37- Arsène

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Penso che stavo letteralmente volando per la felicità che avevo in corpo quel giorno. La notte più bella della mia vita in assoluto Correvamo per le grandi strade trafficate di New York come se avessimo le ali sotto ai piedi. Eravamo alla ricerca del nostro amico, non sapevamo esattamente dove andare, ci facevamo guidare dall'intuito.

"Fermati Arsène!" gridò Irene dietro di me col fiatone. "Non sappiamo nemmeno dove andare o dove cominciare a cercare."

"Possiamo cominciare dal tetto del teatro."

"No, lì non ci sarà niente."

"Tornare alla fabbrica di cucito?" proposi nuovamente.

"Ma è esplosa"

"Ah, giusto." cadde il silenzio, un silenzio riflessivo per entrambi.

"Proviamo a tornare al tendone del circo! Magari avranno lasciato qualche biglietto di riscatto." sentenziò infine.

"Giusto, sei un genio." dissi con un sorriso enorme; quanto potevo amarla.

Il problema non fu arrivare al parco e nemmeno entrare nel tendone, ma cercare di rovistare tra le attrezzature del circo senza essere scoperti; se mi avessero trovato mi avrebbero fatto una di quelle ramanzine che nn avrei più scordato.

Riuscimmo miracolosamente ad arrivare indenni all'ufficio improvvisato di mio padre nascosto sotto le impalcature dietro le quinte. Solo io conoscevo quel posto e probabilmente mio padre non sapeva che io lo avessi seguito.

Ci mettemmo a cercare in cassetti, armadi pieni di costumi, cassettini porta trucchi e in cassetti nascosti dentro ad altri mobili.

Trovammo conti e carte strane che non appartenevano né agli ingaggi né ai pagamenti degli artisti.

"Guarda, quanti soldi saranno questi?" mi chiamò la rossa aprendo un cassetto in basso che era bloccato e lo trovò stracolmo di banconote non inglesi e nemmeno americane, ma francesi.

"Sono soldi francesi, strano; sono anni che non torniamo più là."

"E tutti questi conti?"

"Non ne ho idea; non conoscevo questo lato segreto di mio padre, mi sono sempre fidate ciecamente." e presi un respiro, un groppo enorme in gola che minacciava di strozzarmi. "Pensavo mi raccontasse tutto" ci furono dei minuti di silenzio in cui io mi persi nei miei pensieri e lei fece vagare lo sguardo sul tavolo.

"Qui c'è un indirizzo! 21st ST. Si trova nel quartiere di Astoria, al di là di Welfare Island. Quasi dall'altra parte della città in poche parole." quasi urlò chiamandomi e mostrandomi quel bigliettino apparentemente insignificante ma scritto con la calligrafi di mio padre.

"Allora sbrighiamoci." e la presi per mano tirandola fuori correndo. Se ci notarono non lo avrei saputo ma sicuramente nn ebbero il tempo di fermarci a parlare.

Dovemmo prendere due carrozze ed un sacco di tempo per arrivare in una zona poco trafficata con molte enormi strutture.

"Ecco, questa è la 21st. Non so a quale edificio si riferisse." mi disse lei, stringendo la mia mano.

"Senti..." ricominciò poi nel silenzio assoluto. "Riguardo a ieri sera." mi girai a guardarla; che avesse qualche ripensamento? Tornai a guardare avanti e feci in tempo a notare un ombra che correva dentro ad una struttura in metallo.

"Vorrei dirti che"

"Non ora." la interrompei. "Ho visto qualcosa che si muoveva." feci sotto voce correndo contro il lato della strada acquattandomi per quanto possibile nell'ombra.

Scivolai dentro alla struttura con la ragazza al seguito; mi parse di sentire dei passi nel ferro al piano superiore ma non ci feci molto caso, lì dentro tutto rimbombava. Altri colpi, questa volta più forti da uno stanzino al lato opposto; decisi di controllare questa volta, mentre entrambi tiravamo fuori le nostre pistole.

Buttai giù la vecchia porta arrugginita con un calcio e notai una figura allungata nell'ombra. Mi scambiai uno sguardo d'intesa con la ragazza e feci qualche passo fino a raggiungere il corpo velocemente e poggiare due dita sul collo.

"Sherlock!" dissi a voce alta scuotendolo un poco; Irene dietro a me che faceva da palo alla porta si girò guardandomi preoccupata.

"Tranquilla respira anche se poco." e lo scossi ancora. "Sherlock, irritante secchione, svegliati." e lui alzò leggermente le palpebre. Ripresi a respirare, avevo la sensazione che le spalle mi fossero scese di mezzo metro. Gli tolsi la benda dalla bocca e lui cominciò a dimenarsi un poco.

"Tranquillo, è un piacere anche per me trovarti vivo." appena non ebbe più l'impedimento della stoffa nella bocca disse, con la gola secca e la voce gracchiante:

"Arsène, è una trappola. Scappate!" e cominciò a tossire, sempre più forte, fino a sputare sangue e macchiarmi la camicia bianca. Con gli occhi spalancati, iniettati di paura fino al cuore, mi girai verso la porta dove la rossa faceva ancora la guardia, giusto in tempo per vedere una figura incappucciata prendere Irene per il collo e puntarle una pistola alla testa mentre lei rimase gelata e Sherlock smise di tossire.

Cadde il silenzio, una risata ruppe quella quiete temporanea, una risata che cercai di non capire, di togliermi dalla testa perché troppo simile a...

"Mi spiace interrompere i vostri giochi ma la principessa mi serve e non penso potrà tornare presto da voi." per poi riprendere a ridere.

Uscii dal mio nascondiglio dove rimanevo celato agli occhi dell'incappucciato con una lacrima che mi divideva in due la guancia e sussurrando una sola parola che fece gelare tutti.

Niente più che un sospiro ma che sembrò far tremare l'intero mondo, oppure ero io a non riuscire a stare fermo e a salire in piedi senza tremare come un bambino.

"Papà."

𝖀𝖓 𝖆𝖒𝖔𝖗𝖊 𝖒𝖔𝖗𝖙𝖆𝖑𝖊 - 𝓢𝓱𝓮𝓻𝓵𝓸𝓬𝓴, 𝓛𝓾𝓹𝓲𝓷 𝓮 𝓘𝓸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora