Ho spento il cielo.

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Manuel quando era andato in ospedale dopo l'incidente aveva tutte le intenzioni di dire a Simone tutto quello avrebbe dovuto dirgli al garage prima che la paura prendesse il sopravvento.

E lo fece anche, glielo disse a Simone di essere innamorato di lui e, forse troppo convinto dei sentimenti dell'altro, non aveva tenuto in conto una possibile risposta negativa da parte sua, quindi quando il minore gli disse di andarsene Manuel fu colto talmente alla sprovvista che una volta uscito dall'ospedale non riuscì ad arrivare più lontano della panchina dal lato opposto della strada.

Continuava a fissare l'asfalto sotto i suoi piedi con il cuore in gola e le lacrime che minacciavano di uscire mentre l'orario di visita serale terminava e il sole calava intorno a lui, il tempo che passava sembrava non toccarlo minimamente, riusciva solamente a pensare agli occhi apatici di Simone, anche e soprattutto dopo che gli aveva detto di amarlo.

Pensava a quanto ci aveva messo a dire una cosa simile ma principalmente ad ammetterlo a se stesso, nonostante tutto quello sforzo non era servito a niente.

Iniziò a sentire la stanchezza quando sullo schermo del cellulare vide segnata la mezzanotte, nonostante quello si limitò ad alzare la testa verso la facciata dell'ospedale chiedendosi se una di quelle mille finestre fosse la sua, se stesse dormendo o se anche lui non riusciva a non pensare a quella dichiarazione. Un po' egoista fa parte sua, forse, pretendere che il primo pensiero di Simone su un letto di ospedale fosse lui, ma era l'unica speranza che sembrava rimanergli in quel momento.

Mentre lasciava vagare lo sguardo sulla facciata riuscì ad intravedere la figura di Simone aggrappato ad un'infermiera che cercava di alzarsi dal letto, trattenne il fiato per la paura che qualcosa andasse storto, sperò che quella donna riuscisse a sorreggerlo, sperò che fosse consapevole del fatto che in quel momento stesse maneggiando la persona più importante della sua vita.

Lo vide mettersi in equilibrio in quella finestra illuminata tra tutte le altre spente e realizzò che quella poteva essere benissimo la metafora della presenza di Simone nella sua vita, era diventato luce in mezzo al buio e quella luce stava per spegnersi a causa sua.

Prese il telefono aprendo la loro chat con l'ultimo messaggio risalente al giorno del suo compleanno, digitò rapidamente tenendo il labbro inferiore stretto tra i denti e sperando che il cuore non decidesse di scoppiare proprio in quel momento.

"Ho dato tutto solo per restare
Nel punto esatto in cui ti trovi tu
Ho spento il cielo per ritrovare
L'unica luce dove adesso sei tu."

Quando alzò la testa la figura di Simone non era più visibile, fissò il messaggio e poi di nuovo la finestra, continuando così fin quando non lo vide online. La gamba destra si muoveva nervosamente ed era l'unico rumore udibile in quel momento lì, fatta eccezione per qualche sirena di ambulanza che arrivava ogni tanto.

La voce online sparì velocemente e, in modo un po' più lento e goffo, comparve Simone davanti alla finestra chiusa, affiancato dalla stessa infermiera. Ci mise un po' ad individuarlo nel buio e rimase a fissarlo inerme, mentre la donna gli diceva qualcosa che Simone non sembrava ascoltare realmente.

Si lasciò guardare da lui perché non gli era rimasto altro, rimase fermo su quella panchina a guardarlo e a farsi guardare senza compiere un minimo gesto o dire una parola. Fu Simone ad interrompere quel contatto sparendo dalla sua visuale.

"Vorrei dirti che ho la testa che mi cade
Ma stanotte mi ricordo bene chi sei"

Digitò, non sapeva se utilizzare canzoni di Rkomi fosse una cosa intelligente o infantile, ma la seconda opzione sembrava essere la più plausibile visto che Simone visualizzò senza rispondere. Fu con quella consapevolezza che si addormentò su quella panchina dando la meglio alla stanchezza.

Se un giorno a Roma | SimuelWhere stories live. Discover now