Pullman.

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Tw: non ha senso sembra scritta da un bambino di tre anni è colpa di Giorgia si deve cagare sotto.


L'estate tra il terzo ed il quarto era stata una delle estati più serene che Manuel avesse mai vissuto, non si era preoccupato di nulla se non di comportarsi da adolescente quale era. Passava le giornate con Simone e con gli altri ragazzi, si ritrovava spesso a studiare a villa Balestra e quando non erano concentrati sui libri li potevi trovare praticamente sempre il piscina, ogni giorno, a tal punto da far avere a Manuel i suoi asciugamani in casa ed un pezzetto di armadio di Simone a disposizione per i vestiti.

L'estate, quindi, era trascorsa tranquillamente, ma con il ritorno a scuola erano ricominciate anche tutte le altre attività, compresi gli allenamenti di rugby che portavano Simone a passare meno tempo con lui. Manuel era contento del fatto che il minore avesse ripreso appieno e con entusiasmo tutta la sua routine, ciò non toglieva, però, che fosse preoccupato per uno sport così violento o anche solo per il fatto che potesse farsi ancora male.

Ed è con questo umore che Manuel quella mattina si ritrova a salutare Simone fuori dal centro sportivo, aspettando che il pullman parta per una partita in trasferta a Viterbo. Se ne sta seduto sul sellino della moto, fissando il finestrindo da cui scorge l'ombra di Simone muoversi, probabilmente impegnato in una conversazione con qualche compagno. Resta lì finché il pullman non sparisce dall suo campo visivo, costringendolo ad infilare il casco ed andarsene da lì, tornando a Villa Balestra dove lo aspettavano sua madre, Dante e Virginia, pronti per l'ennesimo pranzo insieme.

«partito? Tutto bene?» è la domanda di Dante appena mette piede in casa.
«seh» risponde lui buttandosi sul divano,  poggiato al bracciolo.

"avvisame quando arrivate"

Era l'ultimo messaggio che aveva mandato a Simone e a cui il minore non aveva nemmeno risposto. Nulla di strano, pensò, quando era con i compagni di squadra difficilmente il minore utilizzava il telefono e spesso e volentieri impiegava anche più di un'ora a rispondere, soprattutto a messaggi come quelli.

Rimase sorpreso dopo l'incidente, quando Manuel si iniziò a preoccupare molto di più rispetto a prima, ma dopo poco imparò a gestire anche quella cosa dando un freno e affievolendo quell'agitazione spesso immotivata. Non che non gli facesse piacere, ma comunque era convinto che più gli avrebbe dato corda più lui si sarebbe agitato anche solo per la cosa più stupida.

E Manuel lo sapeva, sapeva che il minore si fosse reso conto della sua insolita apprensione e che cercava di smorzarla a modo suo, quindi se ne stava in silenzio in attesa di un suo messaggio nonostante la voglia di scrivergli nuovamente fosse molto più forte di quanto lasciasse vedere.

«Manuel che c'hai gli schiavi? Alzate e vieni a apperecchia'» la voce di sua madre lo costringe a destarsi dai quei pensieri, alzando la testa verso di loro. Per rafforzare la frase Anita gli indica il tavolo con un cenno della testa e lui si costringe ad abbandonare il telefono sul divano per potersi alzare. «ao mica è partito per il fronte eh, stasera torna» continua la donna, sorridendo. Di tutta risposta Manuel sbuffa scuotendo la tovaglia per stenderla.
«non so de che stai a parla'»
«non so de che stai a parla'» sua madre tenta di imitare la sua voce prima di alzare gli occhi al cielo. «lo sai bene de chi sto a parla'»

Gli occhi di Manuel si puntano direttamente sulla madre, ammonitori e indispettiti per la poca discrezione che stava avendo, perché nonostante continuasse a negare qualsiasi insinuazione sua madre non aveva mai smesso di farne per quanto riguardava i suoi sentimenti verso Simone.

Più volte lo aveva beccato a sorridere davanti ad un messaggio del minore o, più semplicemente, si era fermata ad osservarlo quando erano insieme e si era quasi intenerita vedendo gli sguardi e le attenzioni che suo figlio gli dedicava.

Se un giorno a Roma | SimuelWhere stories live. Discover now