Capitolo 4

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Natasha rimase nella sua stanza finché uno di quegli uomini sempre pronti a tutto e in uniforme entrò. Aprì senza bussare e trovò la ragazza seduta sul suo nuovo letto. L'uomo, che agli occhi di Natasha sembrava proprio un soldato, lasciò la porta aperta e si fece da parte. Molti altri uomini come lui entrarono e posizionarono i vari pacchi che stringevano tra le mani sul pavimento. Solo la sera più tardi avrebbe appreso che si trattava delle sue cose personali.
"Seguimi." Le disse uno di loro e la ragazza fece come le era stato ordinato. Oltrepassarono varie porte di cui Natasha ignorava completamente l'esistenza, finché non si trovarono in una stanza molto particolare. Sembrava molto un laboratorio, cosa che spaventò molto l'aspirante Vedova Nera. Yelena le aveva raccontato vagamente del potenziamento, e in quel momento si pentì di non aver fatto altre domande.

Uno dei soldati la condusse ad una sedia e le fece segno di sedersi. La stanza cominciò a riempirsi di gente, compresa la donna bionda e Yelena, tra la folla vide anche Alexei. Un uomo in un camice bianco le si avvicinò con un carrello pieno di siringhe ed altri attrezzi che lei non riconobbe. L’uomo cominciò a legarla alla sedia con delle cinghie che lei non aveva notato prima, in quel momento le vennero in mente le parole di Yelena "È incredibile come non ci sia qualcosa che non faccia male al KGB" e l’ansia cominciò ad attanagliarle lo stomaco. Quello che doveva essere il medico prese una delle siringhe che conteneva uno strano liquido, cominciò a dare delle schicchere sul vetro e il chiacchiericcio si placò completamente, le passo un batuffolo umido sul polso per poi parlare.
"Bene Natasha oggi cominci il tuo cammino per diventare una Vedova Nera. Sto per iniettarti il siero per il potenziamento fisico, guarda aventi e p…" venne interrotto dalla donna bionda
"Non si perda in chiacchiere, non ha bisogno di sapere cosa c’è dentro, lo faccia e basta." Il medico la guardò negli occhi con una luce quasi dispiaciuta. Natasha si volto verso la folla. Quando sentì l’ago penetrarle il polso vide Yelena lasciare la stanza ed Alexei distogliere lo sguardo. All’inizio non sentì nulla, poi lentamente un dolore acuto e tremendo si diffuse in tutto il suo corpo. Si morse le labbra a sangue per non urlare. Poi quando pensò che il dolore e il bruciore non potessero essere maggiori, aumentarono. Non riuscì più a trattenersi e cominciò ad urlare frasi senza senso e mezze parole mentre si dimenava sulla sedia. Il dolore aumentò ancora e le sue urla raggiunsero il massimo. Era come se i suoi organi stessero collassando e la pelle si stesse disintegrando per il troppo calore, come se del fuoco avesse preso a bruciare nelle sue vene, partendo dal punto in cui l'ago toccava la pelle. Dopo quelle che le sembrarono ore di dolore ed urla, il fuoco cominciò a placarsi andando scemando. Smise di urlare quando tutto finì e lasciò cadere la testa a penzoloni, sfinita. L’ultima cosa che sentì fu la sprezzante voce della donna bionda.
"Ecco, c’era tanto bisogno di urlare?" Alcuni forse applaudirono ma non riuscì a distinguerli perché scivolò in un buio senza sogni o incubi.

Si stupì di essersi svegliata da sola e senza l'aiuto della campanella che solitamente annunciava l'inizio della giornata. Ma soprattutto fu sorpresa quando si ritrovò nel letto, non ricordava di esserci arrivata. Era abituata ad alzarsi prima, ma con il nuovo programma avrebbero avuto mezz'ora in più. Sfruttò quel tempo per vestirsi con calma. Aveva il corpo un po indolenzito a causa dei lividi e di quel potenziamento, ma, riguardo alla sera precedente, avrebbe potuto dire di stare addirittura bene. Il fuoco che le scorreva nelle vene era cessato, lasciando il posto ad un dolore lieve in sottofondo. Non era forte, ma Natasha sentiva la sua presenza. Non si sentiva né diversa né più forte.
Indossò la tuta nera e si legò i capelli in una treccia disordinata. Quando si guardò allo specchio la sciolse e la rifece più ordinata, e se avesse incontrato Alexei? L'aveva visto tra tutta quella gente la sera prima, e se si fossero riincontrati Si diede della sciocca, non aveva tempo per stare dietro ai maschi e tanto meno per apparire carina. Sapeva che in quel posto le donne venivano agghindate solo quando erano sottocopertura. Spesso si chiedeva come sarebbe stato prender parte ad una missione. Le sarebbe piaciuto provare un rossetto rosso o un mascara, mettersi una parrucca per cambiare colore ai capelli e, perché no, magari dipingersi le unghie con uno smalto colorato. Per le ragazze della sua età era la normalità, ma Natasha non aveva mai avuto il privilegio di prendersi cura del suo corpo.
La campanella suonò, decretando che da li a cinque minuti sarebbero dovute essere tutte pronte per la colazione. Quel nuovo orario non le dispiaceva poi tanto. Quando arrivò nella mensa si stupì di essere una delle ultime. Notò che nella stanza c'erano una decine di ragazze quasi tutte più grandi di lei. Nella poca confusione riconobbe Yelena. Era seduta sopra ad un tavolo, la colazione posata accanto a lei, e intorno due ragazze che parlavano animatamente. Natasha non sapeva se avrebbe dovuto fare un cenno di saluto, ma i suoi dubbi sparirono quando fu l'altra a chimarla. Si avvicinò al tavolo. Yelena le allungò una mano che conteneva tre delle pasticche presenti nella colazione.
"Prendi, tanto qui non le mangia nessuno. Oggi hai l'iniziazione, ti conviene prenderle prima che ti vengano a chiamare. Non servono molto, ma è meglio ingoiarle che andare li a mente lucida. Non te ne consiglio più di quattro, ma puoi sempre chiedere in giro. Non credo che un overdose sia una scelta tanto sbagliata qui, sicuramente non è la peggiore." Yelena sorrise in un modo che le fece gelare il sangue nelle vene. Ringraziò a bassa voce e si allontanò da quel tavolo in cui si sentiva di troppo. Si avvicinò per prendere qualcosa da mangiare, ma un soldato, tendendo il braccio, la fermò.
"Signorina Romanoff, lei oggi ha l'operazione. Deve rimanere a stomaco vuoto." Non aggiunse altro, ma Natasha notò che fu il primo a chiamarla 'operazione' e non 'iniziazione'. Pensò che così faceva più paura, ma probabilmente era più adatto. Non le diedero neanche l'acqua. Così fu costretta a nascondersi in un angolino e ingurgitare quelle tre pasticche il più velocemente possibile. Si graffiò la gola, ma non ci fece caso, era abituata a sentire la pelle aprirsi in piccoli tagli. Sperò che l'effetto fosse immediato, aveva bisogno di staccarsi per un po da quel mondo, ma ovviamente dovette aspettare. Li, in mezzo alla mensa, con lo stomaco che quasi bruciava per la fame, in gola il sapore caldo e ferroso del sangue, la testa che le pulsava per l'eccesso di pastiglie, nelle vene l'eco di un dolore lontano, aspettò. Cosa, non avrebbe saputo dirlo neanche lei.

Natasha ricordava poche cose di quella tremendo mattina. Il merito andò alle tre pasticche donategli da Yelena. La fecero stendere su una barella e le immobilizzarono di nuovo braccia e gambe. Provò a divincolarsi, quando bloccavano il tuo corpo con dei lacci significava che nulla sarebbe stato semplice, ma la testa le girava a causa della droga ingerita. Perché avrebbero potuta chiamarla in qualunque modo, anche medicina, ma sempre una droga rimaneva. Venne condotta in vari corridoi, ma non si sarebbe ricordata la strada, in quell'edificio era tutto così dannatamente bianco e uguale! Girò il volto a desta e a sinistra per sperare di notare qualcosa, ma non percepì nulla. Ad un certo punto Natasha vide la donna bionda avvicinarsi e calarsi su di lei come un avvoltoio si getta sulla preda in fin di vita. Prese un altra cinghia e le legò il collo, così che l'immobilità fosse assicurata. Le disse qualcosa, forse di stare calma, forse il suo nome, forse che sarebbe andato tutto bene, ma quelle parole si persero nella confusione della droga. La donna fece un cenno a qualcuno che Natasha non poteva vedere, probabilmente i medici. Una luce si accese su di lei e qualcosa di freddo le toccò la pancia, solo in quel momento si accorse di essere senza maglia. Quel freddo piano piano divenne di un caldo bollente, talmente forte che le bruciò la pelle. Il dolore era simile a quello che si procurava con i tagli negli addestramenti, solo mille volte peggiore. Pianse e provò a liberare gambe e braccia. Non ottenne nulla se non farsi male agli arti, al collo e al taglio sul suo ventre. Sentì il suo stesso sangue colarle addosso e macchiarle i pantaloni. Sembrava gelido al confronto di quel taglio profondo. Qualcuno, qualcosa si mosse dentro di lei, toccò cose che non sarebbero mai dovute essere toccate da nessuno se non da medici in una vera operazione, e pensò che se avesse preso più pasticche forse ora non sarebbe stata li. Forse l'overdose non sarebbe stata un'idea tanto malsana, Yelena aveva avuto ragione. Il dolore continuò per del tempo indeterminato per Natasha dato che svenne tra le sue lacrime e il suo stesso sangue.

Alexei fu il primo ad andarla a trovare. Natasha si svegliò nel suo letto e, su una sedia accanto a lei, notò il suo futuro sposo. Sentì un dolore lancinante al basso ventre, ma non azzardò a scostare le coperte e a guardare la ferita. Provò a mettersi seduta, ma si arrese quando il suo corpo le impose di rimanere sdraiata.
"Come ti senti?"
"Vuota. Come se una parte di me fosse stata rubata, come se non fossi l'artefice del mio destino. E odio questa sensazione, odio le persone che mi hanno fatto ciò e credo di odiare anche il progetto Vedova Nera." Non si era mai sentita in un modo del gerene, l'impotenza, l'odio così profondo. E quel vuoto maledetto che era al centro del suo petto quanto nel suo ventre. La consapevolezza di non poter avere una famiglia sua, un piccolo dai capelli rossi come i suoi, la colse all'improvviso. Ingoiò la saliva che le era salita alla bocca, ma ritrovò con il sapore della bile. Alexei le prese la mano e la baciò proprio come aveva fatto al loro primo incontro.
"Mi dispiace. Ancora non la conosco signorina Romanoff, ma non mi piace vederla soffrire così. Non trovo giusto ciò che vi fanno, ma io sono solo un uomo. Ora mi scusi ma devo andare. Le prometto che tornerò presto." Si voltò e fece per uscire. Neanche Natasha seppe perché, ma prima di lasciarlo andare gli gridò.
"Dammi del tu, Alexei!" E non potè vedere il viso dell'uomo illuminarsi con un sorriso.
Anche Yelena la andò a trovare. Si sedette sulla sedia che il giorno prima aveva occupato Alexei. Non si perse in stupidi convenevoli, si limitò ad accendersi una sigaretta e a guardare altrove, nella speranza che fosse Natasha a parlare.
"Tra quanto mi faranno riprendere gli allenamenti." Yelena buttò fuori un alito di fumo.
"Tra una settimana e qualche giorno, credo. La signora preside vuole che le sue ragazze si abituino al dolore fisico, per questo niente anestesia." Continuò a guardare ovunque tranne che la ragazza e Natasha si domandò perché.
"Invece quando riprenderanno con il potenziamento?" Non poteva ammettere di essere preoccupata, faceva male. Yelena dovette accorgersi del suo panico perché sembrò quasi più gentile.
"Quello non lo fermano neanche se li ammazzi. Tra due giorni ricominceranno con il trattamento, non gli importa se hai appena fatto l'iniziazione. Però c'è un lato positivo. Più te ne mettono meno senti dolore." Yelena si spense la sigaretta sul palmo della mano senza fare nessuna smorfia di dolore. Forse tutti quegli allenamenti che il KGB gli costringeva a fare senvivano a qualcosa.
"Ma perché c'era tutta quella gente? È stato imbarazzante urlare davanti a delle persone." Yelena fece una risata di quelle senza allegria.
"Solo perché è sta la tua prima volta. Di solito vengono solo le persone che tengono a te. La prossima volta ci saranno meno persone e via via scemeranno sempre di più. Alle mie non viene più nessuno da anni." Natasha rimase in silenzio mentre Yelena si accendeva un'altra sigaretta.
"Vuoi?" La ragazza scosse la testa.

Black WidowWhere stories live. Discover now