Capitolo venticinquesimo

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Mi ritrovai a correre come una pazza, avevo i capelli in disordine e gli occhi gonfi di sonno ma incredibilmente svegli. Non mi resi nemmeno conto di essere ancora in pigiama, le stringhe delle all star slacciate erano come fruste sulle mie caviglie. La macchina l'aveva presa Axl, gli altri erano arrivati in taxi, così non ebbi altra scelta che saltare su un autobus al volo, ancora vuoto per l'orario. Un leggero chiarore illuminava la strada, tamburellavo ansiosamente le dita sul palo su cui mi aggrappai per stare in equilibrio e mi ritrovai ad urlare al povero autista di darsi una svegliata e premere il piede sull'acceleratore, condendo il tutto con qualche parolaccia.

Scesi con un balzo dal veicolo e mi lanciai sul grosso portone di metallo socchiuso spingendolo con tutte le mie forze, una volta superato feci i gradini a due a due, mi bruciavano i polmoni e mi tenni una mano premuta su un fianco dolorante. Una volta raggiunto il pianerottolo giusto mi posizionai davanti alla sua porta a riprendere fiato.

Deglutii e bussai ma non rispose nessuno, così presi a picchiare nervosamente le nocche sulla superficie di legno scuro pregando che stesse bene, che fosse vivo. Quell'attesa fu interminabile, i pensieri peggiori mi annebbiarono la mente mentre il cuore sembrava non voler smettere di accelerare, sarebbe sicuramente andato in tilt.

Quando aprì la porta la mia mano si mosse ancora meccanicamente per qualche secondo, ripreso il controllo la indirizzai verso il petto del ragazzo moro in piedi davanti a me.

"FOTTUTO IDOTA DEL CAZZO" urlai per poi spingerlo indietro con tutte le mie forze, lui si lasciò percuotere senza opporre la minima resistenza.

"PERCHÈ CAZZO SEI VESTITO COSÌ? SEI GIÀ PRONTO PER LA VEGLIA?" chiesi squadrandolo. Era dimagrito, la camicia bianca che aveva addosso era completamente stropicciata e gli stava un po' larga, i primi quattro o cinque bottoni erano slacciati e si intravedeva il petto leggermente abbronzato.

"Non mi sono cambiato dal matrimonio" rispose, notai che cercò di mantenere un tono stabile, calmo, ma la sua voce tremò leggermente. Non riusciva a guardarmi negli occhi, teneva la testa chinata in avanti e portava ripetutamente le mani sui fianchi e in tasca, per poi toglierle e ripetere l'azione, come se non sapesse dove metterle.

"Che cosa ti è preso Jeff? Si può sapere come hai anche solo potuto pensare di....di fare una cosa del genere" si portò una mano sul volto strisciandola sulla pelle e fermandola sul mento. Feci un paio di passi verso di lui, avevo paura ad avvicinarmi perché il mio istinto non mi suggeriva altro che picchiarlo.

"Mi dispiace" fu un sussurro, feci quasi fatica a sentirlo. Allungai le mani per prendere la sua.

"Se io...se non ti fossi per sbaglio venuta addosso tu...tu...?" senza preavviso mi guardò, finalmente vidi i suoi occhi così lucidi e arrossati.

"Si..beh, forse...immagino di si" le gambe sembravano cedere sotto il mio peso, così mi sedetti sul divano di pelle senza saper cosa dire.

"Perché?" chiesi fissando il tappeto, era di un rosso fuoco e non mi piaceva affatto.

"Perché non sto bene Amy, non più" parlò camminando verso di me e sedendosi al mio fianco, lasciò un po' di spazio tra noi.

"Lo sai che gli altri farebbero qualsiasi cosa per te" deglutii chiudendo gli occhi per prepararmi a quello che stavo per dire "...e anch'io Jeff".

Lo senti prendere un respiro profondo e capii di aver toccato un tasto dolente, così decisi di aprirmi e risolvere il nostro problema una volta per tutte.

"Non ce l'ho con te, è passato tanto tempo, l'ho superato" rise, ma fu uno sbuffo per niente divertito.

"Non credo che tu mi stia dicendo la verità" disse voltando il viso verso il mio, i capelli neri gli incorniciavano il volto scavato e mi venne voglia di sfiorarlo dolcemente. Mi avvicinai sedendomi più vicina a lui, tanto che le nostre braccia si sfiorarono.

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