2- Hiraeth.

198 39 191
                                    

Hiraeth: (n.) a homesickness for a home to which you cannot return, a home which maybe never was; the nostalgia, the yearning, the grief for the lost places in your past.

── ⋆⋅ ☾☼ ⋅⋆ ──

Lilith.

Amavo le giornate così cupe, mi davano la possibilità di nascondere il mio malumore e la persistente malinconia dietro la scusa del brutto tempo, come se quelle nuvole grigie e la neve che rendeva difficile anche camminare potessero assorbire tutte le mie bugie, la mia tristezza infinita e il senso di non appartenere a nessun luogo.
Londra era una bella città: grande quanto piccola, rumorosa e caotica quanto calma e silenziosa, soleggiata e piena di vita quanto cavernosa e assente.

Mi strinsi nel maglione di colore beige, gentilmente regalato dalla mia migliore amica qualche tempo fa, e continuai a osservare le fiamme del camino davanti a me che divampavano e riscaldavano l'ambiente circostante. Chissà se nel calore di quelle fiamme, se nel colore rosso e nel rumore rilassante di quel fuoco avrei potuto redimermi dai miei peccato per ritrovare me stessa e un senso di purezza che non avevo mai sentito mio, neanche quand'ero bambina. Sporca, lurida, macchiata di bugie: ero così che mi sentivo, era così che mi vedevo allo specchio. Ero bella, non avevo mai avuto grossi problemi di autostima per il mio aspetto esteriore e avevo sempre saputo di avere un certo fascino, nonostante non avessi caratteristiche fisiche fuori dal comune o particolarmente insolite.
Ma il mio viso pulito, i miei capelli sempre perfettamente lisci e morbidi, i miei occhi felini e le mie unghie ben curate non avrebbero mai distolto la mia attenzione dal marcio che avevo dentro. Che senso ha essere uno dei libri con la copertina più bella e intrigante se poi all'interno ci sono una quantità imbarazzante di errori grammaticali e buchi di trama?
Probabilmente era questo che ero sempre stata per mio padre, per la sua compagna, per quelle pochissime conoscenze fatte negli ultimi anni: un libro sui loro scaffali polverosi, con la copertina immacolata ed elegante, i colori neutri e il titolo scritto con un carattere chic, letto fino alla fine solo per dovere e non per piacere e a ogni pagina storcevano il naso per gli orrori che notavano.

Tra quelle fiamme forse, e dico forse, i miei peccati sarebbero divenuti cenere e mi sarei sentita bene; ma mi conoscevo, se anche li avessi bruciati avrei peccato il giorno dopo, avrei mentito ancora e ancora per preservare la parte più fragile di me, avrei manipolato con il mio sguardo da sirena per ottenere ciò che volevo e poi avrei alzato i tacchi e me ne sarei andata, sparita, affogata nei miei sensi di colpa. Nelle fiamme, nel fuoco, dovevo bruciare tutta la mia esistenza, dovevo bruciare il mio corpo e la mia anima e solo allora avrei trovato pace.
Non ero una persona credente, una come me non avrebbe ricevuto salvezza o perdono e quindi, anche dopo che la mia carne fosse divenuta brace e polvere, avrei continuato ad ardere nelle lingue di fuoco come i peccatori nell'ottava bolgia dell'ottavo cerchio dell'Inferno di Dante.

La mia migliore amica, Rose, parlava spesso di come circondarsi di persone tranquille le avesse svoltato la vita e aiutata a stare meglio con sé stessa, circondata da energie positive. Non sapevo quanto fosse vera quell'affermazione considerando che io ero la sua amica più intima e vicina, ma una cosa era certa: il problema non erano necessariamente gli altri, il problema ero io. Le persone come me non potevano rimanere nella tranquillità troppo a lungo, non potevano rimanere sole con i loro pensieri che martellavano le tempie e non avevano ancora imparato a controllarli. Nel caos qualsiasi tipo di riflessione, di ricordo, di sensazione e di pensiero svaniva nel nulla, non c'era posto per loro quando la confusione era proiettata fuori di te. Non mi circondavo di nessuno, io restavo nel mio essere introversa e solitaria circondata dal caos della mia stanza e dalla musica alta del locale in cui lavoravo.
Non avevo bisogno di tranquillità, non avevo bisogno di calma e di silenzio perché a essere taciturna c'ero già io e lo odiavo. Avrei voluto che qualcuno, qualcosa, mi prendesse e trascinasse nel rogo della sua anima radendo al suolo ogni particella di me. Avevo bisogno di provare qualcosa che non fosse la malinconia o l'apatia.

MIZPAHWhere stories live. Discover now