Un campo di papaveri

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Fu un attimo, un battito di ciglia, il tempo di un respiro e ogni cosa gli venne strappata via da davanti agli occhi. Si ritrovò in un vortice inaspettato, tutto ciò che lo circondava all'esterno gli apparve confuso, quello che riusciva a vedere erano solo macchie colorate che gli vorticavano intorno. Qualcosa era sfuggito al suo controllo e la velocità, che fino a quel momento era stata sua complice, proprio quella che lui tanto amava e di cui non poteva fare a meno, di colpo era diventata la sua principale nemica che inarrestabile lo aveva condotto verso il buio.
Ciò che accadde dopo fu l'inevitabile.
Un disperato tentativo di frenata, lo stridio della gomma lasciata sull'asfalto, il cuore che palpitava incontrollato e poi l'impatto. Un tonfo forte e assordante gli riempì le orecchie, l'acre odore di bruciato gli invase le narici e uno spaventoso silenzio lo avvolse. L'attimo dopo una grande fiamma si innalzò verso il cielo e il calore si propagò ovunque. Doveva alzarsi, uscire il prima possibile, ma restò immobile mentre una strana pace lo raggiungeva, si impossessava di lui e lo cullava fino a fargli sentire gli occhi pesanti e il corpo improvvisamente stanco. Tentò di resistere, di lottare per restare sveglio, ma un'inaspettata tranquillità lo avvolse e lui inerme si lasciò cullare da essa mentre lentamente i suoi occhi si chiudevano.


***

 Diverse ore primaCharles uscì dalle porte automatiche dell'hospitality e volse lo sguardo verso il cielo d'Olanda, quella mattina era estremamente limpido e le temperature erano piacevoli

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Diverse ore prima

Charles uscì dalle porte automatiche dell'hospitality e volse lo sguardo verso il cielo d'Olanda, quella mattina era estremamente limpido e le temperature erano piacevoli. Nel paddock allestito intorno al circuito di Zandvoort si respirava sempre un'atmosfera allegra e coinvolgente e, nonostante fosse il Gran Premio di casa del suo celeberrimo nemico in pista, questo a Charles piaceva. Chiuse gli occhi ispirando profondamente l'aria pulita che aveva intorno e sorrise. Le qualifiche erano andate bene, aveva per pochi millesimi strappato la pole a Max e aveva goduto non poco quando l'olandese, dopo essersi sfilato il casco, aveva mostrato al mondo una vistosa smorfia di disappunto sul suo viso. Era una delle cose che esaltavo di più Charles, vedere sulla faccia del suo diretto avversario la delusione dell'amara sconfitta. Ma nelle corse non era di certo la pole che decretava un vincitore, per trionfare quel weekend doveva finire ciò che aveva iniziato, doveva cioè vincere la gara. Si aggiustò il cappellino sulla testa, indossò i suoi Ray-Ban scuri e infilandosi le mani in tasca si addentrò nel paddock salutando passo dopo passo chi incontrava sulla sua strada. Nel mondo del Motorsport tutti conoscevano tutti anche se effettivamente non c'era un'effettiva confidenza con chiunque, anno dopo anno a far parte di quell'ambiente erano sempre più o meno le stesse facce. E con il tempo si imparava a riconoscerle, tutto qui.
Un bambino gli si piantò davanti urlando il suo nome, aveva addosso la maglia rossa del suo team e con le mani la tirava verso lui chiedendogli se potesse avere un suo autografo direttamente sul tessuto. Charles notò con tenerezza che non era proprio della sua taglia, gli calzava troppo grande per quel piccolo corpicino. Alzò gli occhi su di lui e gli sorrise, aveva il capo coperto dal cappellino con il suo numero e ad abbellire il suo viso magro dai grandi occhi nocciola era un sorriso da guancia a guancia.
«Come ti chiami?», gli chiese Charles afferrando il pennarello.
«Lucien.», rispose il bimbo che non poteva avere più di sei anni.
«Lucien...», ripetè Charles mentre lo scriveva. Poi una volta firmata la maglia gli restituì il pennarello e gli sorrise ancora una volta. Il piccolo Lucien colmo di emozione allargò le braccia magroline e si schiantò su di lui avvolgendogli la vita, stringendolo con tutta la forza che aveva. «Ti prego...», mormorò nell'abbraccio, «... giura che vincerai! Devi vincere!»
Sul viso del pilota spuntò un nuovo sorriso, si staccò appena dall'abbraccio, si piegò sulle ginocchia per essere all'altezza del bambino, appoggiò le mani sulle sue spalle e guardò bene il suo viso, «Non posso giurarlo, ma ti prometto che farò del mio meglio per vincere.», appoggiò l'indice sulla punta del suo piccolo naso e gli diede un amorevole buffetto prima di salutarlo un'ultima volta.
Anche quella era la sua forza. L'amore e la fiducia dei suoi fans.
«Ehi, campione!», si sentì ad un tratto urlare dopo qualche metro, si voltò per vedere chi lo stesse chiamando e scorse Joelle, un uomo che aveva superato la quarantina e che aveva conosciuto in passato quando correva nelle categorie minori di Formula 3. L'uomo era stato un giovanissimo meccanico alle prime armi di un team avversario, ma fra di loro, nonostante la rivalità, era nata una certa confidenza e a Charles faceva sempre piacere incontrarlo quando si presentava l'occasione.
«Joelle!!», esclamò con un gran sorriso sulle labbra.
«Allora hai intenzione di essere campione del mondo anche quest'anno?», gli chiese l'uomo stringendogli la mano in un tipico saluto maschile.
«Be', quello è l'obbiettivo! Sempre!», rispose Charles con la sicurezza di chi sa il fatto suo nella vita. Realizzarlo tuttavia richiedeva un grande impegno e non sempre bastava, le stagioni di Formula 1 erano sempre più lunghe e nella lotta al Campionato c'erano diversi team e piloti che avevano la possibilità di vincere il titolo, perciò per Charles non era così scontato. Ma in cuor suo lui non smetteva mai di sognare, di avere la speranza di vincere ogni anno anche se era già stato Campione del Mondo tre volte, lui non smetteva di avere fame di vittoria. Quella fame che hanno solo i campioni.
«Sei solo? Tua moglie? E i bambini?», domandò poi guardandosi intorno in cerca della famiglia di Joelle.
«C'è solo Rachele, i bimbi sono rimasti a casa con i nonni. Ho avuto dei colloqui con un paio di team e non volevo che si annoiassero, sai come funzionano queste cose...»
«Aspetta, ho capito bene? Hai detto che hai fatto dei colloqui?», chiese sorpreso e con un improvviso entusiasmo, «Hai deciso di tornare a lavorare nel Motorsport?»
L'uomo sorrise stringendosi nelle spalle, «Vediamo... sto valutando alcune opzioni...»
Charles sorrise di nuovo, «Dai, Joelle!! Ne sarei felice!! Sarebbe bello vederti in giro più spesso!!»
«Si, anch'io! Ma vediamo, non è niente di sicuro ancora... sto valutando...», chiuse il discorso per non dare false speranze a quell'eventualità, poi lanciando uno sguardo ai dintorni disse: «Ho visto Chloé al bar prima, abbiamo scambiato due parole, l'ho trovata in forma nonostante ciò che è successo. Mi ha detto di sua madre. Mi dispiace, deve esser stata dura...»
«Si, be'... lo sai, non è mai facile quando perdi qualcuno...», mormorò volgendo gli occhi lontano dall'uomo. Joelle aveva conosciuto suo padre e sapeva quando per lui fosse stato difficile dopo la sua morte, «Però bisogna andare avanti.», affermò tornando a guardarlo, «Bisogna farlo anche per chi non c'è più... sai come la penso.»
Non voleva dilungarsi molto su quell'argomento e soprattutto sperava che l'uomo non chiedesse altro riguardo a Chloé e al lutto che aveva subito. Negli ultimi tempi le cose tra loro erano precipitate, giorno dopo giorno sempre più. I litigi ormai caratterizzavano le loro giornate, gli unici momenti di tregua erano quando era lontano da lei. E purtroppo erano davvero pochi. Per qualche assurdo motivo, dopo gli eventi di quell'ultimo gala a Monaco, Chloé era diventata più ossessionata del solito da lui. Aveva organizzato il lavoro alla galleria in base ai suoi Gran Premi e ai suoi orari di allenamento. Lamentava continuamente di fare poca vita di coppia, rivendicando la sua presenza di continuo. Charles era esausto dal suo comportamento e i loro pranzi e le loro cene finivano sempre in discussioni infinite ed estenuanti.
«Perché non andiamo a cena tutti insieme stasera dopo la gara? A Rachele farebbe piacere passare del tempo insieme, lo sai che ti adora.»
Joelle lo strappò bruscamente dai suoi pensieri, quella proposta era ancora più inquietante del dover parlare con lui del dolore che aveva investito la famiglia Morel. Non era il pensiero di andare a cena con Joelle e sua moglie che lo spaventava, anzi, gli avrebbe fatto piacere rivedere Rachele, era l'idea di passare del tempo con degli amici di vecchia data e doverlo condividere con Chloé che lo metteva a disagio. Avrebbe dovuto fingere davanti ai loro occhi che tutto andava bene e che loro erano la coppia felice di cui tutti parlavano. Il solo pensiero fu così raccapricciate da sentirlo sulla sua pelle.
«Vediamo... perché no...?!», rispose distrattamente puntando gli occhi a terra, giocherellando con uno dei bracciali che aveva al polso, tentando di fuggire al suo sguardo speranzoso. Joelle, tuttavia, lo conosceva abbastanza da leggere la menzogna nei suoi occhi.
«Mi dispiace, non volevo essere invadente. Avrai degli impegni sicuramente...», affermò infatti poco dopo con evidente imbarazzo, avendo notato la scostante reazione di lui.
«No, non sei stato invadente. Assolutamente!», chiarì subito Charles mostrandogli l'attenzione che meritava, «È che non so se devo riprendere subito il volo per l'Italia... Sai come funziona qui...», mentì nuovamente per camuffare la brutta figura che aveva fatto.
Le bugie portavano ad altre bugie, sempre.
«Ma certo, si, so come funziona, stai tranquillo... non devi sentirti in dovere...»
«No, davvero, Joelle, mi piacerebbe rivedere Rachele. È che non conosco ancora i dettagli del programma, ma potremmo sentirci dopo la gara. Resti per la corsa, giusto?»
Era sincero nel dirgli che aveva voglia di rivedere Rachele, al contrario non lo era nell'affermare che non conosceva i suoi programmi post gara. Ovviamente li conosceva, sapeva che sarebbe comodamente rientrato a Monaco nel primo pomeriggio del lunedì. Tuttavia, non aveva nessuna intenzione di fare una cena di coppia e parlare dei progetti di vita con la sua apparente dolce metà. No, quel teatrino non avrebbe potuto reggerlo.
«Si, resterò per la gara. Tranquillo, ne riparliamo poi...», asserì Joelle con serenità.
«Bene!», si sentì sollevato quando l'uomo non insisté oltre.
Charles gli diede una pacca amichevole sulle spalle e si congedò con l'ennesima scusa che lo avrebbe definitivamente tolto da altre proposte imbarazzanti. Continuò il suo cammino verso i box cercando di scrollarsi di dosso ciò che lo turbava, ma ultimamente gli era sempre più difficile. Quella situazione pesava sulla sua coscienza e soprattutto sul suo comportamento, fingere qualcosa in cui non credeva gli faceva venire il voltastomaco e il residuo di un vecchio sentimento che ancora nutriva per Chloé stava scemando lentamente lasciando il posto solo ad una fastidiosa irritazione ogni qualvolta pensava a lei o gli occhi incontravano il suo viso.

Io Ti Vedo/ Charles LeclercWhere stories live. Discover now