Capitolo 1

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Quella notte tutto sembrava tranquillo. La luce della luna filtrava appena dalle finestre a causa delle nuvole che la ricoprivano e non le permettevano di splendere in tutta la sua bellezza. Nelle case della gente, tramite le finestre, era possibile vedere camini accesi, bambini felici e per nulla vogliosi di andare a dormire, padri raccolti a leggere giornali sulle poltrone e madri impegate a lavorare a maglia. Ma in quella casa di Stalingrado degli anni quaranta regnava tutt'altra aria. La serata cominciò bene, i quattro figli maschi di Alian Romanoff si divertivano in salotto a giocare alla guerra, mentre sua moglie e la sua unica figlia erano in bagno a prepararsi per la notte. La donna non disse nulla ai quattro ragazzi, nonostante una guerra infuriava nel mondo e trovasse quel gioco malsano. E poi non avrebbe mai avuto l'appoggio del marito che aveva commentato dicendo che i ragazzi avevano bisogno di sfogarsi, che era giusto per i maschi imparare cosa li avrebbe attesi nel mondo esterno. Su quello concordava, i suoi figli dovevano conoscere il mondo, ma non capiva perché tramite la violenza. Così si ritirò nel bagno della casa, pronta a spazzolare una piccola Natalia di appena una decina di anni.
"Perché quando giocano fanno così tanto rumore?" Chiese la bambina, incuriosita dai giochi dei fratelli. Non vi aveva mai preso parte e non sapeva se aveva voglia di provare, ma una volta aveva tentato. Non era finita bene poiché suo padre, accortosi del suo goffo tentativo di provare il nuovo gioco, si era arrabbiato. Aveva detto che quello non era un gioco per una ragazzina, che la guerra non era per le femmine, che era meglio se tornava a giocare con le bambole. Natalia non aveva capito, la guerra non era bella, far male ad altre persone non andava bene per nessuno, non sole per le ragazze. Perché allora tutti continuavano a farlo? Da quel punto di vista era proprio come sua madre. La donna prese tra le dita le ciocche rosse di sua figlia e, dopo essersele passate fra le dita, iniziò a spazzolarle con amore. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Che era giusto così? Che gli uomini dovevano andare a morire e le donne dovevano aspettarli e pregare ogni sera? Natalia doveva conoscere il mondo, no?
"Perché è giusto così." Avrebbe voluto aggiungere un 'credo', ma non lo fece. Rimase zitta a pettinare i capelli di Natalia mentre questa si limitò a guardarsi allo specchio. Le urla festanti dei bambini iniziarono presto ad infastidire la loro madre: non solo era tardi e avrebbero svegliato tutti, ma era anche l'ora di andare a dormire. Avrebbe intimato loro un po di silenzio dopo aver messo a letto la sua bambina. Accompagnò Natalia nella sua cameretta e le rimboccò le coperte. Posò sulla fronte della figlia un bacio e le accarezzò la testolina rossa appena pettinata.
"Papà non viene?" La donna l'aveva guardata ed aveva sorriso. No, molto probabilmente Alian avrebbe inventato una scusa per non andare. Avrebbe detto di essere troppo impegnato o finto di averlo scordato. E Natalia se lo sarebbe presto dimenticato.
"Certo tesoro, papà arriva subito. Tu intanto cerca di dormire, prima deve aiutarmi a mettere a letto anche i tuoi fratelli." La bambina aveva sorriso e si era sistemata meglio sotto le lenzuola mentre sua madre usciva dalla cameretta cercando di far il meno rumore possibile con la porta. Una volta dall'altro lato si appoggiò su di essa e sospirò. A volte le faceva male mentire a Natalia e per sentirsi meglio si ripeteva che era solo una bugia bianca, a fin di bene. Perché avrebbe fatto molto più male se le avesse detto che non era la preferita di suo padre, che Alian avrebbe preferito un altro maschio. Non l'aveva mai detto ad alta voce, ma la madre aveva visto negli occhi del marito la delusione quando aveva scoperto che Natalia non era come gli altri figli. Lei si era sentita più leggera e più compresa quando aveva comprato copertine rosa e fermagli per capelli, finalmente avrebbe avuto una complice. Alian non le aveva mai fatto mancare nulla di materiale, solo la sua presenza era spesso assente. E proprio non capiva che per una bambina non bastavano solo bambole e tazzine da thè, ma anche un genitore.
Un altro piccolo urletto la fece tornare al presente. Si staccò dalla porta della camera di Natalia e andò verso il salotto. Alian era ancora completamente preso dal giornale, per nulla interessato al fatto che i suoi preziosi maschietti fossero ancora in piedi. Una madre non avrebbe dovuto avere preferenze, ma il comportamento del marito aveva reso la cosa inevitabile.
"Ragazzi, basta. È ora di andare a dormire, e nel corridoio fate silenzio o sveglierete vostra sorella."
"Si mamma." Posarono le loro spade di legno e il più piccolo allungò la mano per prendere quella della madre. La donna la prese e si incamminò verso il bagno. Aprì il rubinetto e provò ad aiutare i suoi maschietti, ma i figli non glielo permisero. Così si ritirò sul vano della porta e si fece abbracciare dal marito. Rimasero a guardare la loro famiglia, almeno finché Alian non iniziò ad annusare nell'aria l'odore acre del fumo. Andò alla finestra del sanitario, lasciando la moglie con uno sguardo iterrogativo sul volto. Non capì subito, ma non appena la puzza di bruciato giunse anche a lei, si avvicinò al marito. Non riuscì ad arrivare a guardare fuori dalla finestra dato che il corpo di Alian le impediva la vista.
"Va tutto bene caro?" Sapeva che probabilmente la risposta sarebbe stata positiva, magari la colpa di quel fumo era dovuta ad un piccolo incendio li vicino, ma averne la conferma era tutto ciò di cui aveva bisogno per stare meglio. Alian le fece cenno di tacere con la mano, e li la donna comprese di non essere al sicuro. Sapeva che la loro parentela con la famiglia reale non era un bene, ma fino a quel momento non vi erano stati pericoli concreti. A volte delle piccole minacce arrivate per posta, ma gettata la lettera passava tutto.
"Prendi Natalia, io mi occupo dei ragazzi. Non siamo al sicuro qui." Sua moglie non capì cosa stava accadendo, ma di Alian si fidava e fece come le era stato detto. Entrò in modo delicato nella camera della sua bambina per non farla preoccupare, e la scosse gentilmente. Natalia mugugnò qualcosa che somigliò molto ad un "papà". Alla donna gli si strinse il cuore, la sua bambina soffriva davvero per colpa di suo padre, e ad Alin non importava nulla. Provò un moto di rabbia, ma lo represse perché la situazione era abbastanza grave e dovevano uscire di li. L'aveva capito dal tono teso di voce del marito, dalla puzza del fumo sempre più presente e dal caldo che iniziava ad avvolgere la casa.
"No tesoro, sono la mamma. So che ti ho detto che dovevi andare a dormire poco tempo fa, ma è successo un fatto e noi dobbiamo andare." Le accarezzò i capelli rossi e, dopo essersi agitata nel sonno un paio di volte, Natalia aprì gli occhi e si mise seduta.
"Che succede mamma?" Dal saloto si sentì un botto, e la donna cercò di sovrastare con la voce quel suono di morte che si avvicinava minacciosa.
"N-non è nulla. Ora dobbiamo andare via per un po tesoro. Andrà tutto bene." La voce le tremava e non sapeva come fare per farla apparire più ferma. Come poteva Natalia credere alle sue parole tremolanti quando non lo faceva neache lei? Poteva continuare a mentire a sua figlia a fin di bene? Anche quando probabilmente sarebbero morte? Le avrebbe continuato a nascondere la verità? Si disse di si, che poteva e loro non sarebbero morte. Natalia iniziò a piangere quando oltre la porta della sua cameretta si udì il rumore di un tetto crollato mischiato alle urla dei suoi fratelli. Sua madre tremò e corse alla porta. La strattonò con tutte le forze in suo possesso, ma nulla, non voleva aprirsi. Evidentemente qualcosa nell'altra camera doveva essere crollato ed era andato a bloccare la porta. Il fumo iniziò a darle fastidio e ad annebbiarle i sensi. Doveva trovare un modo per farlo andare via...ma stava cominciando ad essere così difficile restare in piedi, cercare di non perdere i sensi. FINESTRA! Ma certo, era così ovvio. Se avesse aperto la finestra avrebbe potuto respirare un po di aria pulita e magari calarsi da essa per salvare la pelle a lei e a Natalia. Si avvicinò barcollando appena, nelle orecchie il pianto della sua bambina e le urla dei suoi figli. Il cuore le faceva male, ancora più dei polmoni invasi dal fumo acre. Prese in braccio Natalia, aprì la finestra e mise le due teste fuori da essa. L'aria pulita le invase il corpo, le schiaffeggiò il volto e la donna credette che fu la senzazione più bella di tutte. Sarebbe rimasta li per sempre, ma poi un urlo la  riportò alla realtà. Fuoco, odio, morte. Gli venne da piangere, ma non voleva mostrarsi debole davanti a sua figlia. Stava per tornare dentro la stanza di Natalia per vedere se avesse delle corde quando la sua attenzione venne attirata da alcuni sassi lanciati contro la finestra aperta e una voce appena udibile oltre il rumore del fuoco che le chiamava. Si sporse verso il giardino e notò un uomo che conosceva bene. Ivan Petrovich Bezukhov, il suo amico Ivan, era davvero li. La donna fece un sospiro di sollievo e lo salutò con la mano per fargli capire che si era accorta di lui. Quando Ivan tornò a parlare però si rese conto che riusciva a sentirlo molto meglio. Inghiottì la bile che le era salita in gola, se le urla erano cessate c'era solo un motivo. Si disse di rimanere lucida, se non fosse stata concentrata anche sua figlia avrebbe cessato di urlare per sempre.
"I nazisti!" Urlò Ivan per farsi sentire.
"Ho provato ad avvertire Alian, ma non c'è l'ho fatta. Mi dispiace tantissimo!" La donna si guardò in torno e andò nell'armadio della bambina. Vi frugò dentro e dopo poco ne tirò fuori alcune sciarpe. Non erano molto resistenti, ma sarebbero bastate per far calare Natalia giù dalla finestra. Con abile mossa legò la corda in torno al letto e poi alla vita dalla sua bambina. Dovette fare tutto molto velocemente dato che il fuoco non la smetteva di avanzare in quella casa. Dopo essersi assicurata che il nodo fosse ben stretto, tornò a guardare Ivan.
"Prendi Natalia! Se vuoi rimediare al tuo errore, prendi mia figlia e giurami che te ne prenderai cura!" Vide Ivan fare di si con la testa e il cuore le divenne più leggero.
"Te lo prometto!" Avrebbe voluto piangere ma si trattenne davanti a sua figlia. Tornò a guardare Natalia.
"Tesoro, ora devi andare via. Mi prometti che farai la brava?" La bambina si sporse verso sua madre, la donna la prese in braccio e la strinse forte al petto. Si era ripromessa di essere forte, ma le lacrime iniziarono inevitabilmente a bagnarle le guance.
"Non vieni con me?" Il cuore le si spezzò a quelle parole, come poteva una madre dire addio a sua figlia? Un bambino che perde i genitori diventa orfano, una moglie a cui muore il marito diventa vedova, ma come si chiamava una madre che perdeva la propria figlia, la propria famiglia?
"La mamma non può venire con te, ma ti prometto che starai bene. Ti ricordi di Ivan?" Quando vide che Natalia fece di si con la testa continuò.
"Ecco, devi stare da lui per un po. Mi prometti che farai la brava?" ripeté. Il cuore ormai spezzato, si contorse ancora quando vide il volto di sua figlia inondato dalle lacrime. La strinse in un abbraccio e, prima che le fiamme le inghiottissero, la calò dalla finestra. La vide atterrare tra le braccia di Ivan e salutarla con la mano. Come le sarebbe piaciuto andare con loro, vederla crescere e diventare una donna...ma non poteva e lo sapeva. Non sarebbe mai stata al sicuro se fosse scappata con loro. I nazisti dovevano credere che fossero morti tutti. Rimase alla finestra fino a che non li vide più. Si appoggiò alla parete e, mentre scivolava nel buio, attese la morte.

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