7- collide into

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Rosa

Casa dolce casa, direbbe chiunque dopo un lungo viaggio, ma la mia mente aveva già superato questo concetto. Non capivo bene quale fosse definibile casa mia, essendo qualunque punto di riferimento costantemente sbalzato via dall'imprevedibilità della vita. Avevo imparato che seppur ferma, tutto intorno a me era una successione costante di novità, c'era chi andava e chi veniva ed io dal mio punto fisso, osservavo tutto intorno girare velocemente.

Il giardinetto sul retro è ciò che meglio ricordo, insieme al profumo dei dolci preparati da Vilma e degli abbracci di Pierre Fernandez. Le sue grandi braccia erano uno scudo da tutto ciò che potesse fare male a me e Vega.

Ricordo le corse intorno alla villetta gialla di Miami per acchiappare Vega e i fatidici ritorni di mio padre a casa, dopo settimane passate fuori per affari. Ricordo le cene sfarzose ma cariche di tensione e le serate passate ad origliare Diego e Pierre litigare, che fingevano di non essersi urlati addosso per ore non appena mi beccavano in piedi nella mia vestaglia da notte. Nel momento in cui mio padre spariva di nuovo nel nulla però, tutto tornava alla semplice armonia il cui ricordo piacevolmente conservo.

Di questo non è rimasto più niente, pensai sconsolata, non appena girai la maniglia per entrare nella mia cameretta di Miami dalle pareti ancora dipinte di rosa.

Credevo che rifugiarmi in quello spazio, che avevo considerato per molto casa, mi aiutasse a rielaborare le ultime giornate trascorse, spolverando la mensola con i peluche che Pierre amorevolmente sceglieva per ogni evenienza e toccando con mano i segni del mio trascorso. Mi sbagliavo di brutto.

Una nostalgia profonda mi attanagliò mentre realizzavo che quella non sarebbe mai più stata la stessa casa della mia infanzia. La mia vita era definitivamente cambiata con la morte di Pierre e con l'inizio della turbolenta esistenza trascorsa a seguire nella sua ombra mio padre. Persino Vilma era cambiata con il tragico evento. Dal ruolo di amorevole tutrice e consigliera, si era presto trasformata in un gelido automa pronto ad impartire ordini e ad impedirmi qualunque banale pretesa avanzata.

Mentre toccavo con mano l'ultimo regalo che Pierre mi aveva fatto per il mio compleanno, un peluche a forma di coniglietto usurato dal tempo e dalle lacrime che ha raccolto, sentì una mano poggiarsi sulla mia spalla.

"Roz tutto bene?" Vega sussurrò, premurandosi che non fossi sprofondata in un limbo di sconforto. Mi aveva beccata lì a rivivere uno spazio che avevamo entrambi avuto il modo di condividere, in una vita che sembrava ormai parallela. Non riuscivo però a concepire come quel ragazzo freddo e quasi sconosciuto fosse lo stesso bambino che era ogni giorno al mio fianco, pronto a beccarsi una sgridata al mio posto pur di non farmi piangere.

"È cambiato tutto." Dico, stringendo tra le mani il morbido Bun.

"Siamo cambiati noi, la vita funziona così, bisogna andare avanti." Mi rispose gelido. No, decisamente non era il bambino a cui avevo voluto tanto bene. Era semplice riconoscerlo, il suo tono spigliato e allegro si era riconvertito in uno quasi sprezzante, in un'autorevolezza ineccepibile. L'assenza di Pierre aveva avuto il peggiore dei risvolti su Vega, che aveva perso l'umanità che più lo rendeva vulnerabile e puro.

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