Capitolo tredicesimo

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William si svegliò verso le dieci, una luce debole entrava dalla finestra piccola in alto. Appoggiata al muro c'era una scala per salire e poter spostare le tende vecchie e rovinate in modo da poter illuminare la stanza.

Si stirò e sbadigliò, fece presto a vestirsi e salire al piano terra, aveva più fame del solito.

Trovò un biglietto -ci sono dei biscotti nel cassetto, sono dalla parrucchiera-.

La scrittura era quasi incomprensibile, le lettere erano tremendamente allungate e vicine, era la calligrafia di sua nonna.

Lo stracciò e lo buttò nel cestino sotto al lavandino, poi prese i biscotti al cioccolato e li finì in pochi minuti.

Quella notte non era riuscito a dormire molto, il suo cervello aveva lavorato incessantemente in cerca di una soluzione e l'unica che aveva trovato lo soddisfaceva abbastanza.

Andava detto quello stesso giorno, non c'era tempo da perdere, anche perché l'indomani sarebbe iniziata la scuola.

Afferrò una mela acerba e l'addentò, uscì di casa diretto della sua ragazza.

"Tu io e Amy, partiamo stanotte, andiamo a Los Angeles" Gina aveva le gambe incrociate, sedevano entrambi sul tappeto della sua camera luminosa, quel posto gli trasmetteva felicità e tranquillità, forse erano i colori pastello che dominavano nella stanza.

"Will devo finire gli studi, come faccio?" era visibilmente triste, l'ultima cosa che voleva era che il suo ragazzo partisse e la lasciasse lì, e lui dall'altra parte era deluso e offeso, si era aspettato una reazione diversa. La notte precedente si era immaginato Gina con una valigia in mano pronta a seguirlo dovunque andasse, con un sorriso stampato in faccia e un cartone imbevuto d'acido sciolto sulla lingua liscia.

Poteva già vedere una casa tutta loro, immaginava di fare l'amore con lei sopra i mobili, in ogni stanza, sul pavimento, sul davanzale, ovunque.

Ma la realtà era ben diversa, così, tremendamente arrabbiato, andò a suonare alla porta di Amy battendo forte i pugni con la mascella serrata.

"Non sono qui per te" disse superando la madre che aveva aperto la porta spaventata dal rumore forte e impaziente.

Fece i gradini di fretta spalancando la porta della camera della sorella, la trovò seduta su una vecchia sedia di legno mentre appuntava qualcosa su un foglio ingiallito.

"Che ci fai qua?" chiese appoggiando la penna e voltandosi verso di lui, il quale si sdraiò sul suo letto riprendendo fiato.

Amy si alzò e chiuse la porta poi si sedette accanto a lui facendo sprofondare un po' di più il materasso.

"Che schifo entrare in questa casa" disse tenendo gli occhi chiusi e le mani sulla fronte come per fingere di non essere davvero li.

"Sono venuto per chiederti una cosa importante" finalmente si decise a guardarla ma non si spostò di un millimetro.

"Vieni con me" Amy non aveva idea di che cosa stesse dicendo.

"E dove vuoi andare?" chiese appoggiando una mano sul suo petto in cerca di un contatto, sapeva che qualcosa lo turbava e voleva calmarlo, ma lui gliela prese e la spostò appoggiandola sul copriletto.

"Andiamo a Los Angeles" ora fissava il soffitto, aveva paura, aveva paura di essere abbandonato anche da lei e non osava guardare i suoi occhi.

"A Los Angeles?" chiese confusa, cosa gli era saltato in testa adesso?

"Si, ti porto via da qua, ci rifacciamo una vita. Andiamo da Jeff se ti va, gli chiediamo se ci ospita finché non trovo lavoro" trovò il coraggio e la guardò, Amy poco convinta si sentì trapassare da quello sguardo pieno di angoscia, paura, dolore, tristezza e un filo di speranza e disperazione.

"Will lo sai che verrei, lo desidero più di ogni altra cosa, ma ho solo quattordici anni" William a questo non ci aveva pensato, tutto gli crollò addosso. Nessuna delle due sarebbe andata con lui, niente sarebbe andato come aveva sperato.

In quei due secondi pensò di restare, restare dalle uniche due persone che gli volevano bene, ma questo voleva dire averne intorno altre mille che lo odiavo ma sopratutto significava rinunciare al suo sogno.

Sentì gli occhi pizzicagli leggermente, ma non pianse, non ne era capace.

Prese con forza il braccio della sorella e la tirò a se, lei era abitata a quegli strani gesti d'affetto e ricambiò arrampicandosi fino a sdraiarsi accanto a lui appoggiando la testa sul suo petto.

"Ti voglio bene" sussurrò, lo sentì a malapena ma il cuore di Amy mancò di un battito a quelle parole

"Anche io te ne voglio" iniziò a piangere, aveva cercato di trattenersi ma sapeva che William se ne stava andando, sapeva che non l'avrebbe più rivisto per tantissimo tempo, sapeva che ora non sarebbe più bastato percorrere un paio di vie per raggiungerlo, lo stava perdendo.

Niente più urla, niente più pungi, niente più sigarette e coperte condivise, niente più ci sono qua io.

Strinse forte la sua maglietta per paura che svanisse all'improvviso lasciandola sola su quel letto vuoto.

La ragazza accettò di accompagnare il fratello a fare le valige, voleva stare con lui tutto il tempo rimasto e anche William si sentì meglio avendola accanto.

Preparò lo zaino, bastava quello, infondo non aveva molto.

"Tieni, questa non mi piace" lanciò una sua maglietta a Amy che era seduta sul bordo del divano distratta, infatti le arrivò dritta in faccia.

La prese e la guardò, era la sua preferita, non era vero che non gli piaceva. Sorrise perché sapeva che quello era un regalo, un pezzo di lui.

Lo guardò e vide che la stava fissando sperando avesse capito, lo ringraziò in silenzio e lui annuii continuando a piegare una felpa.

Erano le tre di notte, Will rientrò in casa per riposare qualche ora prima della partenza.

Aveva salutato tutti e aveva fatto l'amore con Gina; fu il suo modo per dirle addio.

Aveva tenuto stretta Amy per un'eternità mentre la sentiva singhiozzare. Aveva sentito le lacrime di lei scendere fredde e taglienti e scorrere sulla sua pelle.

Aveva dato qualche pacca sulle spalle dei suoi amici, qualche bacio sulla guancia ad un paio di ragazze.

Si dovette trattenere, aveva gli occhi lucidi pure lui, non l'avrebbe mai imaginato ma tutti quei saluti lo stavano commuovendo.

Girovagò un'ora per le strade deserte e buie, da solo, per prendersi il tempo di pensare.

Quando tornò Will aprì la porta cercando di non fare rumore, per non svegliare la nonna. Le scrisse un biglietto per ringraziarla di tutto quello che aveva fatto, della sua calma, dei suoi silenzi nei momenti opportuni, dei suoi biscotti e terminò con un semplice ma duro addio.

Scese le scale e cercò tastando il muro la levetta per accendere la luce, quando la stanza si illuminò fece un salto all'indietro per lo spavento.

"Che cazzo ci fai te qui?" lei rise divertita di quella reazione portandosi le mani sulla pancia, aveva sentito i suoi passi e si era alzata mettendosi al centro della stanza con la valigia accanto, un cappello blu in testa e qualche spicciolo in tasca.

"Vengo con te" un sorriso che occupava tutto il viso si allargò sul volto di entrambi, i loro occhi erano colmi di felicità come se il male (per un istante) fosse completamente sparito dalla faccia della terra.

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