Capitolo 20: "Il Dopo"

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"Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue."

-Eugenio Montale

Alla fine le cose erano andate come Harry non avrebbe mai immaginato. La scomparsa di Louis era stata una batosta difficile da superare. La sera stessa dopo aver canalizzato cosa fosse appena accaduto, era quasi impazzito. Aveva tirato fuori tutte le tele bianche che possedeva e aveva cominciato a dipingere il volto di Louis, convinto che ciò sarebbe bastato per riportarlo indietro. Lo disegnò così tante volte, che ormai riusciva a muovere le mani anche ad occhi chiusi. Anche con la vista offuscata dalle sue lacrime, dal suo dolore liquido. Sentiva che parte della sua anima, dell’essenza della sua anima, lo stesse abbandonando insieme a quelle gocce salate che gli rigavano le guance. Credeva di star perdendo se stesso, o perlomeno la metà che lui realmente era senza Louis. Lo aveva ridipinto fino a notte fonda e a nulla erano serviti gli sforzi di Niall che cercava di tirarlo fuori da quel vortice esplosivo e autodistruttivo.

Ma non successe nulla. Louis non ritornava da lui. Harry non si arrendeva però. No, lui continuava e continuava imperterrito e senza sosta a riportare su carta o tela i tratti di quella persona che aveva tanto amato, ma che era scivolata via da lui come granelli di sabbia fra le dita. Gli attacchi erano ritornati e respirare era diventato difficile. Ma Harry, dopo mesi, ce la fece. Cosi come il liscio gli aveva chiesto, aveva sì sfogato  il dolore però lo aveva anche superato, vivendo con la speranza di poterlo riavere indietro. Arrivò a pensare che forse, se mai avesse cominciato a pregare, magari qualcosa sarebbe successo. Niall lo aveva preso per pazzo quando aveva deciso di frequentare la chiesa cristiana. Aveva bisogno di aggrapparsi a qualcosa, ma quando capì che Dio non avrebbe potuto aiutarlo, ritornò sui suoi passi. La religione non era stata d’aiuto. Al contrario a fungere da supporto fu, come normale amministrazione, il suo amico biondo. Lo aveva cullato durante le notti seguenti la scomparsa del liscio, lasciando piccoli baci sulla sua cute e asciugando le lacrime che bagnavano prima il volto del riccio e poi la sua maglietta. Tutto questo nella stanza di Niall.

Harry non entro nella sua camera per tantissimo tempo e quando lo faceva ne usciva visibilmente scosso. Fondamentalmente prendeva i vestiti o i suoi attrezzi da lavoro e scappava fuori in corridoio, chiudendosi la porta alle spalle. Gli occhi gli divenivano vacui e una strana patina di tristezza e malinconia lo avvolgeva. Cadeva in una specie di stato vegetale, in cui tutto ciò che riusciva a fare era respirare e rimanere perfettamente in mobile in un angolo del corridoio. Niall non sapeva cosa accadesse nella sua testa in quei momenti e sinceramente non ebbe mai il cuore e il coraggio di domandarglielo. Sapeva comunque che se si trattava di ricordi e farglieli rivivere ad alta voce non avrebbe aiutato. Harry infatti ogni qualvolta metteva piede nella sua camera da letto, si sentiva sempre come se fosse stato catapultato al giorno in cui, quella dannata porta, l'aveva aperta per poi ritrovarsi piegato dal dolore per colpa di una lettera; quando l'aveva trovato al centro della sua stanza e aveva scoperto di averlo creato. Guardava il letto che aveva visto la loro prima unione romantica, che li aveva tenuti sul morbido mentre guardavano un film. Mentre entrambi a passi lenti seppur spontanei cominciavano ad innamorarsi. Guardava la scrivania dove aveva stilato la lista per capire come poter aiutare Louis a ricordare chi fosse, come se non fosse dipeso dal volere di Harry. Guardava l'armadio dove ancora i vestiti del più piccolo erano sistemati fra i suoi, unici indizi che Louis era stato veramente lì- che lui aveva vissuto per davvero. Guardava la finestra dove i raggi del sole entravano senza permesso ad illuminare le curve minute del più piccolo la mattina, che rendeva i suoi capelli caramello più chiari e faceva brillare la sua pelle bronzea. Guardava tutto ed ogni cosa che guardava, anche per sbaglio, senza farlo a posta, gli ricordava ciò che aveva vissuto e ciò che ormai non aveva più. Gli portava alla memoria il loro amore perfetto che gli era stato strappato dalle mani, che il destino gli aveva donato e poi si era ripreso con brutalità. Senza sconti. Ed Harry era soltanto una pedina di quel gioco che il fato aveva messo su. Si sentiva inerme, un inetto. Solo quando credeva di non potercela fare rileggeva la lettera del più piccolo. E sì, piangeva senza sosta, ma non fu così per sempre. Arrivò ad un punto, anni dopo, dove il dolore scomparve e ogni volta che leggeva quei “ti amo Harry" sorrideva malinconicamente, sospirava e lasciava che il peso del mondo almeno per quei pochi istanti scivolasse via dalle sue spalle. Come quando Louis era davvero lì con lui. Il mondo entrava in pausa e rimanevano solo Harry e le parole del liscio a contare. Superare quel periodo fu terribile. D’altronde aveva sempre pensato che ad una certa felicità corrispondesse un determinato dolore. Aveva avuto la fortuna di vivere un amore puro e vero sotto ogni punto di vista. La sofferenza non poteva non essere da meno.

𝐓𝐡𝐞 𝐏𝐚𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫 𝐚𝐧𝐝  𝐓𝐡𝐞 𝐏𝐚𝐢𝐧𝐭𝐢𝐧𝐠// LARRY STYLINSON Where stories live. Discover now