1- So, let's play a game

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1. So let's play a game

 So let's play a game

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Rosa

Ho sempre odiato il silenzio e tra tutta quella gente che non smetteva di sgomitare per farsi spazio tra la folla, mi sono sentita per la prima volta viva.

"Hai qualche ora prima di dimostrarmi quanto vali, hijita."

Erano state le ultime parole di mio padre, prima che mi salutasse con quella rigidezza che lo contraddistingueva e mi abbandonasse per la prima volta a me stessa per le strade dell'Avana. Mascella indurita e sguardo intimidatorio erano tratti connaturati della sua personalità, che anche in mia presenza non si affievolivano, rendendo ogni sua singola azione più spregevole e artificiosa, di quanto in realtà lo fosse davvero.

"Rosa, sai perché ti chiami così? Perché ogni tuo singolo petalo va protetto, costi quel che costi". E il prezzo da pagare era stato per me troppo alto.

Essere figlia di Diego Luz è un onore quanto un dovere. Tutti gli affari in cui è stato coinvolto restano a me ancora sconosciuti, ma di una cosa sono certa: mio padre è uno dei più grandi benefattori del crimine, per la sua illegale attività di riciclaggio di denaro.

Non ho mai voluto trarre conclusioni di merito, non sono venuta al mondo per dire cosa sia giusto o cosa sia sbagliato e, onestamente, anche se solo dovessi interrogarmi circa i motivi che mi hanno portato al mondo, non avrei comunque alcuna considerazione da trarne.

Mi sono sempre ritenuta soltanto un fatale errore, la condanna di mio padre per una notte di spregiudicato ed illusorio piacere, l'apice di un atto ormai sicuramente recondito nella mente di uno dei più influenti contrabbandieri in America.

Non ho una storia da raccontare, ma solo un passato fatto di giornate tra loro tutte identiche, scandite unicamente dalla fatidica frase: "Hijita, è ora di preparare le valigie."

Così, richiudendo in una piccola borsa le uniche poche cose che sentivo mi appartenessero davvero, seguivo mio padre da uno stato all'altro. La bandiera sotto la quale mi trovavo di volta in volta smise di essere oggetto di mio interesse ben presto, non avrei comunque conosciuto nessuno eccetto la mia educatrice Vilma e in qualunque parte del mondo ci fossimo ritrovate, saremmo comunque state io e lei lontane dagli affari di mio padre. A questo punto, tanto valeva non chiedersi cose ben oltre la mia portata di comprensione.

L'apatia che mi ha seguita fino ad oggi la sento ancora scorrere attraverso le mie vene ma a ventidue anni posso finalmente dire di trovarmi sola tra le strade piene di vita e di colori di Cuba. La fanfara pulsa seguendo il battito accelerato del mio cuore, mentre la calca di gente si muove all'unisono per celebrare il "Triunfo de la Revolución". Sono circondata di bandiere rosse, bianche e blu che sventolano, la prima a cui presto così tanta attenzione nella mia vita.

Potrei descrivere questa città ad occhi chiusi, riuscirei a muovermi come una di loro se solo ci fosse il minimo spazio per farlo. Essendo questa la mia prima ed unica occasione mai ricevuta di dimostrare a mio padre di non essere fragile quanto lui crede, ho imparato dettagliatamente la planimetria, le usanze e i costumi di questo luogo.

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