12- Take a breath.

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12- Take a breath.

Alexander

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Alexander

Che caldo. In quella sala faceva davvero caldo o forse sentivo il sudore bagnarmi la schiena per tutte le volte che avevo tentato di avvicinarmi a lei per parlarle ed ero stato trascinato via a forza da Grace e Miriam. Mi avevano afferrato e avevano più volte cercato durante la serata di allontanarmi da lei, con qualche domanda inopportuna o con continue richieste.

"Mi vai a pendere un bicchiere d'acqua?"

"Potresti chiedere al bodyguard di tenere d'occhio quell'omaccio che non mi stacca gli occhi di dosso?"

"Puoi controllare che Vega stia bene?"

Standomi addosso e contando sulle mie buone maniere, erano riuscite a portare a termine quella che sapevo fosse una richiesta di Rosa. D'altronde glielo avevo promesso io stesso, non ci saremo concessi altro oltre a quello di cui ci eravamo indebitamente appropriati.

Avevano però decisamente superato il limite quando Miriam, avvicinandosi a me, aveva inscenato di esser inciampata, facendomi finire il suo cocktail addosso e spingendomi a ritirarmi nella mia stanza per trovare una soluzione a quell'enorme macchia che non esitava a propagarsi sul tessuto della mia camicia.

"Scusami Alexander, questa sera devo proprio essere sbadata. Non so cosa mi sia preso."

Cinguettò Miriam, che nel suo vestito color confetto e con quelle onde bionde svolazzanti sembrava fosse una bambina cosciente di aver appena fatto un dispetto, pronta presto però a celarsi dietro la sua presunta innocenza.

Allontanandomi dalla folla sfarzosa che con i suoi abiti da migliaia di dollari sorseggiava superalcolici di classe, e percorrendo i lunghi corridoi illuminati di uno dei resort più esclusivi che avessi mai avuto l'occasione di vedere, non esitò dal tornarmi in mente quanto accaduto di fronte al falò. Ammetto di averci rimuginato più del dovuto, di essermi scrogiolato per togliermi dalla mente il suo odore, le sue movenze ed il suo sapore dolciastro. Ne volevo di più ma non avevo scelta. Dovevo lasciar andare Rosa.

Ero lì per un motivo, una missione che avrebbe dovuto farmi riacquisire la dignità che mi avrebbe riscattato dall'errore più grande della mia vita. Non dovevo abbandonarmi all'ennesima distrazione e alla peggiore auspicabile. Mentre cercavo di scacciare quel pensiero, gli occhi abbassati sugli anelli che non smettevo di tormentare rigirandoli convulsamente sulle dita, sentì qualcosa toccarmi la spalla e mi voltai spaventato.

Nel lungo corridoio che portava alla mia camera, vidi l'ombra dell'ultima persona che mai mi sarei aspettata di trovarmi davanti.

"Figliolo."

Diego Luz indossava una camicia rossa, rigorosamente abbottonata e il suo sguardo era esattamente come lo ricordavo: freddo ed austero. Era stato capace con un singolo gesto di riportarmi alla realtà e di riconnettermi al presente. Non potevo negare che fosse davvero eccellente nell'avere l'attenzione costantemente rivolta alle sue movenze e d'altronde non mi stupì che proprio lui fosse uno degli stronzi traditori più ricchi del continente americano. A questi pensieri se ne unì uno tanto più semplice quanto banale.

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