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Sono le otto meno dieci di sera quando, dopo aver bussato più volte senza ottenere risposta, provo ad aprire di qualche centimetro la porta dell'ex stanza dei miei genitori, ora stanza di Arturo, e do una sbirciata all'interno. Vedo Arturo, mi dà le spalle, è seduto al ripiano della specchiera di mia madre, che lui usa come scrivania. Ha davanti il suo portatile, sta guardando uno dei suoi cartoni giapponesi. Ha le cuffie nelle orecchie, ecco perché non mi sentiva. Anche lui vede me, riflessa nel grande specchio a muro dalla cornice rococò, e chiude di scatto il laptop. Ma è troppo tardi: il mio cervello ha già registrato che sullo schermo c'era una ragazza in topless, lucida di sudore, coi seni enormi che sobbalzavano secondo leggi della fisica esclusive dei cartoni animati. Arturo si volta, si strappa le cuffie dalle orecchie e, tentando di tirarsi su la lampo dei pantaloni, farfuglia

«Sei tornata prima del solito».

Entro nel suo rifugio, scavalcando i mucchi di vestiti sporchi accumulati sul pavimento. Strano che uno possa fare carriera in un settore nel quale è richiesta precisione assoluta e poi si riduca a vivere nel caos. Sollevo un paio di slip reggendoli tra pollice e indice e li scosto quanto basta per potermi sedere sul letto.

«Arturo, hai accettato un invito a casa di Milo Martello a nome di tutti e due».

Arturo si sfila gli occhiali e comincia a pulire le lenti. «Sei arrabbiata?»

«No. Avresti dovuto consultarti con me prima di rispondere a quella mail, ma in fondo hai fatto bene. È meglio rimanere coerenti con la copertura». Solo che, io lo so, Arturo l'ha fatto soprattutto perché lo solletica la prospettiva di presentarsi in pubblico come il mio ragazzo. Temo che possa iniziare a confondere realtà e finzione.

«A questo riguardo», dico, «sono venuta a comunicarti che il caso al quale sto lavorando sta per concludersi. Tra pochi giorni sarà tutto finito. Sabato sera sarà l'ultima volta che dovremo fingere di stare insieme».

L'ultima volta. Più chiaro di così.

Arturo annuisce. «Sai cosa ci dicono in ufficio, quando ci danno sei ore per fare un lavoro per il quale ci vorrebbe una settimana?» Si rimette gli occhiali. «Che dobbiamo imparare a ottimizzare il tempo a nostra disposizione».

Non ho idea di cosa intenda e non sono sicura di volerlo scoprire.

Più tardi, nella mia stanza, ammiro la mia galleria di trofei fotografici e pregusto il momento in cui l'unico spazio vuoto verrà riempito da un ritratto di coppia di Maria e Martello. Forse sto cantando vittoria troppo presto, dovrei aspettare di aver catturato l'orso prima di decidere dove appendere la sua pelle. Considerando che, a quanto pare, lei riceve solo su appuntamento e che lui cerca discrezione, professionalità e zero complicazioni, presumo che Maria sia una prostituta. Perciò è molto probabile che i loro incontri avvengano in luoghi e modalità tali da rendere logisticamente problematica la raccolta di prove: no cene fuori, no passeggiate al parco mano nella mano, solo sessioni di coito agonistico dentro camere d'albergo con l'aria condizionata a palla e le tapparelle abbassate. Condizioni nelle quali può diventare difficile incassare uno scatto compromettente. Ma qualunque sia l'ostacolo, troverò la maniera di aggirarlo. Come ha detto Martello, sono agile.

Chissà se si è davvero innamorato. Capita che i clienti si innamorino delle prostitute, ma escludo che sia questo il caso. Sotto quel sorriso affascinante e quel fisico scolpito c'è un animale a sangue freddo, un individuo che non ha esitato a sposare una donna molto più vecchia col solo scopo di usarla come bancomat. Quelli come lui non si innamorano.

Non che per me cambi qualcosa.

Venerdì mattina, alla Strawman, noto che l'atteggiamento nei miei confronti è cambiato in modo sensibile. «Buongiorno, Valeria», mi dice Samantha, appena mi siedo al tavolone rotondo, «volevo ricordarti che, in quanto responsabile del tuo stage, dovrò presentare la tua valutazione finale. Magari ti interessa sapere cos'ho scritto finora». Poi ringhia: «"Fin troppo intraprendente e poco rispettosa delle gerarchie"». Sembra che il mio exploit in sala riunioni abbia lasciato il segno.

Poco dopo Erjona mi intercetta in corridoio. «Ciao Valeria, ti disturbo? Senti, io... volevo dirti che ieri mi hai veramente spiazzata. Vorrei che in futuro ci... interfacciassimo più spesso. Ritengo che potrebbe essere proficua per entrambe una... collaborazione più stretta». Quando Erjona mi molla, So-yon mi appare al fianco e mi mormora: «Intendeva dire che da oggi ti terrà d'occhio. E anch'io».

Non ho ancora abbandonato l'ipotesi che Martello vada a letto con una o più di queste tre; non c'è motivo per pensare che Maria abbia l'esclusiva. Peraltro è ancora aperto il mistero delle mutande da donna nel cassetto della scrivania. Se Martello le colleziona come medaglie al valore, da qualche parte dovrà pur prenderle, e mi pare plausibile che la fonte sia in quest'ufficio. Ormai non è più così importante ma, come ho già detto, non mi piacciono i misteri irrisolti.

Se riesco a esaminare da vicino una di quelle mutandine posso dedurre dalla taglia a chi sono state sfilate. Non dovrebbe esserci margine di confusione: a occhio So-yon è una trentotto, Erjona una quarantadue e Samantha come minimo una quarantasei. L'equivalente posteriore delle impronte digitali.

Sfrutto un momento in cui Martello è in bagno e mi introduco nella sua sala del trono, ma mi fermo sulla soglia. C'è un imprevisto. È in piedi dietro la scrivania.

«Valeria» mi dice.

«Walter» gli dico.

Ha addosso una delle sue solite tute da ginnastica. A casa deve averne un armadio pieno.

«Posso aiutarti?» mi chiede.

«No», gli rispondo, «non credo».

Mi torna in mente quando, la settimana scorsa, Walter mi ha sorpresa qui dentro. Stiamo ripetendo la stessa scena a ruoli invertiti: stavolta è lui ad avere tutta l'aria di uno che è stato colto sul fatto.

«Ci sei domani sera?» gli chiedo.

«Devo», mi risponde, «non sono molto un tipo da serate mondane, ma Milo insiste che ci siamo tutti».

Mi torna in mente anche ieri, quando ho beccato Arturo a masturbarsi su una maggiorata manga. Walter è più bravo di Arturo a simulare disinvoltura, ma neanche lui è abbastanza bravo. Mi sono accorta della fretta con la quale, nell'istante in cui sono entrata, ha chiuso il cassetto della scrivania.

«Allora», gli dico, «a domani».

«A domani» mi dice.

Esce, lasciandomi sola. Ora potrei controllare nel cassetto, ma so già che quello che sto cercando non è lì. L'ho visto, mentre Walter mi passava a fianco per uscire, lo sbuffo di pizzo rosso che gli sbucava da una tasca della tuta.

Ok, questa non me l'aspettavo.

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