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Mi chiamo Valeria Tutto, sono un'investigatrice privata, mi occupo di infedeltà coniugale. In sette anni di carriera avrò visto almeno un centinaio di uomini tradire le loro mogli con un'altra, un copione decisamente ripetitivo con una scarsa gamma di variazioni sul tema. Oggi è la prima volta che vedo un uomo tradire sua moglie perché gliel'ha ordinato lei, ma soprattutto è la prima volta che, alla fine di un lungo lavoro di indagini e di appostamenti, scopro che l'altra sono io.

Dicono che c'è una prima volta per tutto. Questa è la prima volta per Tutto.

La camera da letto di Martello è in bianco e nero. È bianco il pavimento di gres porcellanato, il sostegno dello specchio a figura intera, il vetro molato delle abat-jour. È nero l'armadio ad ante scorrevoli, il parallelepipedo della cassettiera, sono neri i comodini cubici. È nero il copriletto, sono bianchi i cuscini.

Sulla cassettiera c'è un portafoto di metallo laminato. Al suo interno c'è una fotografia di Martello e sua moglie, affiancati, sorridenti e distanziati sullo sfondo di un paesaggio agreste. Anche la foto è in bianco e nero.

L'unica macchia di colore è la luce rossa della microcamera in un angolo del soffitto: registrazione in corso. Ho una certa familiarità con le coppie illecite filmate nell'atto di commettere adulterio, ma non mi ero mai trovata da questo lato dell'obiettivo. Un'altra prima volta.

Martello si chiude la porta della stanza alle spalle. Mi guarda. Le mie scarpe e i miei jeans sono gettati sul pavimento bianco. I miei capelli e la mia maglietta sono ancora fradici. La stoffa mi si incolla al corpo.

«Voglio fare con lei quello che lei non ha voluto fare con me», dice Martello, «essere totalmente sincero».

Parla pure, bello. Tanto siamo solo io e te. Io, te e la videocamera di sorveglianza, che però non ha orecchie.

Lui scioglie il nodo alla cintura della vestaglia. «Da un lato», dice, «odio questa situazione».

Il terrazzo, oltre i doppi vetri di una porta finestra, è sotto attacco da parte di pioggia e vento. Martello si sfila la vestaglia, manifestando nella sua pienezza un diverso tipo di forza della natura.

«Essere infedele a mia moglie mi fa sentire sporco» dice, avvicinandosi a me. «Sapere che lei lo sa, e dovrà vivere per il resto dei suoi giorni con quest'immagine in testa, non facilita le cose».

Sfiora l'anello di fidanzamento che porta appeso al collo. A seguire, mi infila le dita di entrambe le mani nel colletto della T-shirt.

«E come se non bastasse», aggiunge, «devo farlo proprio con la persona che mi ha mentito per settimane».

Ho un sobbalzo nel momento in cui, con un singolo gesto e senza apparente sforzo, Martello mi squarcia la maglietta. Il tessuto si lacera di netto dal collo all'inguine, i brandelli cadono a terra. Le mani di Martello mi aggirano il torace e raggiungono la schiena, cercando il gancio del reggiseno.

«Razionalmente», conclude lui, «vorrei che la facessimo finita più in fretta possibile».

Un attimo dopo, ho la sua lingua in bocca.

E lo sento. Lo sento in tutta la sua vibrante potenza.

È il rintocco di una campana. Una grossa e pesante campana di bronzo, fissata sulla cima di un imponente campanile di mattoni.

«D'altro canto», mormora Martello, appena le nostre labbra si dividono, «era da un pezzo che non vedevo l'ora».

Quindi è vero. Quando ti capita quello giusto senti le campane.

Milo Martello è quello giusto. Quello giusto per me. E stiamo per farlo per la prima volta.

La prima e l'ultima.

Il mio reggiseno vola via e, per un'opportuna casualità, atterra sopra il portafoto, nascondendo come un sipario di lycra la fotografia di Martello con sua moglie. Se questa dev'essere la prima e l'ultima volta, se abbiamo soltanto stanotte, scordiamoci del resto. Dimentichiamo gli obblighi, i tradimenti, le responsabilità, le conseguenze. Ci sarà tempo domani per fare i conti con i rimorsi. Il qui e ora sono le sue mani che mi abbassano le mutandine, lasciando che mi scivolino alle caviglie.

Dopodiché lui fa l'unica cosa che stasera non sono disposta ad accettare da parte sua: si ferma.

«Io... soffro ancora di quel disturbo» sussurra. «Quando arrivo al... culmine tendo a diventare offensivo». Distoglie lo sguardo. «Più sono coinvolto, più è difficile da controllare».

La pressione di un dito indice su una guancia è sufficiente per costringerlo a guardarmi di nuovo.

«Per me va bene» ribatto, forte e chiaro.

Lui non riesce a frenare un accenno di sorriso. Un sorriso strano, che sa di sorpresa e sollievo. Mi torna in mente quel pomeriggio in cui Martello mi ha raccontato del suo problemino e di come sua moglie fatichi ad accettarlo. Ho un'intuizione da detective: anche per lui questa è una prima volta. La prima volta che in questa camera da letto è libero di non trattenersi.

Poco dopo la campana sta suonando a distesa, inondando coi suoi rintocchi i campi e le valli, e ad ogni rintocco la cassettiera sulla quale è poggiato il mio culo va ad urtare la parete retrostante.

Poi, la testa del batacchio inizia a colpire il bordo di bronzo con forza tale da far tremare la terra e vibrare le finestre dei palazzi, mentre lo specchio della camera da letto riflette il moto sussultorio del mio seno.

Poi le finestre degli edifici che circondano il campanile vanno in frantumi scaricando in strada una cascata di frammenti di vetro e, al contempo, io affondo il viso in uno dei cuscini bianchi, nel vano tentativo di soffocare le grida.

Poi il campanile stesso mostra i primi segni di cedimento strutturale, crepe che corrono lungo i muri, travi portanti che perdono segatura, e intanto le mie mani si chiudono a stringere il raso nero del copriletto fino a far impallidire le nocche.

Siamo faccia a faccia, le gocce del suo sudore che ricadono su di me, l'anello appeso al suo collo abbandonato tra i miei seni, quando lui, con un filo di voce, dice:

«Sta per succedere».

Io, ansante, gli ripeto:

«Va bene».

E lo vedo. Glielo leggo negli occhi. È un lampo, che dura molto meno del tempo di un orgasmo, ma c'è. Adesso lo so, Milo Martello. Adesso ho la consapevolezza che per un secondo, un singolo lunghissimo inestimabile secondo, anche tu sei stato davvero innamorato di me.

Poi, nel medesimo istante in cui la campana suona il rintocco finale e la punta del campanile esplode in una nuvola diffusa di calce e calcinacci, lui mi sibila all'orecchio

«Stupida troia».

Vale TuttoWhere stories live. Discover now