Capitolo 8

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Natasha notò che il tempo passava più velocemente da quando aveva incontrato James. Il suo diciottesimo compleanno arrivò prima di quanto si sarebbe aspettata. Era una sera d'inverno e la ragazza si ritrovò sotto le coperte abbracciata all'uomo a cui aveva detto di amarlo. Stare accanto al suo corpo l'aiutava a non avere freddo. C'erano tante cose di cui avrebbe voluto parlare con James, ma lui non ricordava nulla. Ad esempio gli sarebbe piaciuto sapere come mai aveva perso un braccio, o chi era quel ragazzo sorridente che aveva visto nella foto della Seconda Guerra Mondiale. Sapeva che probabilmente esistevano dei fascicoli che avrebbero potuto rispondere a tutte le sue domande, ma Natasha non era ancora riuscita a trovarlo.
"Nat?" Il suo nome pronunciato da James era sempre musica per le orecchie della ragazza.
"Si?"
"Quando avevi intenzione di dirmi che sarebbe stato il tuo compleanno domani?"
"Chi te l'ha detto?" Il soldato si girò verso di lei e le sorrise. Non sembrava arrabbiato.
"Non importa. Perché non me l'hai detto?" Anche Natasha si girò verso di lui.
"Non mi piace essere al centro dell'attenzione, tutto qui." James le accarezzò il viso e le lasciò un bacio tra i capelli rossi.
"Buon compleanno. Diciott'anni sono importanti." La ragazza sospirò.
"Lo so, cambieranno un sacco di cose. Ma non ne voglio parlare ora. Tu piuttosto, sai quanti anni hai?" Lui scosse la testa.
"Non ne ho idea. Credo che quando mi arruolarono avevo sedic'anni, ma ora non lo so. Sono stato congelato per alcuni periodi. Ma non voglio parlare di me, sei tu la festeggiata oggi." James si sporse verso di lei e le mordicchiò un orecchio.
"Se me l'avessi detto che era il tuo compleanno avrei potuto farti un regalo." Natasha sorrise maliziosa e posò le sue mani sul petto di lui.
"Forse puoi darmi qualcos'altro." Lo baciò mentre cercava di slacciare i lacci della divisa. Il soldato si mise sopra di lei e portò le sue labbra sul collo della ragazza. Entrambi, troppo presi l'uno dall'altra, non si accorsero che in quel momento la porta veniva aperta senza far rumore. Si voltarono non appena una voce familiare chiamò in nome della Vedova. Alexei era sulla soglia della porta, dietro di lui altri uomini che Natasha non aveva ancora mai visto ma che avrebbe presto imparato a riconoscere. Quello che si fece avanti e che parlò per primo fu il barone Strucker. Non disse nulla alla ragazza, si limitò a parlare con gli altri uomini indicando James.
"Attivate il protocollo Soldato D'inverno. Sapete cosa fare." Tutti, tranne Alexei ancora fermo sulla porta, si avvicinarono al letto e fecero alzare il ragazzo. Lui non oppose restitenza. Avrebbe potuto ucciderli tutti se avesse voluto, eppure non si era ancora mai opposto. Natasha guardò la scena con le lacrime agli occhi. Per la prima volta provò paura. Cosa gli avrebbero fatto? Si sarebbero ancora potuti vedere? Lui si sarebbe ricordato di loro?
"Fermi, fermi! Cosa volete fare? Lasciatelo!" Si alzò a sua volta, ma due uomini la afferrarono per le braccia. Provò a liberarsi, ma gli fu difficile a causa delle lacrime che le impedivano di vedere bene la scena. Guardò per la stanza e vide un bagliore azzurro, lo stesso bagliore che avrebbe riconosciuto ovunque. Fissò i suoi occhi in quelli di James e vide che lui le mimava con le labbra qualcosa che sembrava come una rassicurazione.
"Andrà tutto bene." Ma Natasha non ci credeva. Quando tutti, compreso Alexei, uscirono dalla stanza, la Vedova notò che chiusero la porta. Il barone parlò dietro di essa.
"Chiudete a chiave. A lei penseremo domani. Occupiamoci del Soldato D'inverno ora." Natasha si accasciò a terra dall'altro lato della porta. Che ne sarebbe stato di lei ora?

Era avvenuto tutto troppo in fretta e quella notte non era riuscita a dormire. Era rimasta a piangere e a guardare fuori dalla finestra dalla quale ogni notte entrava James. Avrebbe potuto attraversarla e scappare, nessuno glielo avrebbe impedito, ma dopo? Non aveva posto in cui andare e sicuramente, con le risorse di cui disponevano quelli del KGB, l'avrebbero trovata molto presto.
Quando il sole sorse e la campanella che annunciava la colazione suonò, Natasha non si preoccupò di uscire, sapeva che la porta era chiusa. Aspettò alcuni minuti finché non sentì il rumore di chiavi. Si alzò e, senza far caso a chi fosse entrato, pose la domanda che l'aveva tormenta per tutta la notte.
"Dov'è James? Come sta?" Alexei chiuse la porta dietro di se e guardò la Vedova.
"Perché?" Chiese semplicemente ignorando la domanda della ragazza. Natasha capì che non poteva di certo parlare dell'uomo con cui era stata trovata a letto al suo futuro marito. Sospirò.
"Non lo so. Forse perché con lui mi sento bene, forse perché è l'unico posto che potrei mai chiamare casa, forse perché può capire come mi sento. Ci sono molti fattori. Non avrei mai voluto che venissi a sapere così, davvero. Ma perché siete entrati senza bussare? E chi erano gli altri uomini." Se non poteva sapere nulla di James, almeno voleva essere a conoscenza del motivo per cui quegli uomini, chiunque fossero, avevano invaso la sua privacy irrompendo in quel modo nella sua camera.
"Pezzi grossi. Almeno il barone Strucker. Io ero venuto per farti una sorpresa, speravo che saresti stata felice di compiere diciott'anni. Ma a quanto pare mi sbagliavo." Guardò in un'altra direzione e Natasha abbassò lo sguardo.
"Strucker e gli altri erano venuti per parlare del nostro matrimonio. Ovviamente sai che si farà ugualmente, vero?" La ragazza non rispose, rimase a fissarsi i piedi. Ci fu silenzio per un paio di minuti, ma alla fine Alexei cedette.
"Ah, al diavolo! Non so cosa mi sarei dovuto aspettare, chissà perché ma pensavo che tu fossi diversa. Credevo che tra di noi potesse esserci qualcosa, che so, perfino amore. Ma sono stato uno siocco! Nessun matrimonio combinato ha mai funzionato e mai funzionerà." Natasha avrebbe voluto avvicinarsi per provare a spiegarsi, ma rimase dov'era. Non credeva fosse il caso di andare vicino ad Alexei in quel momento.
"Ci ho provato, lo giuro. Ma..."
"Ma poi hai incontrato lui." Alla Vedova venne voglia di piangere, ma si trattenne. Non si sarebbe mai mostrata debole agli occhi di qualcun'altro.
"Scommetto che saresti più felice se fossi morto." Alexei fece per uscire, ma Natasha si posizionò davanti alla porta.
"Non dirlo. Sei stato uno delle poche persone gentili con me e per questo te ne sono grata. Non ti amo, è vero, ma ti voglio bene."
"Lo sai come vorrei che bastasse. Ora devo andare." E senza aggiungere altro Alexei si avvicinò alla porta. Fece spostare Natasha e uscì, lasciandola da sola e ancora piena di domande.

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