Disperata Malinconia

898 43 20
                                    


Nina si girava e rigirava nel letto, la finestra della sua camera era aperta e nella stanza entrava una leggerissima brezza rinfrescando il suo corpo dal caldo umido di un tranquillo venerdì di agosto.
La sveglia posta sul suo comodino rintoccava appena le undici della sera.
Non era tardi, ma la giornata che aveva trascorso le aveva lasciato addosso un'indescrivibile stanchezza, così aveva deciso di coricarsi presto.
Lei però non riusciva a chiudere occhio.
Erano passate due lunghe settimane da quella serata trascorsa al Luna Park e nella sua testa erano ancora impresse le parole che Madame Vienrose le aveva detto. Quelle parole avevano acceso di nuovo nel suo cuore la tenue speranza che Charles pensasse ancora a lei, la realtà dei fatti però era che non l'aveva più cercata e, al contrario di ciò che le carte avevano predetto, probabilmente non l'avrebbe mai più fatto. L'ennesimo velo di tristezza le si posò sull'anima ed il ricordo del suo profumo le aleggiò intorno come se lui fosse lì, accanto a lei, nel suo letto.
Sentiva la sua mancanza come un essere umano affamato sente la mancanza del cibo e non sapeva come guarire da quella dolorosa sensazione.
Ad un tratto sentì provenire dal silenzio notturno della casa un guaito strano che disturbò il suo inquieto riposo, girò di scatto il capo verso dove credeva venisse il suono e attese ascoltando con estrema attenzione, poi arrivò alle sue orecchie un chiaro e forte nuovo lamento spaventandola considerevolmente, «Picasso!», esclamò con preoccupazione scattando seduta sul materasso. Il cane guaì ancora e poi ancora, Nina capì subito che c'era qualcosa che non andava ed il suo cuore sembrò perdere un battito, «Picasso, che succede?», gridò mentre scendeva dal letto e alzandosi in piedi si avviò più velocemente che poteva incontro allo straziante guaito che sentiva.
Appoggiò un palmo della mano al muro e con l'altra tentava di trovare il pulsante della luce per poterla accendere, a lei risolveva ben poco ovviamente, ma almeno l'oscurità sarebbe apparsa meno tenebrosa ai suoi occhi ciechi.
Un passo alla volta, appoggiandosi alla parete per aiutarsi, cercò di raggiungerlo e dopo pochi metri sentì i suoi piedi colpire accidentalmente il manto peloso del suo amico e si arrestò. «Picasso, tesoro mio, che succede?», gli sussurrò con spaventato amore mentre si piegava su di lui per accarezzarlo.

Il cane non appena sentì la voce della sua padrona emise un altro lamento, più forte di prima, e Nina capì che stava soffrendo

Hoppla! Dieses Bild entspricht nicht unseren inhaltlichen Richtlinien. Um mit dem Veröffentlichen fortfahren zu können, entferne es bitte oder lade ein anderes Bild hoch.

Il cane non appena sentì la voce della sua padrona emise un altro lamento, più forte di prima, e Nina capì che stava soffrendo. Fece scorrere le mani lungo il suo pelo morbido cercando di capire se fosse ferito da qualche parte ma non percepì alcun taglio sulla sua pelle, allo stesso tempo però si rese conto che Picasso era totalmente abbandonato a terra senza forze, senza riuscire neppure ad alzare la testa. Stava male e lei non riusciva a vedere perché.
«Oddio, Picasso, che succede?! Non capisco, che succede?!», esclamò con agitazione, presa dal panico con gli occhi che le si riempirono di lacrime e il cuore che le rimbombava furiosamente nel petto. Non aveva la più pallida idea di cosa fare, era una situazione del tutto nuova per lei, il suo amico a quattro zampe era stato sempre bene fino a quel momento, era forte, era la sua roccia ed ora saperlo gettato a terra inerme senza essere in grado di sapere cosa fare la fece sentire inutile.
Per la prima volta nella sua vita percepì la sua cecità come un vero e grande ostacolo facendola sentire totalmente persa, non vedeva nulla e non era in grado di capire quale malessere stesse colpendo Picasso.
Prese dei grandi e profondi respiri e cercò di non farsi sopraffare dal panico, si asciugò le lacrime e respirò lentamente, poi, avvicinandosi al muso del suo migliore amico gli sussurrò amorevolmente, «Torno subito, tesoro mio, vado a chiedere aiuto...», si alzò in piedi e percorrendo a ritroso il piccolo corridoio raggiunse di nuovo la sua camera, afferrò il cellulare sul suo comodino e chiamò Annette.
La ragazza non rispose, ma Nina tentò di nuovo, più volte si ostinò a richiamarla ma ogni tentativo fu nullo. Cercò di non perdere la testa e provò a contattare André, «Andiamo, rispondi, non mi dire che già dormi!», esclamò con disperazione mentre contava gli squilli senza risposta che si ripetevano nel suo orecchio. «Maledizione, André! Dici di non dormire mai!», urlò quando sentì scattare la segreteria telefonica. «E ora che faccio? Cosa faccio?», strillò con angoscia mentre un nuovo lamento sofferente riecheggiava tra le mura di casa.
Pensò di chiamare sua madre ma l'idea morì sul nascere considerando che Dora era lontana chilometri da lei, immersa nella vita mondana di New York con Jack, il bel dottore americano. Le avrebbe sicuramente risposto, ma non sarebbe servito assolutamente a niente se non a farla stare in ansia, perciò scartò subito quell'idea. Il cuore le era tornato a battere veloce e le mani le iniziarono a sudare, Picasso continuava a lamentarsi dal dolore e l'ansia stava prendendo il sopravvento. Strinse forte il cellulare tra le mani e chiuse gli occhi provando a calmare il suo respiro e a non lasciarsi sopraffare dall'ansia, poteva sentire da sotto le palpebre le lacrime invaderle gli occhi per poi scendere velocemente sulle guance.
Un unico pensiero riusciva a calmarla.
Un'unica persona.
Così, senza stare a considerare se fosse la cosa giusta o sbagliata, portò il cellulare al suo orecchio e attese di sentire quella voce.

Io Ti Vedo/ Charles LeclercWo Geschichten leben. Entdecke jetzt