17- But I'm tryna put you

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17- But I'm tryna put you

"Volevo urlare quello che sentivo, ma sono rimasto zitto per paura di non essere capito"

Charles Bukowski

Charles Bukowski

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Alexander

Ambivalenza e masochismo.

Una lenta iniezione quotidiana di entrambe le dosi mi bruciava lo stomaco e mi faceva contorcere le viscere. Una prolungata agonia che solo il suo volto angelico e le sue linee sovrannaturali riuscivano a curare.

Come può ciò da cui dovresti stare lontano essere anche la cura?

Mitridatismo, era questa l'unica soluzione per guarire il mio animo e placare la mia sete.

Il mio veleno, la mia cura.

Avevo iniziato bramandola cospicuamente, sottovalutando l'effetto che avrebbe innestato. Al diavolo le buone intenzioni, che lui sicuramente saprebbe meglio che farsene, io avevo bisogno di lei nonostante sedesse imperterrita sul suo trono angelico. Mi detestavo ma ero sceso a compromessi.

Mi sarei dovuto avvelenare lentamente, piccole dosi quotidiane di inarrivabile bellezza, per riuscire a resisterle. Mentivo a me stesso, conoscevo gli effetti collaterali, ma facevo finta di non saper leggere un foglietto illustrativo. La dipendenza che aveva innestato non poteva retrocedere, eliminando il problema alla sua radice non sarei guarito. E lo avevo imparato a mie spese a Los Angeles, decadendo in quella trama della miserevole esistenza a cui ero condannato.

Nessun piano sembrava esser stato alla sua altezza, aveva scombussolato le carte in tavola dal primo momento in cui aveva agganciato quegli occhi immensi nei miei, non lasciandomi più andare e avvelenandomi.

Era iniziato il conto alla rovescia per la mia disfatta.

Eppure, ammaliato dalle sue movenze, non potevo immaginare, guardando il luccichio nei suoi occhi, che quella creatura avrebbe mai potuto ferirmi. L'imponente mobilio di mogano rendeva austero un ambiente ricco di luce, stonando con le tonalità sprizzanti di giallo della villa gialla che aveva visto crescere Rosa.

Avevo cercato di dissimulare l'effetto che aveva avuto su di me, fingendo sicurezza e non chalance, ma non posso negare che ad un certo punto temevo che sarebbe stata in grado di sentire il battito del mio cuore accelerato. Nella mia tasca la piccola confezione di velluto rosso strepitava pronta a ricordarmi di ciò che avrei dovuto fare.
Questa volta non mi sarei tirato indietro.

Vedere il gruppo riunito mi fece uno strano effetto, un singolare senso di familiarità mi invase e non mi sentì inadeguato in quella rappresentazione del tutto fuori luogo.

"Che cazzo fai Alexander nel covo del nemico?", una vocina subdola nella mia testa continuava a ripetermi, mentre tutto il resto sembrava trovarsi al posto giusto.

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