Spiegazioni (cap 31)

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Aprile 2014, Principato di Monaco  «Voglio lasciare giurisprudenza!», se ne uscì Alberto senza mezzi termini

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Aprile 2014, Principato di Monaco

«Voglio lasciare giurisprudenza!», se ne uscì Alberto senza mezzi termini.
«Cosa hai detto?» gli chiese distrattamente il padre mantenendo il capo chino sulla sua scrivania. Completamente immerso nelle scartoffie del lavoro, stava ignorando il giovane ragazzo di fronte a lui che, in piedi in quel glaciale ufficio, gli stava comunicando la sua decisione.
L'anno precedente Alberto, costretto dal volere del padre, si era iscritto all'università, facoltà di giurisprudenza. Non aveva nessun tipo di ambizione nel diventare un avvocato di grande fama, ma la sua famiglia possedeva uno studio da intere generazioni, collezionando un successo dopo l'altro e diventando tra le più famose associazioni di avvocati del Principato.
Secondo il padre il suo futuro era già scritto e non aveva nessun margine di scelta, neanche la mamma, l'unica che lo appoggiava nelle sue libere decisioni, poté evitargli quel destino.  Alberto Farnesi era destinato a diventare uno dei più famosi avvocati di Monaco.
Il ragazzo però, alla fine del suo primo anno si era ribellato, ormai stanco e alienato da tutti quegli argomenti che non gli interessavano e da tutti quegli esami che lo destabilizzavano, aveva preso la sua decisione. Si era fatto coraggio e aveva bussato alla porta di quell'uomo che era suo padre, ma in realtà di un padre aveva ben poco.
Il signor Farnesi non aveva mostrato mai particolare sensibilità paterna verso il suo unico figlio, non si era mai lasciato andare ad una carezza, ad un'effusione o semplicemente ad una parola affettuosa, come un papà fa con il suo bambino. L'unica cosa che aveva sempre insegnato ad Alberto era l'importanza dell'obbedienza, il rispetto ed il dovere. Con gli anni, il ragazzo aveva capito che quei valori erano a senso unico, ovvero stava solo a lui dover obbedire, rispettare ed essere devoto al suo lavoro.
«Ho detto che lascio giurisprudenza!», ribadì sicuro e con tono più alto.
L'uomo alzò la testa calva dai suoi documenti e diede un veloce sguardo al figlio, per poi sbottare in una risata amara: «E cosa ti metteresti a fare?! Sentiamo.»
«Voglio studiare archeologia, voglio viaggiare.», gli rispose perdendo un po' dell'audacia che aveva avuto all'inizio.
«Alberto, per favore, ho parecchio lavoro da finire, non ho tempo per i tuoi giochetti infantili.»
«Non è un giochetto, sono serio. Lascio giurisprudenza e mi iscrivo ad archeologia, ho già deciso, non ti sto chiedendo il permesso, te lo sto solo comunicando.», precisò girando su se stesso per uscire da quella stanza, ma venne bloccato sul posto dalla voce autoritaria del padre.
«Porta rispetto, ragazzino! Non sono un tuo amico, sono tuo padre!»
«Questo non ti dà il diritto di controllare la mia vita!», gli vomitò addosso il ragazzo tornando a guardarlo. Il tono prepotente con cui si era rivolto a suo padre irritò non poco l'uomo che, in tutta la sua figura imponente, si alzò dalla scrivania sbattendo una mano sulla superficie.
«Non ti permettere, Alberto! Ti costerà caro il tuo atteggiamento.», respirò e ridimensionò il suo tono per poi emettere la sua sentenza: «Sei proprio uno sciocco, hai preso la sensibilità di tua madre in questo. Credi davvero che tu sia libero di fare le tue scelte in questa vita?», ghignò scuotendo la testa, sistemò la cravatta sotto la giacca e fece il giro della scrivania posizionandosi davanti al figlio che, attonito, lo fissava. «Il tuo futuro è già stato costruito, sarai socio dell'Associazione Avvocati Farnesi, la tua scrivania in ufficio è già pronta. Perciò, ora vai a fare quello che fanno i ragazzi alla tua età nei pomeriggi primaverili e smettila di dire stupidaggini.»

Josie aveva da poco suonato il campanello di villa Farnesi quando la donna in divisa nera e bianca aveva aperto la porta.
«Buongiorno, Dorothy.», sorrise la Moreno.
«Buongiorno, signorina, il signor Alberto è di sopra dal padre.», le comunicò la storica governante della famiglia. «Ho saputo da Alberto che è stato il suo compleanno ieri.»
«Sì, ho compiuto diciassette anni. Dorothy, ti prego, dammi del tu.», affermò fiera, mentre entrava nella grande casa. «Alberto ha promesso di portarmi al cinema questo pomeriggio.»
«E cosa andate a vedere di bello?», domandò la donna entusiasta. 
«S'intitola "HER", hai presente?»
«In realtà no, di cosa tratta?»
«È una storia d'amore ambientata nel futuro: uno scrittore di lettere d'amore si innamora della voce del.... del suo computer. Come se fosse "SIRI", più o meno...», tentò di spiegare la ragazza guadagnando uno sguardo parecchio confuso della donna sulla cinquantina.
«È una storia d'amore questa?», chiese in conclusione Dorothy, dimostrando palesemente di non aver molto inteso la spiegazione della ragazza.
Josie sorrise, «Sì, è una storia d'amore.», affermò senza approfondire oltre l'argomento e, notando ancora lo sguardo un po' sorpreso della donna, aggiunse: «Lo so, non è il tipico film che guarderebbe Alberto, ma mi ha concesso di scegliere perché è il mio compleanno.»
Mentre conversavano del film erano arrivate alla scalinata che le portava al piano superiore, Dorothy guardò l'adolescente davanti a sé e dolcemente disse: «Josie, dovresti scegliere più spesso i film da vedere, i tuoi gusti sono importanti tanto quanto quelli del signor Alberto. Cerca di tenerlo sempre a mente.»
Il sorriso della ragazza si spense un po', non disse nulla in merito al consiglio che Dorothy le aveva appena dato, si limitò solo ad un cenno del capo e, salendo le scale, la lasciò alle sue faccende.
Man mano che percorreva il corridoio diretto alle varie stanze, sentiva sempre più distintamente la voce urlata del papà di Alberto e una volta raggiunta la porta della stanza in cui i due stavano discutendo, poté anche udire perfettamente la parte finale della conversazione.
«Questa è la mia casa, queste le mie regole.»
In un lampo vide apparirle davanti l'uomo alto in giacca e cravatta, si fermò di fronte a lei facendola gelare sul posto.
«Josephine.», pronunciò l'uomo squadrandola, «È molto che sei qui?»
«N... nnn... no, signor Farnesi. Sono... appena arrivata... io cercavo Alberto.»
«Bene, l'hai trovato. È qui.», detto questo, si allontanò dalla giovane, non degnandola più nemmeno di uno sguardo. Josie sussurrò un debole saluto osservando l'uomo allontanarsi e venne sorpresa da Alberto che le si palesò davanti. Un bel sorriso spuntò sulle labbra della ragazza, felice di vederlo, ma lo sguardo che il biondo le dedicò non fu affatto sereno.
«Che ci fai qui?», le domandò spiacevolmente sorpreso, con tono burbero.
«Come che ci faccio qui?!», gli disse di rimando, «Dovevamo andare al cinema, l'hai forse scordato?!»
«Merda! Il cinema... non posso venire.», le comunicò lapidario, attraversando il corridoio e scendendo le scale.
Josie restò immobile a guardare il vuoto davanti a sé, gli occhi furono colmi di lacrime in un istante, sapeva che sarebbe andata a finire così.
Quello era il suo Alberto: dei momenti era il ragazzo più dolce che conosceva, capace di farla sentire unica al mondo, e altri momenti era un perfetto sconosciuto che la considerava invisibile. Prese un gran respiro e lo seguì giù per le scale, accelerò il passo fino a raggiungerlo e una volta al suo fianco lo accusò: «Me lo avevi promesso.»
«Devo andare via con Michel questo pomeriggio! Non posso venire al cinema, Josie!», le comunicò distrattamente raggiungendo la cucina e afferrando una banana dal grande cesto sul tavolo.
«Ieri sei uscito con Michel... È per questo che mi hai detto che saremmo andati oggi al cinema!!», il suo tono era leggermente sopra le righe, stanca di essere trattata come una nullità ingombrante, ma così aveva scatenato il nervosismo del biondino che si voltò di scatto verso di lei e la intimò con brevi ma decise affermazioni.
«Smettila, Josie! So cosa ho detto ieri! Ma oggi non mi va di venire con te a vedere quello stupido film!»
Josie tremò non appena il suo tono rimbombò nella stanza, e si ammutolì senza dire altro. Il suo sguardo finì a terra, sulle sue converse bianche nuove, messe per l'occasione, ricevute dalla sua mamma per i suoi diciassette anni. Mille sensi di colpa la invasero. Come una sciocca aveva fatto irritare Alberto. Invece di distrarlo, spazzando via il malumore che il padre gli aveva creato, lo aveva fatto innervosire ancora di più con la sua stupidità.
«Scusa.», sospirò con un filo di voce, «Io vol... pensav...»
«Cosa? Cosa, Josie?», grugnì rumorosamente alzando gli occhi al cielo, «Senti, è una giornata un po' così, ho bisogno di stare con qualcuno che non mi crei fastidi, lo capisci?!», le avvertì guardandola, cercando la sua comprensione.
«Sì... Certo.», rispose remissiva fissando i suoi occhi.
«Brava.», le sussurrò lisciando una ciocca dei suoi lunghi capelli, «Appena mi sarò svagato un po' faremo qualcosa insieme, ok? Ora però devo andare.»
Le baciò le dolci labbra e prendendo le chiavi della sua Porche uscì dalla porta.
Josie restò immobile per qualche secondo finché la voce di Dorothy la fece voltare.
«Hai modo di tornare a casa?», le chiese la donna amorevolmente, non sorpresa di vedere la delusione su quel giovane viso.
«Sì, certo!», rispose simulando una sicurezza che non sentiva e cercando di mascherare quelle lacrime che fitte scivolavano giù dai grandi occhi nocciola. «Chiamerò mia sorella Maggie.», al pronunciare il nome della sorella scoppiò in un pianto disperato e la donna dai bianchi capelli si avvicinò a lei e l'abbracciò all'istante.
«Bambina, shh... non piangere. Col tempo capirai che non ne vale la pena.»
Josie non rispose a quelle parole, non capiva cosa Dorothy volesse dire e non voleva nemmeno sforzarsi di farlo. L'unica cosa che voleva era vedere quel film al cinema con Alberto.

*****

My passion /Charles LeclercWhere stories live. Discover now