosa, se non tutto l'odio e lo schifo immane che provo per lui." continuai, sfogando la rabbia che tenevo dentro.
"Ti credo Mar, lo farò sempre." mi rispose, appoggiando entrambe le mani sulle mie guance e poi stringendomi a sé. Ed in quel momento mi sentii inevitabilmente più serena.

Seduta tra i meccanici, osservavo la gara sullo schermo posizionato all'interno del box, vedendo Sebastian tenere la posizione dopo aver sostato per il cambio gomme. Si rivelò una lunga notte quella a Singapore e lo spettacolo era assicurato, con la tensione schizzata alle stelle nel vedere Lewis Hamilton inseguito dalla RedBull di Sebastian e subito dopo da quella di Daniel. La Mercedes del britannico sfrecciava come una furia sull'asfalto bollente di Marina Bay e racimolava talmente tanti secondi di distacco da rendere vano qualsiasi tentativo di avvicinarsi per accaparrarsi la prima posizione. Erano solo cinquanta i secondi che separavano Lewis dalla tanto attesa bandiera a scacchi e, non appena l'ebbe sorpassata a proclamarlo vincitore furono il boato dei tifosi e i tradizionali fuochi d'artificio, seguito poi dalle due RedBull di Sebastian e Daniel che si classificarono rispettivamente seconda e terza. Nel box immediatamente scattammo in piedi come delle molle, abbracciandoci e sorridendoci soddisfatti  per i risultati ottenuti dai ragazzi e, in men che non si dica ci precipitammo a passo svelto sotto al podio, aspettando che i tre piloti facessero la loro comparsa. Subito lo speaker annunciò Daniel, che con il suo solito sorriso non prima di aver salutato la folla, si posizionò sul terzo gradino seguito da Sebastian e infine Lewis, che per la seconda volta consecutiva aveva letteralmente dominato la gara, faceva il suo ingresso venendo acclamato dalle urla e dai fischi dei tifosi.
Guardavo Sebastian, in piedi sul podio, in attesa che gli venisse consegnato il suo premio e, finalmente, vedendolo felice dopo le delusioni che aveva racimolato dall'inizio della stagione, non potevo essere più fiera di lui in quel momento.
Quando furono consegnati i trofei, le urla dei tifosi immediatamente si placarono, facendo riecheggiare l'inno del vincitore, quello britannico, seguito poi da quello tedesco e, non appena terminò anche quest'ultimo, come di rito, i tre piloti non aspettarono a versarsi addosso lo Champagne, schizzandolo anche sulla folla.
Dopo che anche la cerimonia di premiazione si concluse, mi avvicinai di più al podio in cerca di Sebastian ma tra la marea dei meccanici e tifosi non fu facile individuarlo perciò restai in disparte vicino ad un muro aspettando a braccia conserte e  guardando da ogni lato, sperando di vederlo arrivare. E così, accadde.
Infatti girato l'angolo lo guardai venirmi incontro a passo svelto, con la bottiglia di champagne in una mano e con un sorriso così bello da farmi istantaneamente sentire più in pace con me stessa, dopo una giornata in cui avevo provato così tante emozioni da esserne ancora disorientata; la paura di mostrare a Sebastian i miei scheletri nell'armadio, la tristezza e i sensi di colpa nel raccontargli ciò che avevo passato alcuni anni fa, la serenità nell'essermi confidata con lui e infine, la felicità di vederlo sul podio. Un'unione di emozioni contrastanti che avevano reso quella domenica ancora più lunga e pesante.
"Te ne ho lasciato un po'. Mi piace condividere con te i miei successi." disse passandomi la bottiglia e rubandomi un bacio, lontano da occhi indiscreti. Quell'uomo aveva la strana capacità di sorprendermi qualunque cosa facesse.
"Mi vizi troppo. Potrei farci l'abitudine a questo sapore." gli risposi, portando alla bocca lo champagne che mi aveva conservato e finendolo di bere. "Sono così orgogliosa di te, Seb. Ti meriti questo ed altro."
Ci fissammo negli occhi per qualche secondo, finché Sebastian non fece combaciare di nuovo le nostre labbra per un momento che sembrava essere interminabile, facendo scalpitare il mio cuore come se fosse la prima volta.
Lui mi faceva quest'effetto e, per quanto provassi a reprimerlo, riusciva sempre ad avere la meglio su di me.

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⏰ Last updated: Jan 17, 2023 ⏰

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SPEED|| Sebastian VettelWhere stories live. Discover now