Capitolo dodicesimo

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La mattina seguente sentì dei rumori provenire dal piano inferiore e delle voci confuse, pregai in tutte le lingue del mondo che i genitori di Meghan non fossero già tornati perché non mi sentivo affatto bene, la testa pesava sulle mie spalle, tutto girava intorno a me, sicuramente non avevo una bella faccia e non volevo fare una brutta impressone.

Spostai il lenzuolo rosa e appoggiai i piedi nudi sul pavimento freddo, avevo ancora indosso il vestito. Me lo tolsi e indossai i miei pantaloni e la mia maglietta che trovai ancora per terra dove li avevo lanciati il giorno prima.

Scesi le scale e allungai il collo all'angolo per vedere chi c'era, vidi Will.

"Mi dispiace, mi sento in colpa per ieri, l'ho spinta io a venire e a lasciarsi andare" stavano parlando tranquillamente, decisi di rimanere in ascolto.

"Ha vomitato ancora stanotte?" mio fratello sorseggiò un goccio d'acqua

"No, ha sempre dormito da quando siete andati via"

"Senti fammi un piacere, niente più feste del genere"

"Si certo" sbuffai, possibile che fosse così buona? Rispondi a quel coglione non è mica mio padre, decisi di intervenire.

"Perché non ci dovremmo più andare scusa?" si voltarono entrambi stupiti di trovarmi già sveglia.

"Lei può fare quello che vuole, te non ci torni perché lo dico io" mi portai le braccia al petto

"Ah si? E tu chi saresti scusa?"

"Quello che ti ammazza se non lo ascolti" appoggiò violentemente il bicchiere sul ripiano di marmo della cucina visibilmente alterato e si avvicinò con aria minacciosa, voleva farmi paura, che altro poteva fare? Ha avuto come modello nostro padre per tutta la vita, secondo lui l'aggressività è l'unico mezzo con cui farsi ascoltare.

"Sei uguale a lui" sputai quelle parole con una voce schifata, la sua espressione cambiò. Sembrò stupito, confuso, ma durò solo pochi secondi poi si arrabbiò ancora di più.

"Che cazzo dici? Vuoi che inizi a fare come lui? Eh? Poi vediamo se siamo uguali" lo odiavo, lo odiavo troppo, gli tirai un pugno sul petto. Meg se ne stava in disparte senza sapere cosa fare guardandoci con aria preoccupata, non aveva la minima idea di chi stessimo parlando.

"Adesso chi è come lui?" avevo i nervi a fior di pelle, non lo potevo vedere, feci un verso strano per la rabbia e iniziai a battere i piedi per terra.

"TI ODIO" urlai disperata.

In quel periodo le poche volte che ci vedevamo litigavamo e non potevo sopportare quella situazione, volevo stare bene con lui come una volta, volevo andarci d'accordo, ma qualcosa tra noi vibrava di un'energia negativa e ci teneva lontani nonostante cercassimo di avvicinarci.

"Muoviti, ti porto a casa" si avviò verso l'ingresso senza degnare di uno sguardo Meg e uscì, lo seguii.

"Scusa, ci vediamo più tardi"

"Tranquilla, a più tardi"

Salì in macchina sbattendo la portiera, lui la mise in moto la macchina e partì.

"Non voglio andarci a casa" dissi fissando gli alberi ai lati della strada

"E dove cazzo vuoi che ti porti? Non sono un tassista"

"Lasciami qua piuttosto"

"Ma qua non c'è un cazzo"

"Quale parte del non voglio tornare a casa non hai capito scusa?"

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