𝔯𝔢𝔪𝔦𝔫𝔡𝔢𝔯: 𝔱𝔬 𝔡𝔢𝔩𝔢𝔱𝔢

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ᵒᵖᵉʳᵃᵗⁱᵒⁿ ³

ᵈᵃᵗᵉ: ᵘⁿᵏⁿᵒʷⁿ

ᵈᵃᵗᵉ: ᵘⁿᵏⁿᵒʷⁿ

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Diego

Quando perdi il centro del tuo mondo ti senti allo sbando, vaghi senza meta e senza punti di riferimento. Sei solo tu, che sulle ceneri della tua esistenza devi cercare di trovare un senso ad ogni singola minuscola azione. Ma non riesci nemmeno a respirare.

La mia carriera mi aveva insegnato a congelare le emozioni, a subordinare ogni istinto al conseguimento della missione. E sul lavoro ero abilissimo, probabilmente uno dei migliori e sicuramente uno dei più sicuri di sé.

Per quella dannata missione avevo messo da parte tutto, me stesso e tutto ciò che mi aveva fatto battere il cuore. Ora che la mia vita era andata a fuoco, che le fiamme di un errore fatale mi avevano portato via tutto quello a cui avevo dedicato la mia esistenza, non riuscivo ad andare oltre.

Il suo pianto mi tormentava, ogni notte mi faceva riempire i polmoni di fumo e mi faceva bruciare gli occhi. Mi svegliavo dall'incubo e piegandomi sulla sua culla la vedevo lì, piccola e quieta, che agitava le manine e i piedini in cerca di un appiglio che non sarei mai potuto essere per lei.

Non meritavo l'amore sconfinato di quella creatura, venuta al mondo da una persona che non ero stato in grado di proteggere con il mio sfrontato egoismo. Non sarei mai stato ciò di cui avrebbe avuto bisogno.

L'unica consolazione fu il sapere che l'agenzia non era a conoscenza di lei, che l'unica supplica che avevo accolto dalla donna della mia vita fosse quella di tenere nascosto il suo bene più prezioso. Il ricordo evanescente della sua pancia coperta da maglioni larghi per fare in modo che almeno quell'aspetto della mia vita non venisse inglobato e cristallizzato dalle estenuanti ore di lavoro, mi teneva sveglio.

Perché in fondo anche quella era una verità che non volevo ammettere.

Non volevo riconoscere a me stesso che quel piccolo essere non lo avessi mai considerato qualcosa di mio, che volessi abbandonarlo all'amore sconfinato della madre che aveva così tanto da offrire che io non sarei mai stato abbastanza per accoglierlo e proteggerlo con cura.

Ma Rosa lo sarebbe stato.

Ricordo ancora quando anche al suo primo pianto non fui presente, perché Jacob mi aveva trattenuto in ufficio più del dovuto per analizzare per l'ennesima volta dei file su un caso che mi tormentava da mesi. Corsi a casa non appena la dottoressa mi telefonò, ma era troppo tardi. Lei stringeva la bambina al suo petto come non volesse mai lasciarla andare, mentre l'ostetrica che aveva presenziato il parto mi aveva rivolto uno sguardo carico di risentimento.

Come biasimarla, l'avevo lasciata a sé stessa, non aveva avuto nessuno a stringerle la mano e a ricordarle quanto fosse importante e ora custodiva gelosamente la piccola bambina, non rivolgendomi parola.

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