Capitolo 6 [Revisionato]

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"Mi raccomando ragazzi, ricordate le lezioni che abbiamo fatto. Quando dovete risalire, non fatelo troppo velocemente sennò i vostri polmoni non avranno il tempo di riprendere la respirazione normale " disse il nostro istruttore di sub. Si chiamava Mirco e aveva i capelli neri tagliati molto corti. Era molto serio sul lavoro e avrebbe potuto ammazzare qualche suo allievo se non capiva bene e subito le sue istruzioni .

Avevamo capito questa regola quando, due giorni prima, aveva iniziato a urlare contro uno studente che non riusciva a capire come si dovesse collegare la bombola d'ossigeno alla maschera. Era peggio di Severus Piton, solo che Mirco non ti toglieva i punti delle case, ti ammazzava direttamente.

"Non preoccuparti Mirco, sappiamo esattamente come fare. Ce lo hai insegnato tu" disse Leonardo, anche se palesemente stava pensando: Sennò finivamo male. Sentimmo il conducente della barca ridere. Avevamo prenotato una barca che si chiamava Toulípa per rangiungere più facilmente il relitto: era grande e spaziosa, con i fianchi dipinti di bianco e con le classiche linee di blu chiaro come decorazione. La cabina invece era colorata di rosso o di un marrone strano, non si era ancora capito da quanto era vecchio. Dentro una cassa, attaccata alla cabina, avevamo tutte le attrezzature mentre le maschere e le pinne, così come la muta, le avevamo già indossate.

Con noi c'era anche la dottoressa Sara che si era offerta di accompagnarci per tenerci d'occhio. Aveva paura che rubassimo qualcosa o era perché doveva controllare la situazione? Nemmeno quello era tanto chiaro.

Arrivammo velocemente al relitto, battendo il record di venti minuti e un secondo. Da lì si vedeva benissimo la costa e le numerose spiagge, con i bagnanti che si muovevano freneticamente qua e là. "Ok ragazzi, siete pronti?" chiese la dottoressa Sara. Il suo completo elegante era sostituito dalla muta da sub e Mirco la stava aiutando a collegare alla maschera la bombola d'ossigeno. Sembrava completamente al suo agio con quella tuta, al contrario di me che mi sentivo come una foca spiaggiata. Non riuscivo a muovermi liberamente da quanto era stretta ed ero pure convinta che dopo tutte le lezioni di Mirco mi ci sarei abituata. Ma non era così e mi sentivo un po' presa in giro per quello.

"Siamo nati pronti" dissi però con tono convinto. Dovevamo pensare in meglio, in acqua la tuta si "allargava" quel tanto per farti muovere come se non c'è la avessi. Mi misi la maschera e obbligai sotto minaccia Leonardo di aiutarmi con la bombola d'ossigeno, sennò l'avrei colpito con le pinne.

Ovviamente Leonardo non voleva essere schiaffeggiato con una pinna, quindi svolse perfettamente il lavoro. Quando io, Ginevra, Alex e Leonardo finimmo di fare gli scemi, ci sedemmo sul bordo della barca e al tre di Mirco ci buttammo in acqua.

Il primo pensiero fu quello di cadere su una finestra di vetro, il secondo fu che l'acqua dell'oceano era davvero gelido. Il terzo ... Wow! Era stupendo! Si vedevano perfettamente i banchi di pesci e anche i miei amici, Sara e Mirco, che gesticolava per farmi capire che dovevo seguirli. Mi mossi verso di loro, e poi, nuotammo verso le profondità.

I fondali marini erano piuttosto scuri e molto freddi. Con le torce subacquee si riusciva a scorgere il fondo e poi lo vidi: il relitto. Era davvero stupendo. La struttura era piena di buchi e marcia, ricoperta di alghe marine e sassi. I pesci entravano e uscivano dai buchi lungo i fianchi come traffici di alunni che entrano ed escono nelle classi durante l'anno. Non so come mai mi era venuto in mente quel pensiero ma i pesci sembravano proprio degli alunni. Mi venne in mente l'ansia comune degli studenti sulle verifiche, le merende, la campanella di fine ora, l'aria di libertà alla fine delle lezioni ... E ora mi trovavo in Grecia, a cercare un tesoro scomparso. Non me lo sarei mai aspettato.

Pensai alla mia amica Gaia che se ne stava sempre sui libri. Gaia adorava, come me, la storia e gli scavi archeologici. Era quello il suo sogno: laurearsi in archeologia e scoprire tesori nascosti, tra cui la città scomparsa di Atlantide e intere città sepolte. Mi chiesi come avrebbe reagito alla scoperta che indagavo ad uno dei misteri come nei suoi libri. Mi avrebbe come minimo ammazzata. Poi mi avrebbe resuscitata solo per sapere cosa fosse successo e in seguito, dopo sclerate e poc corn, mi avrebbe uccisa di nuovo. Pensai a tutto questo mentre mi avvicinai alla barca. Da vicino trasmetteva un senso di ansia ed era molto più grande di quello che sembrava. Notai che Sara entrava da uno dei buchi sui fianchi della struttura e la seguì, cercando di non danneggiare nulla nel mentre.

L'interno era messo peggio dell'esterno: era pieno di rocce coperte di alghe, rendendo l'intero ambiente di un verde smeraldo, e c'erano interi branchi di pesci. Per poco non mi presi un infarto quando una murena mi saettò davanti. Uscì velocemente dalla nave e iniziai a cercare indizi lì vicino. Mi avvicinai a grossi massi e trovai qualcosa nello spazio tra un masso e una specie di opera astratta fatta di sassi, alghe e di coralli , quasi nascosto all'occhio umano. Pian piano che mi avvicinai mi senti crescere l'ansia e quando ci arrivai e guardai dentro, mi si gelò il sangue nelle vene. Scattai frettolosamente verso l'alto, urlando d'orrore all'interno della maschera.

"Mati, stai bene?" chiese Mirco preoccupato. Eravamo seduti sulla barca, insieme al resto del gruppo. Mi avevano seguito dopo il mio improvviso attacco di panico e solo dopo essermi ripresa riuscì a dire:"Chiamate la polizia. Ci sono dei cadaveri là sotto".

La polizia arrivò dopo una quindicina di minuti e indicai ai sommozzatori il punto in cui avevo trovato i cadaveri. Nel frattempo erano arrivati anche Pierrick e Nicole. Alex li aveva chiamati quando eravamo scesi a terra e sembravano tutti e due molto preoccupati.

Nicole letteralmente si buttò su Alex per abbracciarlo, uccidendolo quasi per la troppa foga. Pierrick invece era il più calmo e ci chiese come stessi. "Non molto bene" risposi. Ero ancora traumatizzata e stavo guardando i sommozzatori che con una corda avevano legato al secondo relitto della barca e la stavano trainando verso la riva. "Ti capisco" disse Pierrick battendomi la mano sulla spalla.

Restammo tutti e sei a guardare i lavori di recupero in silenzio. Da lì si riusciva a scorgere solo due figure su una barca, ma avevo l'immagine ancora impressa nella mente: due scheletri umani con un foro di un proiettile nella testa. Mi venne da vomitare a ripensare alla scena, quindi osservai le onde infrangersi lungo la costa. Così non vidi la poliziotta venire verso di noi. Me ne accorsi solo quando la ebbi davanti. Aveva dei lunghi capelli rosso scuro, quasi color rubino, e gli occhi a mandorla color nero. Le labbra erano tirate in una linea sottile e notai che aveva delle rughe di preoccupazione sulla fronte. Coserà successo? Doveva essere rimasta scioccata anche lei dal ritrovamento dei cadaveri o cosa? Lo scopri un attimo dopo.

"Scusi, lei è il signor Pierrick Duboise?". Il diretto interessato sembrava confuso. "Si, perché?". La donna gli porse due cartellini, di quelli indentificativi che avevo visto indossare dalla dottoressa Sara. "Li abbiamo trovati sui corpi" disse e vidi Pierrick gelarsi sul posto. E quando vidi anch'io cosa c'era scritto, mi pietrificai. Su uno c'era il nome di Nathan Gentili, sull'altro Emma Duboise.

Emma Doboise era la madre di Alex e Nicole.

Vacanze all'isola dei fioriWhere stories live. Discover now