Capitolo 11.

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L'aria fresca dell'alba muoveva i capelli di Thomas, accarezzandogli il volto ancora assonnato. Non aveva dormito per nulla, troppo concentrato a pensare.

Ripensò ai due mesi trascorsi chiedendosi come, in così poco tempo, la sua vita potesse essere cambiata radicalmente. Prima di quei due mesi, i suoi primi pensieri erano i soldi, il lavoro e l'organizzazione dei suoi doveri per far si che l'azienda non fallisse, ma che spiccasse il volo ancora di più. I suoi pensieri erano i pensieri di un imprenditore giovane, ricco e pieno di eventi a cui partecipare.

Pensava a passare il suo tempo con Minho, a giocare a golf raccontandosi i nuovi sviluppi lavorativi e le nuove idee, concentrandosi solamente sulla carriera.

Ma, dopo Newt, tutto era cambiato. I suoi primi pensieri volavano direttamente sul suo volto, sul momento della giornata nel quale lo avrebbe visto. Viveva in funzione del sesso che facevano, pensandoci costantemente, totalmente ossessionato dalla sua presenza. Voleva averlo sempre vicino, voleva poterlo toccare costantemente, per rendersi effettivamente conto che era suo.

I suoi pensieri erano focalizzati su come organizzare il lavoro ma in funzione di quando avrebbe visto Newt. Più volte, in quei due mesi, era capitato che per farlo con lui era rimasto a lavoro fino a tarda notte, certe volte risvegliandosi ancora a lavoro, senza mai tornare a casa.

Quella mattina in barca, si era reso conto di quanto tutto fosse sbagliato. Si svegliò molto presto, come suo solito, e solo dopo dieci minuti, si rese conto di star stringendo Newt al proprio petto, con entrambe le mani intrecciate l'una con l'altra. Il biondo gli dava le spalle e lui lo avvolgeva completamente.

Come era potuto succedere? Perché era successo? Quel loro contatto così intimo, lo rese nervoso, irascibile e confuso, perciò decise di alzarsi cercando di non svegliarlo, per poi vestirsi intento a tornare verso casa.

La rabbia che aveva in corpo era troppa, tanto che iniziò a cercare un colpevole per l'accaduto.

Prima la colpa cadde su Minho, che lo aveva spinto a fare quella cosa che non voleva fare. Se la prese con l'amico, sputando su di lui mentalmente tutta la frustrazione rendendosi conto solo dopo, che lui non c'entrava nulla. Minho aveva sempre voluto il suo bene e sperava che potesse essere felice con Newt.

Newt.

La colpa era la sua, il suo essere così attaccato alle persone, il suo essere tremendamente dolce, buono e romantico. Era sicuro che la colpa fosse la sua ed era sicuro che il sesso non gli bastava e voleva altro e lo aveva costretto, in qualche modo, a dormire insieme.

Quando poi era rimasto solo, lasciando che Newt prendesse i mezzi, salì in macchina furioso con il mondo. Durante il tragitto però, si rese conto che in realtà la colpa non era nemmeno di Newt, ma era la sua e di nessun altro. Si era ripromesso che non avrebbe più avuto niente con nessuno, solo rapporti occasionali con persone sconosciute che non avrebbero portato problemi e invece era cascato nella sua stessa trappola.

Newt non c'entrava niente, la colpa era la sua che si stava affezionando, che stava iniziano a provare qualcosa. Decise perciò quel giorno che non gli avrebbe più scritto, che sarebbe sparito nel nulla e che avrebbero parlato solo per cose di lavoro e che tutto il resto sarebbe dovuto sparire senza lasciare tracce. La loro storia doveva terminare lì.

Riuscì nel suo intento, approfittando della settimana passata fuori a organizzare l'evento, e non gli scrisse nemmeno una volta, non calcolandolo.

Poi, tornato dal viaggio, lo rivide. Lo rivide in quella camera che ricordava benissimo.

Quando entrò dalla porta insieme ai suoi colleghi, tutti gli altri scomparvero e il centro del mondo in quel momento divenne lui. Nonostante sentisse quella strana sensazione, cercò di essere il più professionale possibile e di rispettare il patto fatto con se stesso.

Couture. || Newtmas Where stories live. Discover now